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Perché la coalizione anti Isis sarà inefficace

L’impegno militare è risibile. E ci sono paesi arabi che aiutano la jihad, mentre chi la combatte davvero non c’è

Dibis, Iraq, 15 settembre 2014. SAFIN HAMED/AFP/Getty Images

La coalizione internazionale contro il Califfato istituita da Washington, senza un mandato dell’Onu, è troppo ambigua per poter essere efficace sul piano militare. È composta anche dai paesi arabi che aiutano i gruppi jihadisti, ma non include i siriani e gli iraniani, che la guerra al Califfato la combattono per davvero.

Il risultato è che l’impegno militare messo in campo dai paesi che hanno aderito alla coalizione è risibile: gli europei per ora si limitano a fornire armi ai curdi, mentre solo l’Australia ha ufficializzato l’invio di forze speciali e di aerei da guerra al fianco degli americani. Per perseguire concretamente l’obiettivo di distruggere il Califfato, è invece necessaria un’invasione terrestre dei territori occupati dai jihadisti in Siria e Iraq.


Qui non si tratta di condurre un’operazione antiinsurrezionale contro guerriglieri che si nascondono in caverne, ma di riprendere il controllo di un territorio grande quanto la Gran Bretagna, dove Abu Bakr al Baghdadi ha creato un’amministrazione con scuole, servizi e un sistema giudiziario. Uno stato che attrae migliaia di combattenti da tutto il mondo islamico e che, anche per questo, andrebbe smantellato in tempi rapidi con un’operazione terrestre convenzionale, come quella attuata in Iraq nel 2003, a cui in questo caso però far seguito con una lunga missione di stabilizzazione per «vincere la pace».

Per invadere il Califfato mancano tuttavia le truppe. Washington e gli europei non vogliono sentir parlare di «boots on the ground», l’esercito iracheno è allo sbando, le milizie sciite non sono addestrate alla guerra convenzionale e i curdi, pur essendo validi soldati, sono pochi e privi di armi pesanti. Gli unici veri eserciti disponibili per «liberare» il Califfato sono quello siriano, veterano di tre anni di guerra contro i jihadisti, e i pasdaran iraniani, i cui battaglioni quest’estate hanno aiutato i curdi e respinto le milizie del Califfato dai sobborghi di Baghdad. Siriani e iraniani non sono però membri di una coalizione in cui molti vedono ancora Bashar al-Assad come un nemico da abbattere che verrebbe avvantaggiato dalla disfatta del Califfato. Del resto, se al Baghdadi non avesse invaso l’Iraq e si fosse limitato a combattere il regime siriano, oggi nessuna coalizione gli muoverebbe guerra.                              
 

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Gian Andrea Gaiani