Perché Netanyahu non voleva questa guerra... ma adesso non vuole la tregua
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Perché Netanyahu non voleva questa guerra... ma adesso non vuole la tregua

Se firma una tregua Israele dovrà fare concessioni ad Hamas. Molto probabilmente, porre fine o alleggerire il blocco sulla Striscia di Gaza. Che è precisamente quello che il premier israeliano non vuole

È passato quasi un mese dall'inizio dell'operazione Protective Edge, la terza campagna militare israeliana sulla Striscia di Gaza in poco più di sei anni: i morti sono più di mille, in stragrande maggioranza palestinesi, la comunità internazionale è furente, eppure Netanyahu non vuole una tregua. Lo scorso 25 luglio infatti il governo israeliano ha rifiutato la proposta di tregua avanzata dal segretario di Stato americano John Kerry, e poco dopo ha rispedito al mittente la richiesta dell'Onu di fermare le ostilità.

Nuovi tentativi di mediazione sono in corso, con il coinvolgimento di Qatar e Turchia, ma stando alle indiscrezioni apparse sulla stampa israeliana pare che Netanyahu sia molto scettico a riguardo. E pensare che soltanto due settimane prima era stato proprio Netanyahu a volere la fine della guerra. Il 14 luglio infatti l'Egitto aveva avanzato una proposta per un accordo di cessate-il-fuoco (che in effetti è una cosa un po' diversa rispetto a una tregua, su questo torneremo più in là): Israele aveva accettato; Hamas, il gruppo palestinese che controlla Gaza, invece no.

Come mai Netanyahu prima voleva il cessate-il-fuoco e adesso non vuole la tregua? Prima di tutto bisogna tenere conto che, nel corso di questa guerra, il “modello” di tregua offerto dai mediatori internazionali è cambiato. La prima offerta, quella avanzata dall'Egitto il 14 luglio, prevedeva soltanto un cessate-il-fuoco, insomma la fine delle ostilità immediate senza grandi conseguenze politiche: una prospettiva del genere faceva molto piacere a Netanyahu, che in realtà da questa guerra non sta traendo alcun vantaggio. Il premier israeliano si era battuto molto affinché la proposta del Cairo fosse accettata dal suo governo, arrivando a litigare pubblicamente con i falchi della coalizione e licenziando il viceministro degli Esteri Danny Danon, che era contrario al cessate-il-fuoco. Da tenere conto, poi, che in questo conflitto l'Egitto è considerato più vicino a Israele che Hamas. La seconda proposta, quella avanzata dagli Usa, invece prevedeva una tregua vera e propria: questo implicava un accordo politico e dunque fare concessioni ad Hamas. Adesso poi, tra i paesi mediatori ci sono anche Turchia e Qatar, che sono considerati molto più filo-palestinesi dell'Egitto.

Il Qatar in particolare è considerato lo sponsor principale di Hamas.
Riassumendo, insomma: Israele è passato da una situazione in cui le proposte per un cessate-il-fuoco erano di fatto più vicine agli interessi israeliani (almeno nella percezione di Netanyahu) e una situazione in cui le proposte di tregua sono più vicine agli interessi di Hamas (sempre nella percezione di Netanyahu). Questo spiega perché il governo israeliano ha cambiato linea. Per capire questa inversione di rotta, però, bisogna anche capire che cosa vuole Netanyahu e cosa vuole Hamas. Prima della guerra l'obiettivo principale del governo israeliano era soprattutto mantenere lo status quo. Quello di Hamas, al contrario, era sovvertirlo.

Dal 2007 la Striscia di Gaza è controllata di fatto da Hamas e si trova in una situazione di isolamento quasi totale, diplomatico ma soprattutto economico. Con i confini controllati da Israele ed Egitto, e le coste pattugliate dalla marina israeliana, anche prima della guerra l'economia della Striscia di Gaza era al collasso. Anche grazie al “blocco economico” imposto sulla Striscia, il sostegno ad Hamas era ai minimi storici (ovviamente, c'entravano anche la mala gestione da parte del gruppo e i casi di corruzione). Non bisogna essere degli esperti di geopolitica per capire che questa situazione faceva comodo a Israele e faceva molto meno comodo ad Hamas. Di conseguenza, qualsiasi cosa che possa smuovere questo status quo fa il gioco di Hamas molto più di quanto non faccia il gioco di Israele.

Il paradosso è che Netanyahu non voleva questa guerra... ma adesso non vuole fermarla. O, meglio, non è disposto a pagare il prezzo necessario per raggiungere una tregua. Il primo ministro israeliano, com'è noto, non è certo una colomba. Però è anche un politico estremamente prudente. Sapeva che una guerra starebbe stata rischiosa – in termine di vite umane (anche gli israeliani hanno le loro vittime, in termini di immagini (mai come oggi Israele è “il cattivo”), e diplomatici (gli Stati Uniti sono furiosi), ma soprattutto in termini politici. Ogni guerra si conclude con una tregua, per forza di cose (fatti salvi i casi di resa incondizionata, che però Israele non può aspettarsi). E ogni tregua implica dare qualcosa all'avversario. E visto che Israele partiva da una situazione in cui aveva praticamente tutto mentre Hamas aveva nulla o poco più, a Israele non conveniva iniziare una guerra.

L'impressione è che Netanyahu sia stato trascinato in questa guerra, prima di tutto dai lanci di razzi da parte di Hamas, che il 7 luglio ha lanciato 81 ordigni in un giorno solo, e dai suoi alleati di governo più estremisti. È invece probabile che Hamas abbia intensificato il lancio di razzi anche con l'obiettivo di provocare una guerra da cui sapeva che, partendo da una condizione pessima, avrebbe ottenuto qualcosa. Naturalmente ci sono anche altre ragioni: il lancio massiccio di razzi è stato anche una risposta all'arresto massiccio di uomini di Hamas in Cisgiordania, sospettati di essere coinvolti nel rapimento e nell'uccisione di tre adolescenti israeliani. Ma l'obiettivo principale di Hamas pare soprattutto provocare una situazione in grado di smuovere lo status quo, porre fine all'isolamento economico della Striscia. Infatti, in cambio di una tregua, il gruppo palestinese chiede precisamente questo: la fine del blocco su Gaza.

Dal canto suo, Netanyahu sa che ormai è troppo tardi, che prima o poi dovrà cedere. Che firmare una tregua è l'unica via di uscita e che non ha alcuna alternativa se non fare qualche concessione ad Hamas. Semplicemente, sta cercando il modo di farlo senza perdere troppo la faccia.

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Anna Momigliano