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Ma l'accordo in Libia è ancora un miraggio

Nonostante la ripresa dei negoziati a Tunisi, le posizioni di Tobruk e Tripoli restano distanti. Mosca invita alla prudenza gli “interventisti”

Per Lookout news

Nella tarda serata di sabato 12 marzo si è riunito a Tunisi, sotto l’egida delle Nazioni Unite rappresentate dall’inviato speciale dell’ONU Martin Kobler, il Consiglio Presidenziale libico, un organismo di 9 membri nominati dalle due assemblee rappresentative di Tripoli (il General National Congress, GNC) e di Tobruk (la House of Representatives, HOR) con l’incarico di avviare il processo di transizione politica che dovrebbe mettere fine allo stato di guerra civile nel Paese.

 Al termine della riunione, peraltro disertata da due rappresentanti di Tobruk, è stata inviata per l’approvazione alla House of Representatives della Cirenaica una lista di 13 ministri e di 5 ministri senza portafoglio che dovrebbero costituire il nuovo governo nazionale libico. In un comunicato il Consiglio Presidenziale ha chiesto “a tutte le pubbliche e sovrane istituzioni della Libia e a tutti i capi dei dipartimenti finanziari di iniziare immediatamente a dialogare con il governo di Accordo Nazionale (la cui nomina però non è stata ancora ratificata) per un pacifico e ordinato trasferimento dei poteri”. 

La nostra opinione condivisa è che si potrebbe intervenire solo con il permesso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

Con una dimostrazione di ottimismo che al momento appare decisamente prematura il Consiglio Presidenziale ha sostenuto che l’accordo di massima con Tobruk e con “altre figure politiche” (non meglio definite) rappresenta una “luce verde per iniziare a lavorare”. Secondo i piani del Consiglio, il nuovo assetto istituzionale dovrebbe prevedere un sistema legislativo bicamerale basato sulle due assemblee già esistenti a Tobruk e a Tripoli. Il governo dovrebbe sedere a Tripoli se e quando le condizioni di sicurezza, al momento molto precarie, arriveranno a livelli accettabili.

 Il Consiglio Presidenziale da Tunisi ha anche rivolto un appello alla comunità internazionale a “cessare qualsiasi rapporto con ogni potere esecutivo che non si adegui alle decisioni del governo di Accordo Nazionale”.

Anche se molti osservatori, politici e diplomatici stranieri hanno salutato con favore i risultati della riunione di Tunisi, arrivando a prospettare come imminente l’arrivo in Libia di un contingente di 5.000 soldati italiani con mansioni di “consulenza e addestramento”, le possibilità di concreti passi avanti nel progetto di pace sembrano ancora in alto mare. Il comunicato del Consiglio Presidenziale libico sembra, infatti, intriso di wishful thinking (pie illusioni).

 I due parlamenti di Tripoli e Tobruk, il primo islamista e il secondo schierato sulle posizioni laiche e conservatrici del generale Khalifa Haftar le cui milizie controllano la Cirenaica, non solo non hanno ancora approvato la lista dei ministri proposti a Tunisi ma si sono ben guardati dal diffondere comunicati di “pacificazione”. Non ci sono notizie sull’atteggiamento delle altre decine di milizie più o meno autonome che controllano ancora buona parte della capitale e che sono diffuse a macchia di leopardo su tutto il territorio.

Le ultime mosse di ISIS
Sul terreno la situazione è ancora più incerta. Il 14 marzo militanti dello Stato Islamico hanno sferrato un attacco contro una centrale elettrica nella regione orientale di Sarir, un’area strategica da cui proviene più della metà del petrolio che ancora viene estratto in Libia.

È dall’inizio di quest’anno che le milizie islamiste hanno impostato una strategia militare mirata ad assumere il controllo dei terminal da cui partono le esportazioni petrolifere, peraltro crollate a 360.000 barili al giorno, meno di un quarto della produzione dei tempi del Colonnello Gheddafi. Il Califfato ha approfittato del caos che regna in Libia e dopo essersi impossessato di Sirte sta progressivamente acquisendo il controllo di diverse aree e città della costa, mostrando, come detto, di prediligere gli attacchi alle installazioni petrolifere.

 

La posizione della Russia 
Insomma, la crisi libica sembra ancora lontana da una soluzione credibile e accettabile. Le prospettive di un intervento militare esterno sono rese difficili non solo dall’assenza di un governo di unità nazionale ma anche dalla confusione che sembra regnare nelle cancellerie occidentali e dall’assenza di un consenso diffuso sulle modalità di un possibile intervento. In proposito il 14 marzo di fronte alle notizie pubblicate dalla stampa italiana sulla presunta spedizione italiana il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ha saggiamente ricordato alla comunità internazionale che un’operazione di polizia internazionale in Libia sarà possibile e lecita solo con l’approvazione delle Nazioni Unite.

“Noi sappiamo di piani per un intervento in Libia – ha sottolineato Lavrov in un comunicato -. La nostra opinione condivisa è che si potrebbe intervenire solo con il permesso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Un possibile mandato per un’operazione contro il terrorismo in Libia deve essere definito senza ambiguità, così da evitare false interpretazioni”. Parole chiare e prudenti, che unite alle condizioni politiche e militari della Libia di oggi lasciano supporre che la “luce verde” accesa a Tunisi non sia ancora quella decisiva.

Bengasi, la cacciata dell'Isis

Guerra in Libia, Bengasi
ABDULLAH DOMA/AFP/Getty Images
Bengasi, Libia, 23 febbraio 2016. Una donna fa il segno della vittoria accanto a un uomo armato, festeggiando la cacciata degli islamisti di ISIS da parte dei combattenti fedeli al governo di Tobruk.

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Alfredo Mantici