Obama, il TTIP e la liberalizzazione dei trattati commerciali
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Obama, il TTIP e la liberalizzazione dei trattati commerciali

Il presidente fornisce un assist alle grandi corporation americane. La storia si ripete, come ai tempi della Compagnia delle Indie Orientali

Per Lookout news

A fine giugno con il voto determinante al Congresso dei Repubblicani, visti i molti pareri contrari espressi dai Democratici, il Senato ha accolto la richiesta della Casa Bianca del percorso fast-track (corsia preferenziale) per i trattati commerciali TISA (Trade in Services Agreement) TTP (Trans-Pacific-Partnership) e TTIP (Tran­sa­tlan­tic Trade and Invest­ment Part­ner­ship).

In pratica, la procedura conferisce al presidente Barack Obama il potere di stipulare i trattati e sottoporli poi al Congresso, che avrà a sua volta 90 giorni di tempo per approvarli o respingerli in blocco, senza però avere la possibilità di apportarvi modifiche.

 Per molti si tratta di una sorta di contratto capestro, altri hanno parlato dell’esautorazione del potere legislativo e di controllo delle Camere. Motivi per i quali sia deputati che senatori democratici – a favore hanno votato solo 28 deputati (su 188) e 13 senatori (su 44) del partito del presidente – hanno inviato diverse lettere collettive per invitare Obama a riflettere.

 Nella lettera dei senatori all’allora leader della maggioranza democratica Harry Reid (dalle elezioni di Mid Term del 2014 i repubblicani controllano Camera e Senato) viene scritto che “semmai su questi complessi trattati deve essere incrementato il ruolo di questo corpo di consultazione, incrementando l’accesso alle informazioni sulla negoziazione per il Congresso e il pubblico e istituendo forti meccanismi di controllo per certificare che i nostri obbiettivi siano raggiunti […] Per troppo tempo le nostre politiche commerciali hanno danneggiato il nostro settore manifatturiero anziché avvantaggiarlo […] Noi crediamo che qualsiasi pacchetto deve contenere forti disposizioni per contrastare la manipolazione dalla valuta, forti meccanismi per contrastare ingiuste condizioni di lavoro, la capacità delle comunità di mantenere i propri valori”.


Il TTIP non deve indebolire nell’EU e negli USA le protezioni per i consumatori, il lavoro, l’ambiente, la salute

Obama, grande presidente. Nonostante i sondaggi

 Per parte loro, deputati democratici di gran peso hanno scritto direttamente a Obama: “Sta crescendo la nostra preoccupazione che il trattato includa i peggiori aspetti di quelli precedenti […] In particolare poniamo l’attenzione su alcuni punti […] Ci opponiamo all’ulteriore inclusione di un sistema di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati (ISDS) […] Il TTIP non deve indebolire nell’EU e negli USA le protezioni per i consumatori, il lavoro, l’ambiente, la salute […] Dato che queste negoziazioni hanno il loro focus soprattutto su una vasta gamma di processi e politiche regolamentazione delle protezioni commerciali, è richiesto un nuovo standard di trasparenza e inclusione […] Noi e i nostri staff abbiamo difficoltà ad ottenere un accesso significativo alle bozze di queste negoziazioni”.

 

Il sistema di risoluzione delle controversie (ISDS) consente a una corporation di citare in sede extragiudiziale un governo che, applicando proprie leggi, le arrechi un danno. Vale a dire che le corporation possono richiedere un illimitato risarcimento dei contribuenti per suoi attesi futuri guadagni. Dal 2000 il numero delle citazioni si è incrementato di dieci volte. Nei fatti, il largo numero di ISDS sta inducendo diversi Paesi, come recentemente il Sudafrica e l’Indonesia, a porre termine agli accordi sui trattati commerciali.

 

La globalizzazione ai tempi della Compagnia delle Indie Orientali

Contrariamente all’enfasi innovativa che l’ha accompagnata nella sua esplosione mediatica, la globalizzazione – dei commerci e della finanza – si è avuta già più volte nella nostra storia. La più evidente nel passato è quella dell’Impero Romano, che ha portato uguale moneta e uguali leggi, scambi e commerci e una fitta rete di avanzate infrastrutture, nella quasi totalità del mondo allora conosciuto. Nella Roma imperiale da un milione di abitanti vi era un miscuglio di razze, culture, religioni, lingue e traffici ancora oggi probabilmente ineguagliato.

