Il cupo viaggio di Lee Harvey Oswald
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Il cupo viaggio di Lee Harvey Oswald

Chi era l'uomo accusato di aver ucciso John Fitzgerald Kennedy? Una nuova biografia ne svela i segreti, dal viaggio in Urss al ritorno negli Usa

C'è una parte della vita di Lee Harvey Oswald poco esplorata: il periodo trascorso in Unione Sovietica e quel viaggio a Città del Messico, poche settimane prima dell'omicidio di Dallas in cui si sarebbe recato più volte all'ambasciata cubana per ottenere un visto per l'Avana. Questi due viaggi hanno fatto sorgere molte domande sulla sua vera personalità, sulle ombre che da sempre avvolgono la figura dell'uomo accusato di aver ucciso JFK.

Sul soggiorno in Unione Sovietica si sofferma l'ultimo libro di Peter Savodnik. Il giornalista analizza le ragioni per cui Oswald (almeno apparentemente) venne attratto dal comunismo e decise di lasciare gli Usa alla volta di Mosca. "Prima di arruolarsi nei marines, a 17 anni, Lee Harvey, visse in una situazione quasi nomade. In pochi anni, la madre traslocò almeno 20 volte: perdeva il lavoro, finiva una relazione, cercava qualche cosa di diverso - spiega Savodnik in una intervista al The Atlantic - Lui, alla fine, aveva bisogno di qualche cosa di stabile, qualcosa che gli desse un'identità e un senso di appartenenza. Per questo venne attratto dal linguaggio del marxismo, spesso violento nell'incitare a rovesciare l'ordine costituito. Era qualche cosa che poteva sposarsi con la sua rabbia e quel senso di smarrimento esistenziale."

Lee Harvey Oswald è dunque un personaggio alla ricerca di sé stesso. Ma non è ben accolto in Unione Sovietica. Come tutti gli americani (o occidentali) che passano la Cortina di Ferro - e che sono sospettate di essere (potenziali) spie -  viene mandato lontano dal centro del potere, Mosca. La sua destinazione è Minsk, distante più di 600 chilometri dalla capitale, dove può essere reso innocuo ed è ben sorvegliato. In un primo momento, racconta Savodnik, la sua vita è quella di una piccola celebrità, ma ben presto questo effetto novità scompare e Lee Harvey Oswald si trova in una città di provincia, noiosa e grigia. Il suo senso di alienazione e solitudine aumenta, invece che diminuire.

Ed è per quello che due anni e mezzo dopo - dopo il matrimonio con Marina Prusakova -  torna negli Usa. E' il 1962, ma Oswald è un uomo sempre più lontano dall'avere radici. Rimane quella che molti descrivono come una maniacale ossessione per la notorietà, il passare alla storia, sintomo di quella voglia di attenzione che probabilmente non ha mai veramente avuto. I suoi ultimi 17 mesi di vita sono, secondo Peter Savodnik, una cupa corsa, carica di rabbia, verso quel tragico epilogo finale: l'omicidio di JFK e poi la sua uccisione, in diretta tv, da parte di Jack Ruby.

 

Secondo Peter Savodnik, non esiste un Mistero Oswald. E'stato semplicemente creato. La sua non è una spy story, non è il racconto giallo di un agente sotto copertura, ma si tratta di una "banale" storia di disattamento. Secondo altri, invece, Oswald ha ancora troppe ombre e poche luci dietro di sé per essere ritratto con precisione. Comunque sia, queste sono le parole dell'autore di The Interloper: Lee Harvey Oswald Inside the Soviet Union. VAI ALL'INTERVISTA SU THE ATLANTIC

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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