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Le lacrime della Mogherini: sbagliate e perdenti

Agli attentati di Bruxelles, cuore delle istituzioni europee, bisogna rispondere con durezza non con commozione

Il pianto di Federica Mogherini è la risposta peggiore che l’Europa possa dare ai terroristi. Abbiamo visto tutti l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e della sicurezza (nome troppo solenne se paragonato al valore relativo della carica ricoperta) incontrare il ministro degli Esteri giordano subito dopo l’attacco terroristico a Bruxelles.

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E tutti l’abbiamo vista interrompere la conferenza stampa, la voce rotta, il volto devastato dalla commozione. L’abbiamo vista non restare impassibile al suo posto ma abbandonare la posizione, lasciare il microfono e avvicinarsi all’interlocutore piangendo sulla sua spalla.

Non possono non tornare alla mente altre immagini (e parole) di donne e uomini di governo che si sono trovati a commentare a caldo l’attacco stragista ai loro cittadini, alla loro nazione. Ricordiamo il tono inflessibile di George W. Bush dopo l’11 Settembre, della Regina Elisabetta che ribadiva la volontà del popolo britannico di non cambiare stile di vita dopo gli attentati di Londra, del russo Putin dopo la tragedia dell’aereo di turisti nel Sinai, o dello stesso Barack Obama dopo la decapitazione di un ostaggio americano.

Senza una lacrima si rivolgevano direttamente ai terroristi, a muso duro, promettendo di dare la caccia agli assassini ovunque fossero, che non ci sarebbe stato luogo o tana sulla terra dove avrebbero potuto riparare e salvarsi.

Potremmo andare indietro a Churchill, se non fosse eccessivo citarlo accanto a Lady Pesc Mogherini. Nei momenti cruciali, storici, nel mezzo di una guerra diffusa in Europa, che attacca le nostre città, non è il pianto il messaggio che le istituzioni possono permettersi di dare.

Né la retorica esibizione dei colori nazionali a tingere i profili di facebook o le frasi buone per Twitter del tipo “Je suis…” qualcosa. Certo, sono tutti buoni a parole e la solidarietà va da sé. Potremmo raccontare Bruxelles cuore spezzato dell’Europa. Bruxelles che ospita capi di governo e ministri dell’Unione. Bruxelles che è (era?) un modello d’integrazione multietnica.

Bruxelles che ha cresciuto i kamikaze del 13 novembre a Parigi e quelli che si sono fatti saltare all’aeroporto Zaventem e nella metro, a ridosso del quartiere europeo. Bruxelles vicina di casa, dietro l’angolo, dirimpettaia. Bruxelles italiana quanto francese, inglese, tedesca, polacca... Bruxelles bersaglio del nemico interno, tradita dai suoi stessi cittadini. Bruxelles in ginocchio.

Bruxelles sede dell’Unione Europea e della NATO. Bruxelles straziata. Quanto dolore, quante lacrime. Vero.

Bruxelles martire. Ma di fronte al martirio di Bruxelles la nostra reazione non può essere il pianto di chi dovrebbe mostrare il volto che avremmo bisogno di vedere. Duro, rassicurante. Se qualche terrorista ha guardato il video della conferenza stampa di Lady Mogherini, al suo pianto avrà risposto con uno sghignazzo. La commozione in certi momenti è un lusso che chi governa non può (non deve) permettersi.

Gli attentati a Bruxelles

Bruxelles, Place de la Bourse
Carl Court/Getty Images
22 marzo 2015. Candele e fiori in Place de la Bourse/Beursplein a Bruxelles, per esprimere solidarietà alle vittime degli attacchi terroristici.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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