 

La seconda più importante globalizzazione è stata ovviamente quella dell’Impero Britannico, che ha aperto alla modernità di commercio e finanza, delegando all’iniziativa privata il ruolo dello Stato. Nel 1600 la Regina Elisabetta I d’Inghilterra aveva accordato una patente reale – come quella che autorizzava Francis Drake (poi Sir) alla guerra per depredare i mercantili spagnoli – che concedeva il monopolio del commercio nell’Oceano Indiano. La beneficiaria della patente era una società anonima formata da membri dell’aristocrazia e da commercianti, su cui la Corona non aveva controllo diretto. La società prese il nome di Compagnia delle Indie Orientali e iniziò a prosperare grazie al commercio di spezie, the, cotone, seta, tintura d’indaco. Nel 1670 un altro decreto reale concesse alla Compagnia il diritto di acquisire nuovi territori, battere moneta, armare eserciti e svolgere funzioni amministrative nei territori dell’India sotto il suo dominio formando così, privatamente, l’embrione dell’Impero Britannico.

 

Per raggiungere il suo status la Compagnia dovette vedersela con le analoghe Compagnie già fondate in altri Paesi, come quella tedesca, quella francese e quella portoghese. Con la patente che le era stata concessa direttamente dalla Regina, la facoltà di creare eserciti e l’obbligo di avere i conti sempre in attivo, mise da parte la diplomazia ed eliminò la concorrenza portoghese nel 1612 vincendo una battaglia navale davanti alle coste di Suvali. Nel 1647 la Compagnia disponeva in India di tre piazzeforti (Surat, Bombay, Madras) e ventitré fabbriche.

 

Per quanto riguarda la Compagnia francese, riuscì a bloccarne definitivamente le pretese nel 1752 con la vittoria a Palashi. Vittoria con cui si appropriò del redditizio mercato del Bengala, posto sotto il governatorato del comandante che per conto della Compagnia aveva vinto la battaglia.

 

L’esercito della Compagnia era formato nel 1750 da 3.000 soldati, nel 1763 da 26.000 e nel 1778 da 67.000. Combatté ovviamente anche contro potentati indiani che opponevano resistenza. Così le tre guerre conosciute come Anglo-Maratha Wars (contro l’Impero Maratha) e le quattro Anglo-Mysore Wars (contro il Regno di Mysore) furono guerre commercial-coloniali combattute dall’esercito di una compagnia privata inglese che batteva una propria bandiera.

 

Nel diciottesimo secolo si acuì il deficit commerciale tra l’Impero Britannico e la Cina, dato che i beni cinesi erano molto ricercati in Europa mentre Pechino non necessitava di importazioni. I pagamenti dovevano essere effettuati in barre d’argento e per procurarlo la Compagnia delle Indie Orientali avviò il traffico di oppio che produceva in Bengala e importava illegalmente in Cina, dove vigeva un divieto della sua importazione riaffermato dall’Imperatore nel 1799.

L’oppio veniva scaricato a Calcutta e da lì raggiungeva la Cina per vie traverse con il coinvolgimento di varie altre compagnie di gentiluomini inglesi (Jardine, Matheson & Co, Dent & Co). In quell’anno ne furono trafficate 900 tonnellate. Nel 1825 la maggior parte dell’argento per l’acquisto del the cinese veniva dal traffico illegale di oppio. Nel 1826 la Compagnia stabilì degli insediamenti nello Stretto di Malacca per controllare le sue vie di contrabbando verso la Cina. Nel 1838, con un traffico annuale di 1.400 tonnellate, e danni devastanti sulla popolazione, la Cina istituì la pena di morte per il contrabbando di oppio e nominò uno speciale commissario per combatterla. Questo portò alla prima delle due guerre dell’Oppio.

La forza dei privati contro gli Stati sovrani
Questo excursus storico non è solo finalizzato a riassumere il passato della globalizzazione, ma anche a fornire una chiave interpretativa del suo futuro. I trattati in negoziazione di oggi prevedono infatti un decisivo spostamento di potere a favore di enti sovranazionali privati, le multinazionali del commercio e della finanza a discapito degli Stati nazionali.

I documenti sui trattati commerciali pubblicati da Wikileaks e le indiscrezioni filtrate, pongono in evidenza una totale liberalizzazione degli spostamenti di capitali. In questo nuovo scenario, una compagnia privata potrà chiedere risarcimento allo Stato con cui coopera e potrà farlo giudicando come effettivamente utili o dannose ai suoi commerci le misure interne adottate da quello Stato ad esempio a tutela dell’ambiente, della salute pubblica o della condizione dei lavoratori.

Insomma, le compagnie commerciali e finanziarie beneficiarie di questi trattati usufruiranno di uno spostamento di poteri che le riavvicinerà via via allo status della Compagnia delle Indie. Queste compagnie negli USA sostengono e finanziano per tradizione il Partito Repubblicano. Vale soprattutto per i settori dell’energia, dei farmaci, dei media e, ovviamente, delle banche.

Questo può spiegare come mai un Congresso in mano repubblicana, ostile su ogni punto all’Amministrazione Obama, abbia rapidamente approvato i poteri speciali richiesti dal presidente sui trattati commerciali. Poteri che, invece, la stragrande maggioranza dei deputati e dei senatori democratici voleva che fossero sottoposti a una stretta verifica congressuale.

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