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Perché il Giappone teme l'accordo Usa-Corea del Nord

Il successo statunitense evidenzia la marginalizzazione di Tokyo nella regione e crea difficoltà economiche e di sicurezza al paese

Giorno dopo giorno, la sensazione generale è che l'incontro tra Kim Jong-un e Donald Trump potrebbe trasformarsi nel vertice che passerà alla storia non solo per aver risolto la crisi coreana, ma anche (lo speriamo tutti), per aver gettato le basi per firmare quel Trattato di Pace che i coreani a Nord e a Sud del 38esimo parallelo aspettano da decenni.

Dopo che la Cina è rientrata prepotentemente in gioco in un negoziato che sembrava essersi concentrato troppo sulle posizioni di Corea del Nord, Corea del Sud e Stati Uniti, accogliendo a fine marzo a Pechino Kim-Jong-un in persona, il Giappone continua ad essere lasciato da parte da coloro che, non troppo tempo fa, erano convinti che il sostegno di Tokyo sarebbe stato necessario per raggiungere un compromesso con Pyongyang.

Perché Giappone è fuori dai giochi

Ultimamente si parla di Giappone solo in relazione alle decine di viaggi di funzionari di altissimo livello stanno organizzando negli Stati Uniti nella speranza di convincere Donald Trump a proteggere i loro interessi nel dialogo con Kim Jong-un.

L'ultimo ha avuto come protagonista il Premier Shinzo Abe, che è volato in Florida per cercare di capire meglio che valore ha, oggi, per Trump, l'allenza storica tra Giappone e Stati Uniti. I due leader hanno parlato di economia, di Cina, di Corea del Nord, ma quello che forse il Sol Levante non ha ancora capito che che l'attuale amministrazione americana ha una sola priorità: l'America. Quindi se gli interessi coincidono, tanto meglio. Se no, ognuno va per la sua strada. Se invece i vantaggi reciproci possono essere individuati su alcuni tavoli e non su tutti, allora verranno coltivate solo le sintonie.

Perché Tokyo ha paura di rimanere emarginato

Nel caso della Corea del Nord il Giappone si è sentito particolarmente tradito perché nessuno degli alleati si è mostrato interessato a farsi carico delle sue rimostranze, ancora legare al rapimento di 17 cittadini giapponesi negli anni '70 e '80 (La Corea ha ammesso di averne rapiti 13. Gli altri, probabilemnte, saranno morti). Trump però lo ha detto chiaramente "arriverà il tempo per parlare di altre questioni", ma quel tempo è ancora molto lontano. E ora il Presidente ha ben altre priorità: guardare negli occhi Kim, per cercare di intuire le sue reali intenzioni, arrivare a un punto fermo sul dossier denuclearizzazione, che è quello che gli sta più a cuore, e evitare che "altri paesi", vale a dire la Cina, possano mettere a repentaglio il successo della sua strategia di "pressione massima" allentando la morsa delle sanzioni.

Chi ha escluso il Giappone

Difficile dire chi abbia premuto per l'esclusione del Giappone. Tuttavia, considerando che Kim Jong-un ha chiesto espressamente di marginalizzare la Cina, è possibile abbia fatto lo stesso per il Giappone, e che Corea del Sud e Stati Uniti, ritenendo le priorità di Tokyo meno importanti delle loro, abbiano accettato senza difficoltà. Continuando però, come è successo anche per Russia e Cina, a informare regolarmente il paese sulle evoluzioni della trattativa.

Cosa rischia Tokyo

Sul piano economico, Tokyo rischia quello che rischiano tutti gli altri paesi. Anzi, di più, perché il Giappone è stata l'unica nazione "amica" a non essere stata esentata dai dazi "anti-cinesi"che Trump ha imposto alle importazioni di acciaio e alluminio. Dopo l'incontro tra Abe e Trum a Mar-a-Lago i leader hanno detto che l'ipotesi di esentare anche il Giappone d questa manovra "è sul tavolo", ma evidentemente per gli Stati Uniti ci sono diversi problemi e distorsioni da risolvere con Tokyo.

Un rischio ancora più grosso il Giappone lo corre sul piano della sicurezza, perché non è chiaro se gli Stati Uniti decideranno di accettare una eventuale richiesta di Kim Jong-un di "barattare" la denuclearizzazione con la partenza dell'esercito americano dall'Asia Orientale. Un accordo di questo genere sarebbe una tragedia per Tokyo, che continua ad essere vincolata dall'Articolo 9 della Costituzione approvata alla fine della Seconda Guerra Mondiale per gestire la sicurezza nazionale.

Uscendo dall'ombrello americano i giapponesi dovrebbero diventare più autonomi. E questo richiede un investimento massiccio sulle forze di sicurezza e uno sforzo notevole per creare il consenso popolare necessario a creare un esercito con capacità offensive, non solo difensive.

Cosa possiamo aspettarci

Al momento, le previsioni più realistiche sembrano essere due: il Giappone continuerà (inutilmente) a corteggiare gli Stati Uniti nel tentativo di rilanciare un'alleanza storica che, evidentemente, dal punto di vista americano ha sempre meno valore. Gli Stati Uniti, invece, andranno avanti per la loro strada. E per evitare che punti di vista e priorità dei due alleati si allontanino ulteriormente, Tokyo farebbe bene a evidenziare i punti di convergenza fra le due nazioni, perché solo così riuscirà a conquistarsi la stima, il rispetto e, magari, anche l'appoggio di Trump.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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