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L'avvertimento degli Usa a Israele: "Non date informazioni a Trump"

Quello che pareva essere un - gravissimo - caso isolato di intelligence si sta invece rivelando un intrigo internazionale di enormi proporzioni

Gli Stati Uniti, la Russia, e ora anche Israele, l'Iran, e sullo sfondo le rispettive intelligence, il terrorismo reale e virtuale, la campagna presidenziale americana: si allarga di giorno in giorno l'elenco del contenuto presunto di quel vaso di Pandora che se e quando sarà completamente scoperchiato potrebbe portare addirittura all'impeachment di Donald Trump - il vero perno dell'intera vicenda - e avere effetti devastanti sull'intero scacchiere mondiale.

Una prima reazione si è avuta ieri, poco dopo che era circolata la notizia del passaggio di informazioni alla Russia, con il parlamentare tedesco Burkhard Lischka che ha dichiarato "se il presidente americano passa informazioni ad altri Paesi come gli pare, allora diventa un rischio per la sicurezza di tutto il mondo occidentale".

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E l'esternazione è stata poi seguita dalle voci che altri Paesi dell'Ue potrebbero decidere di smettere di condividere anche le loro informazioni di intelligence.

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La ricostruzione dei fatti
Qualche giorno prima che Donald Trump si insediasse alla Casa Bianca, l'intelligence americana aveva chiesto a quella israeliana di non condividere informazioni sensibili con la futura amministrazione americana finché non fossero stati chiariti i rapporti tra l'allora presidente eletto e la Russia.

Quell'incontro, descritto il 12 gennaio scorso in un articolo del quotidiano israeliano Yedioth Ahronot, getta luce sulle nuove rivelazioni del New York Times, secondo cui è stato Israele a fornire al presidente americano le informazioni sensibili poi date da quest'ultimo ai russi.

Nel corso della transizione dall'amministrazione Obama a quella di Trump il tema venne affrontato in un incontro tra le intelligence dei due paesi, la cui data non fu svelata dal quotidiano per la necessità di tutelare le fonti.

In quella occasione gli 007 americani fecero presente ai colleghi israeliani che la National Security Agency (NSA) possedeva "informazioni molto attendibili" sul fatto che fosse stato il Cremlino a ordinare l'attacco hacker alla campagna elettorale di Hillary Clinton.

Fonti israeliani che hanno partecipato al meeting tra gli 007 raccontarono che gli americani erano molto preoccupati di una eventuale ricattabilità del nuovo presidente, nei confronti del quale Vladimir Putin avrebbe potuto utilizzare "strumenti" di pressione".

Retroscena inquietanti
Gli 007 americani sembravano riferirsi al documento, non verificabile ma consegnato sia a Trump che a Barack Obama dall'intelligence, secondo cui il magnate era stato in passato al centro di un kompromat, ovvero la classica trappola con cui, tra l'altro, i servizi segreti sovietici della Guerra fredda utilizzavano prostitute per poter irretire l'obiettivo e poi ricattarlo.

La questione sollevata dagli agenti americani non poteva non suscitare l'attenzione dei colleghi facendo spuntare durante quella riunione più di un accenno a Teheran. Washington, infatti, era preoccupata che i segreti condivisi con gli israeliani negli anni di Obama e in quelli di George W. Bush potessero finire da Mosca nelle mani dell'Iran, amico storico della Russia e acerrimo nemico dello Stato ebraico.

Insieme con quest'ultimo gli Stati Uniti hanno realizzato diverse operazioni per colpire Teheran, tra cui la messa a punto del virus Stuxnet, che ha danneggiato gravemente il programma nucleare iraniano.

La stessa preoccupazione viene ribadita oggi dal New York Times, nell'articolo in cui indica il rischio che queste informazioni possano essere "passate all'Iran, stretto alleato della Russia e una delle principali minacce per Israele in Medio Oriente".

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Luciano Lombardi