Perché in Cina è arrivato il momento di fare i conti con Tiananmen
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Perché in Cina è arrivato il momento di fare i conti con Tiananmen

Xi Jinping e le scuole sperimentali in cui si parla dei fatti dell'89. L'obiettivo è riconquistare la fiducia delle giovani generazioni

Oggi è l'anniversario del massacro di Piazza Tiananmen, e come sempre in Cina non se ne parla. Sono ormai passati 29 anni da quando centinaia di manifestanti vennero uccisi dalle forze dell'Esercito Popolare di Liberazione cinese, che affogò nel sangue la protesta per la libertà di centinaia di lavoratori, intellettuali e, soprattutto, studenti.

Ogni anno spuntano nuove immagini che cercano di raccontare la storia di tutti quei giovani che, sognando la democrazia, si radunarono in un enorme sit-in nella piazza principale di Pechino per chiedere diritti e libertà trovando invece repressione e morte.

Il silenzio su Piazza Tiananmen

Nessun leader cinese ha mai fatto riferimento, nemmeno velatamente, ai fatti di Tiananmen. Gli scontri che hanno insanguinato il cuore di Pechino nell'89 non solo rappresentano un tabù, ma ormai le giovani generazioni non sono più nemmeno a conoscenza dei fatti.

I libri di storia non ne hanno mai parlato e continuano a non farlo. E chi ha vissuto il terrore di quei giorni si guarda bene dal condividerlo, per non mettere in pericolo nessuno. Quando sulla diffusione di talune informazioni c'è tolleranza zero, tanto vale non farle circolare per evitare di mettersi in pericolo col le proprie mani.

Chi ricorda Tiananmen

Tiananmen è sempre stata ricordata in tre modi. Dalla "notte delle candele" di Hong Kong, la cui rilevanza sta scemando perché l'ex colonia, da quando la presenza cinese in città si è fatta di nuovo massiccia, ha ben altre priorità cui dedicarsi. Dalle Madri di Tiananmen, che invece non si arrenderanno mai visto che hanno perso i loro figli in questo scempio. E da alcune voci straniere.

Quest'anno le Madri di Tiananmen hanno firmato una lettera aperta al Presidente Xi Jinping per chiedergli di riaprire questo fascicolo bollente per fare finalmente chiarezza. Per regalare a queste signore e a chi sofferto in silenzio negli anni insieme a loro il diritto quanto meno di ricordare senza rischiare la vita.

Al coro dei queste donne si è aggiunto anche il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, che ha esortato Xi Jinping a prendere atto di ciò che è successo nel giugno dell'89 mantenendo viva la memoria di questa tragedia, affinché non vengano mai più commessi gli stessi errori.

La strategia di Pechino

La macchina della propaganda in Cina è invincibile. E infatti, per quanto stupefacente e irreale possa sembrare, le nuove generazioni non sanno nulla di Tiananmen. E forse la strategia di Pechino è sempre stata proprio questa: cancellare la memoria in maniera da non lasciare traccia di Tiananmen nelle generazioni di oggi e future. Un piano che, però, a causa della globalizzazione, non sembra più così tanto efficace, e dovrebbe essere rivisto.

Cosa sanno i giovani cinesi di Tiananmen

Chi vive in Cina nel 99 per cento dei casi non sa nulla. Studenti universitari di origini cinesi ne ho incontrati tanti in giro per il mondo, e purtroppo raccontano tutti le stesse storie. Una ragazza un giorno mi raccontò di aver scoperto di Tiananmen da compagni universitari stranieri conosciuti a Pechino "Quando mi chiesero di raccontare quello che era successo a Tiananmen nell'89 non riuscii a capire. Per me non era accaduto nulla di rilevante. Mi raccontarono allora la storia che conoscevano loro, e rimasi senza parole. Non ne avevo mai sentito parlare".

Una volta arrivata in Australia, questa ragazza ha cercato subito conferma dei fatti del 1989, di cui nessuno in Cina le aveva mai parlato. Poi ha continuato a documentarsi leggendo libri, articoli di giornale e guardando documentari realizzati in Occidente. "Mi sono sentita impotente. Tradita. Perché il mio paese aveva deciso di nascondermi un evento così grave. E perché nessuno, nemmeno mio padre, o i miei insegnati, aveva mai spronato me o i miei amici a cercare informazioni sull'89. Oggi, pur sapendo cosa è successo, questa vicenda continua a rattristarmi. Sono tornata in Cina, ho portato con me delle prove, ma esclusi gli amici più cari non mi crede nessuno. E io continuo a non capire a chi vadano attribuite le responsabilità di questo massacro".

