Perché l’Iran rilascia cinque capi di Al Qaeda
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Perché l’Iran rilascia cinque capi di Al Qaeda

La notizia del Nyt induce a ritenere che si voglia rivitalizzare l'organizzazione per depotenziare lo Stato Islamico nella galassia della jihad islamica

Secondo il New York Times, il governo iraniano ha rilasciato cinque “alti membri” di Al Qaeda nel marzo di quest'anno, tra cui Saif al-Adl, l’uomo che ha servito come capo ad interim del gruppo terroristico subito dopo la morte di Osama bin Laden, e che secondo fonti americane è oggetto di una taglia 5 milioni di dollari.

Ecco quanto riporta il quotidiano americano. Il rilascio da parte dell'Iran di cinque uomini faceva parte di uno scambio di prigionieri con il ramo di Al Qaeda nello Yemen, gruppo che era in possesso del diplomatico iraniano, Ahmad Nour Nikbakht, rapito nella capitale yemenita Sanaa nel luglio 2013.

Il governo iraniano, in una dichiarazione seguita al rilascio (riportata da Sky News) ha negato che i cinque uomini siano stati liberati. Ma un funzionario americano ha confermato il rilascio di Saif al-Adl, membro anziano del Consiglio della Shura di Al Qaeda, che ha curato le attività dell'organizzazione terroristica subito dopo l’assalto dei Navy SEALs in Pakistan nel maggio del 2011 e che ha aiutato le mogli e alcuni parenti di Bin Laden a trovare un rifugio sicuro.
Dato il grado ricoperto dai cinque uomini all’interno di Al Qaeda, il rilascio è un fatto preoccupante, che arriva nel momento in cui gran parte della leadership dell’organizzazione è andata dissolta tra attacchi aerei mirati (tra cui la morte all'inizio di quest’estate di Nasser al-Wuhayshi, considerato direttore generale dell'organizzazione) e l’emorragia inarrestabile di qaedisti, molti dei quali sono confluiti nello Stato Islamico.

Un’operazione per rivitalizzare Al Qaeda

Il rilascio di questi uomini viene dunque visto come una mossa per rivitalizzare il gruppo militante, attraverso l’afflusso di dirigenti e capi carismatici in grado di creare nuovi network e minacce concrete all’Occidente e non solo. Preoccupa soprattutto il rilascio di Saif al-Adl: ex colonnello dell'esercito egiziano finito nella lista dei Most Wanted Terrorist dell’FBI, è stato incriminato per gli attentati del 1998 in Africa orientale contro le ambasciate degli Stati Uniti.

Al Qaeda stessa lo ha descritto come un capo operativo dell’organizzazione terroristica e così la pensano anche numerosi analisti d’intelligence: Cynthia Storer, analista CIA esperta di Al Qaeda, lo ha chiamato un “padre fondatore”, aggiungendo che “se l’organizzazione sta avendo problemi interni, lui è uno che la potrebbe riorganizzare”. Altri concordano sul fatto che il futuro di Al Qaeda sarebbe già oggi sulle spalle di Saif al-Adl.

Non è ancora chiaro quando si sia verificato esattamente lo scambio, ma per le fonti dell’intelligence americana gli uomini sono stati arrestati da funzionari iraniani e tenuti agli arresti domiciliari, continuando anche a comunicare con la rete di Al Qaeda, secondo intercettazioni e lettere che sono state successivamente recuperate.

Oltre ad Adl, gli altri quattro uomini liberati dall’Iran sarebbero: Abdul Khayr al-Misri, un egiziano che in passato è stato a capo del consiglio delle relazioni estere di Al Qaeda; Abul Qassam, un giordano che era stato vice di Abu Musab al-Zarqawi, il fondatore dell'organizzazione che più tardi diverrà lo Stato Islamico; Sari Shibab, un agente dei servizi giordano; Abu Mohamed al-Misri, un egiziano che avrebbe contribuito a orchestrare gli attentati dell’11 settembre 2001.

La sfida con lo Stato Islamico


La collusione tra Al Qaeda e l'Iran è qualcosa di tangibile, dunque, che “se conosciuta dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto essere inclusa come parte dei negoziati con l’Iran” ha commentato l’ex generale della DIA, Michael T. Flynn. Ma non è solo questo segnale a preoccupare gli americani. Infatti Al Qaeda, per bocca del suo capo Ayman Al Zawahiri, ha da poco tempo sconfessato lo Stato Islamico e il suo Califfo Abu Bakr Al Baghdadi, nell’evidente tentativo di sostituirsi a lui nella leadership mondiale della jihad islamica.

Se lo Stato Islamico ha conquistato ampie porzioni di territorio tra Siria, Iraq, Libia e Nigeria, Al Qaeda e Al Zawahiri sino ad ora potevano contare principalmente sulle milizie in Yemen e sulle armate in Siria che non si sono affiliate al Califfato come Jabhat al Nusra (sebbene la posizione di Al Nusra nel conflitto sia spesso ambigua). Da oggi, però, ci sono almeno cinque nuovi comandanti che potrebbero tentare di competere con lo strapotere conquistato manu militari dallo Stato Islamico nel quadrante mediorientale.

Un’occasione che non può non ingolosire Teheran, roccaforte dell’Islam sciita che combatte il Califfato sin dalle prime ore, e al quale sta bene dialogare anche con Al Qaeda, pur di sconfiggere i jihadisti sunniti. Se, infatti, gli uomini di Al Baghdadi dovessero abbattere il regime sciita-alawita degli Assad che ha governato la Siria ininterrottamente dal 1971 sino alla guerra civile, questo minerebbe il futuro e l’esistenza stessa dello sciismo in Medio Oriente.

Ecco perché per Teheran si possono liberare le forze salafite di Al Qaeda, e va bene fare patti con il “Grande Satana” americano e favorire l’arrivo degli alleati russi in Siria. Tutto, pur di scongiurare l’allontanamento dal potere e l’annientamento stesso degli sciiti dal Medio Oriente.  Se Parigi val bene una messa, insomma, Damasco val bene un patto scellerato.



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Luciano Tirinnanzi