L'ennesima salvezza di Mubarak
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L'ennesima salvezza di Mubarak

Ritratto del rais che oggi esce dal carcere dopo 850 giorni e che ha una dote indiscussa: sa come salvarsi la pelle

Un anno fa l’avevano dato per “clinicamente morto” , “in vita solo grazie alla respirazione artificiale”. Invece Hosni Mubarak ha resistito e tra poche ore potrebbe uscire dal carcere.

Se c’è una cosa che all’ex presidente egiziano riesce bene è salvarsi la pelle: hanno provato ad ucciderlo sei volte, sempre senza successo. Quando un gruppo di islamisti uccise il presidente Anwar El Sadat durante una parata militare nel 1981, Mubarak se l’era cavata con una ferita alla mano, nonostante fosse seduto in prima fila, sulla sedia di fianco a Sadat.

 

«Ho ucciso il Faraone!», aveva urlato l’assassino, dopo aver crivellato di colpi Sadat. Si sbagliava: aveva aperto le porte a un dominio ancora più duro e inflessibile.

Otto giorni dopo, Hosni Mubarak giurava da presidente e dichiarava uno stato di emergenza che sarebbe rimasto in vigore anche dopo le rivolte di piazza Tahrir: trent’anni di legge marziale, in cui l’ex pilota dell’aviazione, addestrato alla scuola sovietica, si è dimostrato un dittatore feroce contro ogni opposizione, soprattutto se di stampo islamista. Per non finire come Sadat, Mubarak non si è fatto scrupoli nella repressione di ogni grado di integralismo, dai quello più moderato dei Fratelli musulmani a quello estremo dei terroristi che poi finiranno in al Qaeda (comandata, oggi, da un medico egiziano). Non si contano le case bruciate, i dissidenti “scomparsi”, le madri spogliate in piazza perché un loro parente jihadista si era dato alla latitanza.

Il suo odio era ricambiato. Negli appunti ritrovati in alcuni campi di addestramento di al Qaeda in Afghanistan, sotto al titolo “nemici dell’Islam”, si legge, al primo punto: “Eretici (tutti i Mubarak del mondo)”.

Per le potenze straniere Mubarak è sempre stato la garanzia di un Egitto stabile, incline a mantenere buoni rapporti con Israele anche grazie a quel miliardo e 300 mila dollari di aiuti militari che gli americani gli hanno garantito ogni anno dagli accordi di Camp David, nel 1979.

Il 10 febbraio del 2011, dopo un mese di manifestazioni di piazza contro di lui, Mubarak si era presentato alla televisione di stato, con modi risoluti e la solita tinta nero corvino, per dire che avrebbe passato i poteri al suo vice, ma che sarebbe rimasto come presidente. Il giorno dopo, il vicepresidente Omar Suleiman, con un annuncio lungo una frase, dichiarava che Mubarak aveva “deciso di lasciare la presidenza, incaricando il consiglio supremo delle Forze armate di amministrare il paese”.

Tre mesi dopo Mubark e i suoi due figli venivano incriminati come responsabili dell’uccisione di manifestanti durante le proteste di piazza Tahrir. Il 2 giugno 2012 sono stati giudicati colpevoli, ma nel gennaio 2013 la Corte di Cassazione egiziana ha ordinato di rifare il processo. Nel frattempo sono scaduti i termini della custodia cautelare preventiva, perciò i giudici sono costretti a far uscire Mubarak dal carcere, all’età di 85 anni.

Soffre di una malattia mai del tutto chiarita, probabilmente un cancro allo stomaco.

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Marco Pedersini

Giornalista. Si occupa di esteri. Talvolta di musica. 

Journalist. Based in Milan. Reporting on foreign affairs (and music, too). 

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