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Lotta all'Isis: gli arresti in Austria e l'accelerata degli Usa

Due persone sospettate di collegamenti con la strage di Parigi sono state fermate a Salisburgo. Il segretario alla difesa americano è a Baghdad

A Salisburgo la polizia austriaca ha arrestato due persone sospettate di avere collegamenti con gli attacchi di Parigi del 13 novembre: due cittadini francesi entrati in Austria ad ottobre assieme ad alcuni membri della cellula che ha compiuto i massacri; secondo la stampa locale, i due con falsi passaporti siriani avevano viaggiato dalla Grecia attraverso i Balcani assieme ai centinaia di migranti in cerca di rifugio in Europa.

La paura di Parigi

A Parigi è ancora paura: oggi un auto all'improvviso si è lanciata contro l'ala dell'Hotel des Invalides in cui ha sede il Museo dell'Esercito. Uno dei poliziotti di guardia ha aperto il fuoco sulla vettura, esplodendo una decina di colpi e costringendo a fermarsi il conducente, che è stato subito arrestato.

Intanto gli Usa spingono l'acceleratore nella lotta all'Isis. Il segretario alla Difesa, Ash Carter, è giunto a Baghdad per incontrare i militari americani in loco ed avere dalla loro viva voce una "lettura" della situazione sul campo. Arrivato dalla Turchia, dove martedì ha visitato la base di Incirlik, da dove partono gli aerei americani che bombardano i jihadisti, il capo del Pentagono incontrerà anche gli alti responsabili del governo iracheno e della coalizione anti-Isis.

La coalizione islamica

È ancora invece nebuloso il ruolo della nuova coalizione islamica a guida saudita, ruolo nebuloso persino tra i suoi membri. Le reazioni di alcuni Paesi inclusi nella corposa lista dei partecipanti sembrano indicare quantomeno una sommaria preparazione da parte di Riad, che avrebbe avvicinato i partner con un invito a unirsi a un centro di coordinamento di lotta all'Isis e poi ha annunciato una coalizione militare. Il Pakistan, che renderà nota domani la sua posizione, non ha nascosto la sua "sorpresa"; tanto più che una situazione simile si era già verificata nel marzo scorso quando scoprì di essere stato inserito - senza previa consultazione - nella lista di Paesi della coalizione contro i ribelli Houthi (sostenuti dall'Iran) in Yemen guidata da Riad. All'epoca Islamabad se ne distanziò, con non poco fastidio da parte dei sauditi.

Nel Pakistan vi sono sia sunniti che sciiti (questi ultimi in minoranza), molto spesso in conflitto tra di loro; e poiché il fragile equilibrio interconfessionale è sovente messo a rischio da scontri o attentati, il Paese rimane assai sensibile al "risiko" regionale tra l'Iran, potenza sciita, e la rivale Arabia Saudita, pilastro del mondo sunnita.

Gli italiani a Mosul

Intanto il premier Matteo Renzi ha spiegato il senso dell'invio dei 450 militari italiani a difesa dei lavori della diga di MOsul, il cui appalto è stato vinto da una ditta italiana. "Abbiamo una diga a Mosul che (se crolla, ndr) rischia di distruggere Baghdad e metà dell'Iraq. Non ci preoccupiamo di esibizioni muscolari, ma di cose concrete. Solo gli italiani possono mettere a posto quella diga", ha spiegato. "Si rischia un patatrac" e per evitarlo "l'Italia, d'accordo con gli Usa, interverra'". Molto critica la reazione di Renato Brunetta (Forza Italia) per la mancata comunicazione preventiva dell'operazione al Parlamento ("L'annuncio è arrivato da Porta a Porta") e anche del M5S: "La storia della diga è il solito pretesto umanitario per giustificare un intervento armato". (AGI)

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Ansa
Poliziotti francesi nel raid a Saint Denis, vicino Parigi - 18 novembre 2015

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