La difficile ricerca della verità

Ancora più emblematica l'esperienza di un'altra ragazza: "Quando mi sonno trasferita in Australia vivevo in una camera in affitto a casa di una signora anziana. Tutte le sere ascoltava il telegiornale, e io con lei per cercare di migliorare un po' il mio inglese. Il 4 giugno mandarono in onda un servizio su Tiananmen. Pensavo stessero parlando della piazza come attrazione turistica. Poi hanno mostrato fotogrammi di carri armati, del famoso tank-man che io non avevo mai sentito nominare, e hanno parlato di studenti massacrati dalle forze dell'ordine. Non sapevo cosa pensare e ho spento. Ho pianto. Poi ho cercato di documentarmi, ma tutte le ricostruzioni che ho visto mi sono sembrate assurde. L'esercito non poteva essere sceso in piazza contro gli studenti. Per ucciderli poi, non ha senso, siamo tutti cinesi". Poi, facendosi coraggio, mi chiese "Per favore, mi aiuti a capire. Può spiegarmi cosa è successo davvero?".

Perché per la Cina è arrivato il momento di fare i conti col passato

La Cina di oggi ha un problema con i giovani. Persino il "grande" Xi Jinping, che ormai dalle colonne di tanti quotidiani della Repubblica popolare elargisce consigli su come comportarsi in questa o quella circostanza, è riuscito a rassicurare i timori di una generazione che sta vivendo una fortissima crisi di identità. E che, soprattutto, dopo aver vissuto all'estero, anche se per brevi periodi, vive male il contrasto tra libertà assoluta e controllo capillare ininterrotto.

Da questo punto di vista, poi, alzando i livelli di penetrazione della propaganda e della sorveglianza nella nazione Xi Jinping ha peggiorato la situazione perché ha tolto ai giovani quei piccoli spazi di autonomia semi-illegale che si erano negli anni guadagnati e che avevano accettato come "ragionevole compromesso".

La forza delle giovani generazioni

Questo braccio di ferro tra il regime e le giovani generazioni si potrà risolvere solo in due modi: con l'accettazione del controllo totale da parte dei secondi (raggiungibile solo facendo leva sulla paura di ritorsioni e repressione) o con uno scontro frontale tra le due parti. Lo scontro non conviene a nessuno, ma Xi al momento non può permettersi di allentare il livello di controllo imposto sulla società.

Per aprire un varco in uno scenario apparentemente senza alternative questi ragazzi una proposta l'anno fatta: fare i conti con la storia. Raccontare quello che è successo e perché. Solo così il Partito può cercare di riconquistare la fiducia dei giovani.

Un'apertura graduale

Il punto è che, come sempre succede in Cina, ogni apertura deve essere graduale. E oggi, anche se nessuno lo sa, esistono scuole "innovative" (per la precisione si tratta di tre istituti superiori in tutto il paese, uno a Pechino, uno a Shanghai e uno a Guangzhou), dove un gruppo selezionatissimo di ragazzi viene chiamato a seguire corsi "speciali". In cui, una ragazza che li ha frequentati lo ha confermato, si parla anche di Tiananmen. Un miracolo? No, un tentativo di tastare il terreno, di capire come i ragazzi della nuova Cina potrebbero reagire di fronte a una realtà che è stata loro nascosta, ma di cui sono invitati a non fare parola con nessuno.

Per la simbologia cinese i cicli di 30 anni sono molto importanti. Fra 12 mesi scoccherà il 30esimo anniversario di Piazza Tiananmen. Chissà se, fra un anno, e a fronte di questa sperimentazione di cui nessuno parla, Xi Jinping non deciderà di rompere l'attuale muro di silenzio e condividere con il resto del paese la sua versione degli incidenti di Tiananmen. E chissà, se questo davvero accadrà, quanto il racconto di Xi rifletterà la realtà.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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