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La risoluzione ONU che autorizza la guerra all’ISIS

Interessi divergenti nel Consiglio di Sicurezza hanno partorito un via libera all’attacco in Siria. Ma gli obiettivi sono diversi per Russia, Francia e Usa

Per Lookout news

Nelle dichiarazioni di Francois Hollande e Barack Obama durante la visita a Washington del presidente francese del 24 novembre 2015, è stato rimarcato più volte che un’eventuale collaborazione con la Russia in Siria necessita che questa si concentri sull’attacco all’ISIS. Il nemico principale per Hollande e Obama è l’ISIS.

 Può sembrare strano che i due presidenti siano all’oscuro di quanto ratificato dai loro rappresentanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ancora più strano che Hollande non conosca appieno il testo della risoluzione 2249 proposta dal rappresentante francese, e approvata dal Consiglio di Sicurezza il 21 novembre 2015 all’unanimità, cioè senza il veto di alcuna delle 5 potenze (Russia, Cina, Usa, Francia, Regno Unito).

 La risoluzione è stata presentata dalla Francia dopo gli attacchi di Parigi, per sostenere il proprio intervento in Siria contro l’ISIS e per sollecitare quello di altre nazioni. Ma per quanto il paragrafo principale della risoluzione ponga in risalto la minaccia globale rappresentata dall’ISIS, esso termina indicando in modo più esteso gli obiettivi contro i quali l’ONU autorizza l’attacco.

Giusto nel paragrafo successivo, si ricorda (“Recalling”) che anche il Fronte Al-Nusra (espressione di Al Qaeda in Siria) costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. E, ancora più estesamente, tutti gli individui, gruppi, imprese ed entità (“individuals, groups, undertakings and entities”) associati con Al Qaeda. Dato che molti gruppi islamisti sono in unità di azione con Al-Nusra (come Jund al-Aqsa, ‘Khorasan Group’, Al-Firqa Al-Saahiliyya Al-Uwlaa, e altri).

La risoluzione ONU
Ma al punto 5 della risoluzione, quello che esorta all’intervento, il ventaglio degli obiettivi legittimi si allarga ancora di più, includendo dopo ISIS, Al Nusra, Al Qaeda, anche “altri gruppi terroristi”. Non solo quelli designati dall’ONU, ma anche quelli che potranno essere ulteriormente stabiliti dall’International Syria Support Group.

 La Russia voleva far inserire nella risoluzione che ogni intervento dovesse essere concordato con il governo siriano. Richiesta legittima sul piano del diritto internazionale (dato che quello di Assad è ancora il governo riconosciuto) e politicamente motivata dal timore che interventi autonomi in Siria che scavalcano il governo, possano preludere poi a un suo scavalcamento nella fase di transizione. Cioè all’estromissione pregiudiziale di Assad che, come atto imposto dall’esterno, preluderebbe a pari decisioni prese dall’esterno, anziché dal popolo siriano e sue rappresentanze, sul futuro politico e territoriale della Siria.

 Alla risposta negativa della Francia, la rappresentanza russa ha preferito per ora non porre il veto e votare una risoluzione che ha comunque posto al centro del problema siriano la lotta contro i gruppi terroristici. Fattore decisivo ribadito da mesi sia da loro sia da Assad, che sposta il focus internazionale lontano dal regime siriano.

 

I lati oscuri della risoluzione
Gli Stati Uniti, per parte loro, avrebbero preferito che gli obiettivi legittimati dalla risoluzione non fossero così estesi, ma si limitassero al solo Stato Islamico. Perché, al fine di far cadere Assad, insieme con gli inglesi hanno le mani in pasta in molti gruppi che potrebbero rientrare negli obiettivi designati. Senza contare il ruolo degli alleati Arabia Saudita e Qatar. Questi ultimi avrebbero evitato volentieri che il paragrafo 6 fosse una esplicita esortazione agli Stati membri di intensificare gli sforzi per arginare il flusso di combattenti terroristi stranieri in Iraq e Siria, e prevenire e reprimere il finanziamento del terrorismo.

 Sul primo punto, potrebbe essere sottoposta a censura l’alleata Turchia, principale passaggio dei foreign fighters jihadisti europei (stimati in oltre 3.000). Sul secondo punto, finirebbero sotto critica ancora la Turchia, per il passaggio del petrolio di contrabbando appartenente all’ISIS, e i flussi finanziari che dai paesi del Golfo raggiungono la jihad wahabita anti-sciita in Iraq e in Siria.

