Ma in Siria non ci sono buoni e cattivi
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Ma in Siria non ci sono buoni e cattivi

La verità è sempre più complessa di quello che appare. E dipingere Assad come il nuovo mostro da abbattere non aiuta la comprensione di ciò che sta avvenendo a Damasco

Per Lookout News

Domenico Quirico, inviato del quotidiano italiano LaStampa in Siria, è scomparso ormai da molte settimane, probabilmente ingoiato da un posto di blocco di ribelli, dopo che era andato a documentare il disastro siriano e ancora non sappiamo se e quando tornerà. Del resto, sulla Siria sappiamo poche cose con chiarezza. Che la situazione non sia etichettabile facilmente come lotta tra “buoni e cattivi” è evidente a tutti. Così come lo è il fatto che Bashar Assad, pur essendo un tiranno, al momento governa ancora uno Stato riconosciuto da tutti i Paesi del mondo civile.

Chi lo ha paragonato a Nicolae Ceausescu, il dittatore romeno che terrorizzò la Romania fino al 1989, dimentica che il genocidio per cui Ceausescu venne mandato a morte (si parlò di 60mila morti) fu un falso giornalistico, frutto di vere e proprie “bufale informative”: i morti di Timisoara che tanto impressionarono l‘Occidente, infatti, vennero tirati fuori dalla sala mortuaria dell’ospedale locale (erano già deceduti per cause naturali) e buttati per le strade, proprio per creare un “caso umanitario” internazionale.

E come non ricordare che l’intervento in Libia del 2011 venne provocato anche da notizie che, a posteriori, si rivelarono fantasiose, come quelle secondo cui l’aviazione libica bombardava i cortei nel centro di Tripoli? Per non parlare delle foto di “presunte fosse comuni” tratte da un normale cimitero musulmano. O per non tornare ulteriormente sulle armi chimiche inesistenti dell’Iraq.

Insomma, quando si parla di Siria oggi non vi sono evidenze a cui aggrapparsi: non sappiamo quanti morti ci siano stati, né quante siano le vittime degli attentati jihadisti e quante invece le vittime della repressione contro i ribelli. Si veda la bomba all’università di Damasco, che è stata spacciata per un bombardamento dell’aviazione di Assad quando è ben noto che quell’ateneo è un centro di preparazione per la classe dirigente alawita (di cui Assad è parte). Un’analisi attenta dell’episodio farebbe forse propendere per un attentato sunnita contro un centro culturale degli avversari storici.

Certezze e incognite sulla guerra in Siria
Noi - e, per esteso, gli americani - purtroppo prendiamo troppo spesso per oro colato quanto riferiscono Al Arabiya o Al Jazeera  (quest’ultima propaggine mediatica dell’Emirato del Qatar, noto finanziatore di terroristi jihadisti in tutta la regione e principale fornitore di armi, soldi e disinformazione per la ribellione).

Di sicuro c’è che il regime siriano, dato per spacciato un anno e mezzo fa, resiste ancora tranquillamente a un’offensiva di ribelli che forse hanno conquistato qualche free zone al confine turco, ma che non controllano realmente alcuna città siriana. In questa situazione di indeterminatezza, un intervento militare occidentale significherebbe entrare a occhi bendati in un nido di vipere. Gli americani e gli europei sono ormai pronti ad attaccare ma restano spaventati di fronte alla consapevolezza che la maggioranza della Free Syrian Army possa essere dominata da pericolose milizie sunnite e qaediste.

Il dibattito sulle armi chimiche è il sintomo più evidente della confusione sul decision making di Washington. Del resto, perché mai gli USA dovrebbero intromettersi? Si tratta di un intervento umanitario? Risolverebbe la guerra o la sostituirebbe invece con un’altra? E poi, pur ammettendo che la NATO riesca ad estirpare il regime degli Assad, siamo preparati a un ulteriore intervento per tutelare la minoranza alawita e cristiana, ovvero le vittime certe del dopoguerra? Non a caso, il Vaticano è piuttosto silenzioso sulla crisi siriana: sa che la popolazione cristiana sarebbe la prima vittima di un bagno di sangue sunnita.

Il monito della guerra di Crimea
Tutto questo non per dire che Assad ha ragione e i ribelli torto. Ci mancherebbe altro. Ma se le ragioni di Assad sono comprensibili ed evidenti (la propria sopravvivenza, quella della sua famiglia e dei suoi correligionari alawiti), le ragioni della galassia dei rivoltosi lo sono meno e non sono né univoche né chiaramente identificabili. Cosa che Washington sa perfettamente.

Il rischio è di fare l’errore della guerra di Crimea, il primo conflitto sicuramente provocato da un’opinione pubblica istigata dalla libera stampa: nel 1854 un gruppo di monaci greco-ortodossi venne preso a bastonate a Gerusalemme da un gruppo di monaci cristiano-copti, per ragioni che attenevano al controllo della Basilica del Santo Sepolcro. Lo Zar di Russia accusò la Turchia di non proteggere e non garantire il libero accesso ai luoghi santi. Su questa base, venne fomentata una campagna stampa che dipinse i turchi come dei “mostri anti-cristiani” e convinse le opinioni pubbliche europee a mobilitarsi contro la barbarie turcomanna. La Russia attaccò la Turchia e Francia, Inghilterra e Italia si lanciarono in un’avventura senza senso che costò migliaia di morti e che alla fine apparve, anche agli stessi protagonisti, priva di qualsiasi motivazione. Il modello Crimea tende purtroppo ancora oggi a ripetersi. Così come la tendenza alla “recidiva reiterata” da parte di Washington.

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Luciano Tirinnanzi