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Midterm, buon segno per Trump che tiene il Senato

Ai Democratici non basta aver preso la Camera. Adesso, è tempo di ricostruire la leadership del partito dell’asinello

Le elezioni di Midterm sono storicamente considerate alla stregua di un referendum pro o contro le politiche poste in essere dal governo, e in particolare dal suo presidente. Il rinnovo del Congresso - pensato ogni due anni al fine di garantire un ricambio che la Costituzione ha ritenuto fisiologico per la tenuta democratica del paese - stavolta premia i democratici, che soffiano la Camera ai repubblicani, ma al contempo vede il consolidarsi del potere di Donald Trump al Senato, dove il Grand Old Party (GOP) aumenta il vantaggio.

Cosa succede ora

Secondo la maggior parte degli opinionisti internazionali, lo scenario più probabile al termine delle elezioni di metà mandato avrebbe visto proprio il delinearsi di una Camera democratica e di un Senato repubblicano. Ciò avrebbe comportato come risultato immediato una diminuita percezione d’invincibilità (che qualche detrattore ha chiamato impunibilità) da parte di Donald Trump. In secondo luogo, avrebbe avuto come conseguenza l’inizio di una serie infinita di commissioni d’inchiesta mosse strumentalmente dai democratici contro Trump e, non ultima, una procedura d’impeachment relativa al Russiagate, parallela a un inasprimento dell’inchiesta del Procuratore speciale Robert Mueller sulla base delle investigazioni dell’FBI.
Come a dire che i progressisti avrebbero iniziato a demolire la figura del presidente più odiato dai tempi di Richard Nixon e a imbrigliare l’azione politica dell’attuale Amministrazione, minando l’ego dell’uomo e ridimensionando il suo “tocco magico” (la situazione economica statunitense è oggi al top da oltre quindici anni a questa parte, mentre la disoccupazione è ai minimi storici) a colpi di voti di maggioranza. Tutto ciò si paleserà solo in parte. Il pieno controllo del Senato garantisce al presidente un solido scudo in caso d’impeachment o di simili azioni ostili: tali iniziative della Camera devono, infatti, essere confermate in Senato con un voto a maggioranza qualificata dei due terzi.

Per i repubblicani uno stop fisiologico

Certo, non aver mantenuto i due rami del Congresso appare come una battuta d’arresto per il presidente. Tuttavia neanche Ronald Reagan riuscì mai nell’impresa del suo pieno controllo. Il GOP confidava nel colpo grosso, grazie soprattutto alle straordinarie performance economiche che hanno ridato fiducia ai cittadini americani provati dalla crisi economica del 2007. E per i repubblicani, mantenere il potere esecutivo (Casa Bianca), legislativo (il Congresso) e giudiziario (la Corte Suprema, massimo organo decisionale statunitense oggi conta 5 giudici su 9 sono in quota repubblicani) avrebbe offerto la garanzia di un potere pressoché assoluto per i prossimi due anni.
Storicamente, però, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale nessun partito di un presidente con un gradimento inferiore al 50% ha mai guadagnato seggi alle elezioni di metà mandato alla Camera. Ciò nonostante, Trump ha ridotto il vantaggio dei democratici e contenuto il danno: il partito dell’Asinello (simbolo del partito) sperava di ottenere anzitempo l’effetto “anatra zoppa”, ossia una perdita effettiva del potere del presidente, come quando il suo mandato è in scadenza. Questo è accaduto ad esempio con Barack Obama, che ha visto vanificarsi progressivamente le sue politiche come in tema di sanità (Obamacare) dopo aver perso il Congresso in favore dei repubblicani durante il secondo mandato. Mentre Trump può vantare un Senato blindato sino alle prossime presidenziali.

L’autocritica dei partiti

La riflessione dopo le midterm è allora tutta interna ai partiti. Mentre con la vittoria di Trump alle primarie e poi alle presidenziali del 2016, la politica americana si è trovata di fronte a un fenomeno inedito, che in sostanza ha trasformato il GOP in un “nuovo partito repubblicano”, i democratici restano tutt’oggi orfani di leadership e continuano a puntare tutto sulla sola opposizione al presidente. Troppo poco per pensare di poter vincere un’elezione. Pur rimanendo sostanzialmente conservatore sui temi di principio, il GOP guidato da Donald Trump è cambiato radicalmente per numerosi altri aspetti, a partire dalla base elettorale, oggi composta dalle classi sociali più colpite dalla crisi economica del 2008, e da quelle che non hanno beneficiato delle poche riforme e delle inefficaci politiche di Obama.

Donald Trump è l’uomo che ha permesso un rimodellamento e una trasformazione del partito dell’elefantino (il simbolo dei repubblicani) in qualcosa di assimilabile alla destra sociale di stampo europeo - nazionalista, protezionista e statalista - grazie soprattutto alla visione del suo deus ex machina, l’ex consigliere speciale Steve Bannon. Ma soprattutto, lo ha dotato di un esercito di convinti supporter, un popolo variegato e silenzioso che si stringe intorno alla figura pur controversa del presidente in ogni momento e nonostante tutto. Un popolo che, al montare di campagne mediatiche spudoratamente anti-Trump (una costante dal 2016 in avanti), si è ancor più radicalizzato e saldato intorno al proprio “commander in chief”, riaccendendo gli animi anche di quei vecchi repubblicani delusi da otto anni di opposizione.

Mentre il partito democratico lamenta ancora oggi uno scollamento col proprio elettorato, nonché un’incertezza nelle proposte politiche e un’assenza pesante della figura del condottiero, che rimane essenziale in ogni competizione politica americana. Dalla campagna diffamatoria sulle presunte amicizie di Donald Trump con Vladimir Putin e la Russia, passando per le confidenze rese alla stampa della porno attrice Stormy Daniels, fino alla battaglia per la conferma di Brett Kavanaugh come giudice della Corte Suprema - sporcata da accuse di stupro ai tempi del college -, i democratici sono apparsi in questi anni troppo concentrati sulla forma e poco sulla sostanza, accecati dall’odio e imprigionati dal rifiuto di ammettere la netta vittoria di Donald Trump. Questo indica che per loro è tempo di una profonda analisi e autocritica. E difficilmente basterà un anno per superare l’impasse. Mentre il presidente Trump continua a godere di un sostegno incondizionato del suo “popolo”. Cosìcché, tanto per lui (che ha già annunciato la ricandidatura) quanto per il suo partito, la strada verso le presidenziali del 2020 resta in discesa.

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Luciano Tirinnanzi