 Non potendo tirarsi indietro dopo gli attacchi di Parigi – visto il mandato di guerra in bianco che hanno preteso dal mondo intero dopo l’11 settembre – gli Stati Uniti hanno quindi votato la risoluzione, benché la loro rappresentante Michele Sison si sia avventurata a dichiarare, riferendosi all’ISIS, che “il governo siriano ha mostrato che non può e non vuole sopprimere tale minaccia”.

 Resta da chiedersi se siano state le sparute brigate sostenute ufficialmente dagli USA, e non invece le forze governative siriane con il supporto aereo russo, a rompere l’accerchiamento della base militare di Kweyris, assediata da due anni dall’ISIS in pieno territorio conquistato dal Califfato.

 

Abbattimenti di aerei
Per converso la Turchia, alleato degli USA e membro della NATO, ha mostrato quanto sia poco incline a contrastare l’ISIS e i gruppi terroristici indicati nella risoluzione ONU. Ankara, non paga del libero passaggio e supporto dei foreign fighters, si è incaricata di dare un preavviso alla Francia abbattendo un jet russo, per farla desistere dagli intenti di partenariato bellico con la Russia per combattere lo Stato Islamico unilateralmente, e riportare l’attacco saldamente in ambito NATO.

 L’aereo russo – benché ogni giorno su quel breve tratto ne passassero più d’uno per una manciata di secondi, senza che costituissero per questo alcuna minaccia – è stato intenzionalmente abbattuto proprio nel giorno della visita di Hollande a Washington. Perché, se effettivamente sconfinato, poteva (doveva) essere ingaggiato e sospinto oltre confine.

 Il jet è caduto su un territorio dove i russi martellano sia le milizie di Al Nusra (e alleati) sia le formazioni dei turcomanni siriani. Questi dopo aver sparato sui due piloti lanciatisi col paracadute – atto contrario alla Convenzione di Ginevra – hanno trascinato esultanti il cadavere di uno dei due (al ripetuto grido “Allahu Akbar”). Un’invocazione a Dio forse consona al costume islamico, ma identica a quella di tutti gli altri invasati jihadisti.

 Intervistati sulla prodezza, i turcomanni hanno detto che “l’aereo russo è stato abbattuto dai nostri caccia”. L’F-16 che ha distrutto il Sukoi russo – per il cui uso in combattimento il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov dice essere necessaria una comunicazione agli USA – era sì turco ma loro, benché turcomanni, sono cittadini siriani. Quindi “nostri” di chi? È come se un altoatesino dicesse “nostri” in riferimento agli aerei austriaci.

 

I doppi giochi, le alleanze reali e quelle impossibili
I turcomanni sono sponsorizzati dalla Turchia e agiscono in funzione della volontà del governo turco di far cadere Assad per le mire neo-ottomane di Erdogan nella regione. Ma al contempo combattono i curdi siriani impegnati contro il regime e contro l’ISIS, poiché invisi alla Turchia. I turcomanni, insomma, non sono cittadini siriani in rivolta contro un dittatore ma una quinta colonna turca, dotata per di più dei missili TOW usciti dai depositi sauditi e paracadutati dagli americani alle milizie anti-Assad (quei missili tra l’altro sono l’arma con cui hanno distrutto uno degli elicotteri russi giunti per il recupero dei piloti).

 Si ha quindi che un aereo “americano” ha abbattuto un jet russo e che un’arma anticarro di origine americana ha distrutto un elicottero russo di soccorso. Abbastanza difficile ipotizzare un’alleanza russo-americana per la lotta all’ISIS, visto che gli USA, lasciando utilizzare quegli armamenti per attaccare i russi, stanno combattendo contro la Russia una guerra per interposta persona. La stessa che avevano avviato in Ucraina servendosi dell’esercito ucraino e delle milizie filonaziste. Lì gli USA hanno perso la guerra, ma ottenuto una forte spallata al definitivo sconquasso dell’Europa, nonché la rottura dell’inviso partenariato euro-russo, il loro vero obiettivo. Qui l’obiettivo è di là da venire.

Attacchi aerei russia Siria
EPA/RUSSIAN DEFENCE MINISTRY PRESS SERVICE
Un frame da un video pubblicato dal sito ufficiale del Ministero della Difesa russo, il 17 novembre 2015. Tecnici al lavoro su un velivolo pronto a decollare per colpire obiettivi dello Stato Islamico in Siria.

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