Bülent Kiliç in Turchia
© Bülent Kiliç / AFP
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Le “prove” dei russi in Siria e il possibile scenario afghano

I satelliti svelano il massiccio intervento russo. Con gli Usa temporaneamente nell’angolo, si rischia una replica dell’invasione sovietica del 1979

Dopo l’arrivo di militari russi e d’ingente materiale bellico aviotrasportato, i recenti movimenti degli uomini di Mosca intorno alla città costiera di Latakia suggeriscono che il Cremlino intende stabilire qui una “base operativa aerea avanzata”. A dirlo sono le immagini satellitari analizzate dagli esperti del Pentagono, che hanno registrato un afflusso esponenziale di persone e attrezzature nella zona sin troppo sospetto.

 I satelliti indicherebbero la presenza di nuove infrastrutture in costruzione, alcune delle quali già realizzate: piste di atterraggio, elicotteri, hangar, carri armati e batterie antiaeree, concentrate intorno al Bassel Al Assad International Airport (dal nome del fratello maggiore del presidente Bashar Al Assad, morto nel 1994 in un incidente d’auto e che avrebbe dovuto essere presidente al suo posto).

 Una delle immagini più evidenti (pubblicate da Foreign Policy) è proprio la grande colata di asfalto che servirebbe come pista per il decollo e l’atterraggio di aerei dalle grandi dimensioni. Mentre altre fotografie suggeriscono l’impiego di ruspe e operai per la realizzazione di prefabbricati (alloggi per soldati?) e di una vera e propria torre di controllo aerea, forse già funzionante.

 Contemporaneamente, l’intelligence USA riferisce che i russi stanno inviando altre navi in ​​Siria, tra Latakia e Tartous (quest’ultima vera e propria enclave militare russa): imbarcazioni che ovviamente dichiarano una rotta diversa, come il porto egiziano di Port Said, salvo poi prendere una strada diversa. È quello che gli americani chiamano con un’espressione tipica “wrong turn to Albuquerque”.

 

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I possibili risvolti della guerra
Insomma, mentre il Paese si avvia al quinto anno di guerra, i pragmatici russi non intendono più stare a guardare mentre la Siria si disintegra del tutto. Che poi queste immagini satellitari siano o meno frutto della propaganda americana, poco cambia. La forte presenza sul terreno del principale alleato di Assad – l’unico oramai, eccettuato l’Iran – non è un segreto e l’aumento delle forze in campo certifica che il presidente Bashar Al Assad ha già perso la sua guerra. Al contempo, questa è la migliore garanzia del fatto che le ostilità proseguiranno.

 Da quando i jihadisti di Jabhat Al Nusra – ala radicale qaedista che opera tra Aleppo e la regione di Latakia, ora in concorrenza ora in aiuto allo Stato Islamico – hanno conquistato Idlib e iniziato manovre e incursioni verso la costa siriana (Latakia ha subìto anche attentati terroristici), Mosca si è risolta per l’intervento unilaterale e ha iniziato la messa in sicurezza del territorio, in funzione soprattutto difensiva. Per Mosca, infatti la costa siriana è strategica per “dominare” il Mediterraneo e conta più che difendere la capitale Damasco, obiettivo solo secondario.

 Che poi tutto ciò si traduca più avanti in una guerra offensiva da parte della Russia, questo dipenderà anche e soprattutto dalle strategie di guerra dei ribelli, che lentamente avanzano verso Aleppo, Damasco e in quei territori dove ancora il regime siriano mantiene il potere.

 

Le contromosse di Washington
Un potere, quello del clan Assad, che gli è sfuggito di mano tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 e che ormai prefigura una spartizione in tre o quattro parti del territorio un tempo noto come Siria. Altrimenti, l’intervento russo non si sarebbe verificato con questa velocità e con simili modalità, considerato soprattutto il fatto che nel teatro di guerra siriano già operano numerosi altri Paesi sotto l’ombrello di una coalizione internazionale a guida americana.

 Un azzardo che si è reso necessario visto l’acuirsi della crisi, almeno questa è l’opinione dei russi. Dei quali si può dire tutto, tranne che non siano realistici. Così, gli strateghi del Cremlino, abili giocatori di scacchi, hanno fatto la loro mossa. Adesso, sta agli altri rispondere. Ovvero agli USA, ai quali la scelta unilaterale di Mosca non solo non è piaciuta, ma li ha completamente spiazzati compromettendo le possibili contromosse.

Se ormai c’è poca speranza di stabilire una no-fly zone sulla Siria – a meno che Washington non voglia abbattere aerei russi per farla rispettare – anche gli sforzi per armare l’opposizione siriana contro Assad si complicano. Proseguire su questa linea, infatti, significherebbe combattere una guerra per procura contro Mosca dagli esiti imprevedibili, che potrebbe portare il Pentagono a replicare lo schema applicato già ai tempi dell’invasione russa in Afghanistan negli anni Ottanta. Una scelta pericolosa che difficilmente produrrebbe gli stessi risultati.

La Russia invia soldati in Siria - video

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