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L'economia fragile della Spagna

Disoccupazione record, debito pubblico alle stelle, corruzione galoppante, pensioni fuori controllo. Cosa succede a Madrid, nel silenzio assoluto

Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, infatti, la crescita in Spagna sarà del 2,2 per cento nel 2019 e dell’1,9 nel 2020, dopo il 2,6 per cento del 2018. «Il problema principale del nostro Paese è la bassa produttività» dice a Panorama Rafael Pampillón, ordinario di economia all’Universita Instituto de Empresa di Madrid, e consulente per il governo in materia di privatizzazioni. «Bisogna aumentarla, agendo per esempio sulla formazione professionale, creando manodopera qualificata. Il governo deve investire di più in innovazione, dove il nostro Paese investe appena l’1,2 del Pil contro il 2 per cento della media europea. Occorre abbassare il costo della bolletta energetica, favorire la crescita della dimensione delle imprese, oltre che agire sul taglio della spesa pubblica improduttiva».

Cose che evidentemente il governo Sànchez non ha fatto. Il principale errore che molti hanno imputato al precedente esecutivo è stato proprio quello di aver praticamente perso un anno, senza agire su nessuno dei problemi economici strutturali, come il mercato del lavoro. Le ultime riforme in tal senso sono state quelle del governo di Mariano Rajoy, che hanno rilanciato l’economia ma, secondo i sindacati, a scapito dei lavoratori. «Il governo deve intervenire subito sulla precarietà e sulla disoccupazione» afferma Pepe Álvarez, segretario di Ugt, il maggior sindacato spagnolo. «Va ripensato il nostro sistema produttivo, puntando su prodotti ad alto valore aggiunto, che tengano conto della transizione ecologica in atto. Il governo uscito dalle elezioni è in grado di farlo, ma deve averne la volontà».

Forse, più che di volontà, si tratta di trovare la forza parlamentare per mettere mano a riforme strutturali come quella della pensioni, che necessitano di una chiara maggioranza, e nessuno dei partiti allo stato attuale la possiede. Basti pensare che il 22 per cento degli spagnoli vive grazie alla pensione e un 4 per cento con il sussidio di disoccupazione.

Il deficit pensionistico, attualmente assestato a circa 17 miliardi di euro, rischia di andare fuori controllo in pochissimi anni se non si interviene al più presto. «Il controllo della spesa pubblica non è né di destra né di sinistra, ma solo di una politica cosciente e di buon senso» sostiene Santiago Lago Peñas, docente di economia all’Università di Vigo.

Per cercare di mettere in ordine i conti pubblici, il governo Sánchez, di concerto con Podemos, ha già previsto un consistente aumento di tasse sia per la parte più ricca della popolazione (il 2 per cento in più per i redditi oltre 130 mila euro, il 4 per cento in più per quelli oltre 300 mila) sia per gli utili societari, che dovrebbero portare il carico fiscale al 40,4 per cento dal 34,1 attuale (secondo le prime stime, oltre 22 miliardi di euro in più di entrate in tre anni). Inoltre, nel programma del Psoe è prevista una crescita del 25 per cento del salario minimo a 1.133 euro.

Il mondo delle imprese ha però chiaramente lasciato intendere che un eventuale aumento delle tasse non potrà che avere un effetto recessivo. Antonio Garamendi, il presidente della Ceoe, la nostra Confindustria, ha auspicato, all’indomani del voto, una coalizione di centrosinistra con Psoe e Ciudadanos per garantire «moderazione, stabilità e certezza del diritto».

Ma Albert Rivera, leader del partito di centrodestra, non pare intenzionato a considerare una simile eventualità. «È chiaro che la politica fiscale può accelerare o fermare l’arrivo di una recessione. La maggioranza della sinistra ne accelererà l’avvio. Non è una buona idea aumentare le tasse in un momento come questo di decelerazione economica» dice l’economista Javier Santacruz dell’autorevole think tank Civismo, autore tra le altre cose di un’interessante inchiesta sulla situazione del risparmio in Spagna.
In questo studio, infatti, si evidenzia come il risparmio in Spagna sia calato a 33,5 miliardi di euro, quasi la metà di tre anni fa. Poco più del 30 per cento degli spagnoli ha denaro sufficiente per far fronte a un imprevisto; considerando che la media di risparmio degli spagnoli è circa 720 euro all’anno, questi dati mostrano ancora di più quanto siano fragili le basi dell’economia iberica.
Un’economia che sconta il fatto di reggere gran parte della sua ricchezza su tre settori principali: costruzioni, agricoltura e turismo. La Spagna ha la maggiore produzione al mondo di olio di oliva (il 76 per cento di tutto quello prodotto in Ue viene dal Paese iberico), che gli permette di controllare praticamente il mercato. Anche la produzione di vino ha registrato in questi anni grandi passi avanti, facendo della Spagna il terzo produttore al mondo, dopo Francia e Italia. Ma i problemi dell’agricoltura in Spagna sono legati a un territorio difficile e a una relativa arretratezza dei sistemi di coltivazione.
Il turismo, che da solo rappresenta oltre il 10 per cento della ricchezza nazionale, conta sul fatto che da sempre è ritenuto un settore strategico per il Paese. La Spagna nel 2017 è stata la seconda destinazione preferita dai turisti, dopo la Francia e davanti agli Stati Uniti, con 81,8 milioni di presenze. Per il settore delle costruzioni, infine, dopo quattro anni di crescita, è previsto un deciso rallentamento, - 3,1 per cento nel 2021.

Al Paese manca una solida industria manifatturiera, come in Germania, Francia e Italia, e questo contribuisce a creare un notevole squilibrio nella bilancia dei pagamenti. La Spagna ha tassi di debito con l’estero estremamente elevati. Il suo indebitamento complessivo, privato e pubblico, con l’estero è tra i più alti dell’Unione europea: pari all’84 per cento circa del Pil, di quasi 50 punti percentuali superiore al consentito (secondo i parametri Ue dovrebbe essere sotto i 35). In tutto ciò destano ulteriore preoccupazione i conti delle principali banche del Paese, che dopo aver superato la crisi del 2008 sembrano tornati in sofferenza. Bankia e Santander, due dei principali istituti, hanno registrato utili in calo del 10 per cento nel primo trimestre 2019. Per il nuovo governo si prospetta un periodo caldo sul fronte economico, e dopo le schermaglie della campagna elettorale, ora ci vogliono i fatti. Proprio quelli che, in questo ultimo anno, sembrano essere mancati dalle parti della Moncloa.
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