Usa 2016: ecco come Bernie Sanders sfida Hillary Clinton
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Usa 2016: ecco come Bernie Sanders sfida Hillary Clinton

Il candidato liberal fra i democratici è in vantaggio nei sondaggi in New Hampshire e Iowa: i primi due Stati dove si terranno le primarie

È già il tempo di un attacco di panico per Hillary Clinton? Troppo presto per cadere nello sconforto ma una cosa è certa: la favorita numero uno deve cambiare strategia se non vuole che la sua campagna elettorale corra il rischio di fallire.

Giù nei sondaggi
È vero che ai primi appuntamenti con le primarie mancano ben sei mesi (un'eternità in politica); è anche vero che nessuna vede una vera alternativa alla ex First Lady (almeno per ora), ma sono un dato altrettanto reale quei sondaggi che indicano Bernie Sanders vincitore di ben otto punti in New Hampshire e di un punto anche in Iowa, il primo stato dove si voterà a Febbraio. 

Sono segnali preoccupanti. L'ultra liberal Sanders non sembra avere la possibilità di essere l'Obama del 2016, ma la perdita di consenso per Hillary deve suonare come un vero campanello d'allarme. Già tutti i politologi americani si sono lanciati nel descrivere i possibili scenari futuri. Se perde in tutti e due gli stati, alla Clinton verrà chiesto di fare un passo indietro? Se vince Sanders, non è meglio che scenda in campo Joe Biden?

Il vice presidente ci sta pensando seriamente. Aspetta di capire come andranno le prime due votazioni e poi decicerà cosa fare. Se la Clinton dovesse crollare in Iowa e New Hampshire, Biden inizierrebbe la sua avventura elettorale dalla Florida. Accanto a lui potrebbe esserci Elisabeth Warren, la senatrice liberal che tanto piace alla base del partito democratico.

Biden in campo?
Una coppia che ha buone possibilità di affermazione. Lui, Biden si presenterebbe come l'erede di Obama. Lei, la Warren, lo coprirebbe a sinistra. Per la Clinton sarebbe un grosso problema affrontare avversari così preparati. Ma perchè l'ex segretario di stato che sembrava lanciata verso una vittoria sicura, ora appare in difficoltà?

I motivi sono molti. Il primo è che come gli europei, anche gli americani si sono stancati dei "politici di professione". Il successo di DonaldTrump si spiega così. La Clinton è nella stanza dei bottoni da più di 20 anni (First lady, senatrice, segretario di stato) e nonostante sia ritenuta la più preparata tra i candidati per diventare il successore di Barack Obama, la sua figura è associata a un potere politico ed economico di cui moltissimi americani diffidano, se non addirittura rifiutano.

Lo scandalo delle mail
Lo scandalo delle mail non l'ha certo aiutata. Il suo tergiversare nella consegna dei messaggi  mandati con il suo server privato nonostante una legge le imponesse di usare quello dell'amministrazione; le sue tardive scuse per non aver seguito come tutti gli altri le regole del gioco, le sono costate caro. L'indice di fiducia in lei è scivolato verso il basso e così il consenso. Niente di irrecuperabile, ma è evidente che sono in pochi a credere alla buona fede della Clinton.

La sua campagna elettorale è iniziata in modo sommesso e con qualche errore: si è proposta come una donna delle middle class mentre invece è vista da tutti come un'aristocratica; non ha proposto un proprio progetto per l'America, ma si è accontentata (per ora) di assicurare la continuità con la presidenza Obama. Non è il tipo in grado di scaldare i cuori. Una campagna basata su questi pilastri, ha il fiato corto. E infatti, inizia a mancare un poco di ossigeno.

Niente panico comunque. Almeno per ora. C'è tutto il tempo per correggere gli errori. Verrà fatto? La potenza di fuoco (della comunicazione) della Clinton non è stata ancora usata. Gli spot in Iowa e New Hampshire non sono di fatto ancora partiti. L'ex First Lady confida su questo per rimettere in carreggiata la sua campagna elettorale. Per farlo non deve fare però un altro errore: sottovalutare i segnali d'allarme che stanno arrivando dai sondaggi.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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