Obama, la guerra in Siria e l'America Isolazionista
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Obama, la guerra in Siria e l'America Isolazionista

Il presidente cerca di "vendere" la sua guerra al Congresso e agli americani, ma pochi sono d'accordo con le ragioni di un intervento militare

Barack Obama si gioca in pochi giorni una delle risorse più grandi di cui può disporre l'uomo che si siede nello Studio Ovale: la credibilità politica. Il pilastro su cui si regge la sua presidenza. In 48 ore dovrà essere così abile e convincente da persuadere l'opinione pubblica e il Congresso che l'attacco militare contro la Siria deve essere fatto. Parlerà agli americani e ai congressisti. Cinque o sei  interviste ai maggiori network televisivi e poi, martedì, il discorso alla nazione.

Un'offensiva mediatica a cui prenderanno parte tutti gli alti funzionari della sua amministrazione, da Joe Biden a John Kerry, e una personalità come Hillary Clinton che gode si stima e consenso tra gli americani. Il bombardamento televisivo sarà accompagnato dall'opera di lobbying nei confronti dei parlamentari (che va ormai avanti da giorni). Il fronte del no e degli incerti, a Capitol Hill è ancora molto forte, maggioritario rispetto ai pochi, convinti sì di alcune decine di deputati e senatori.

Il discorso alla nazione

Per Obama una prova quasi decisiva. Le sue parole dovrebbero raggiungere un obiettivo: far mutare umore al paese. Impresa non certo facile, visto che almeno due terzi degli americani sono contrari all'opzione militare. Cercherà di fare breccia attraverso questo muro, spiegando ai suoi concittadini che si tratterà solo di un'azione limitata (non è l'Iraq o l'Afghanistan, è il mantra ripetuto), necessaria perché l'uso delle armi chimiche è un problema di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti e il mondo intero, indispensabile affinché altri (leggi Iran) non vadano avanti nella costruzione di armi di distruzione di massa.

Obama ripeterà di fronte a milioni di persone che la sua amministrazione è in possesso di prove sulle responsabilità di Bashar al- Assad e che di fronte a questa strage degli innocenti, l'America non può rimanere indifferente, non può far finta di nulla, pena la perdita stessa del senso della sua democrazia. Dirà che l'isolamento internazionale in cui si trova ora la sua amministrazione non deve essere un motivo per stare immobili: questo è un caso in cui sono gli altri a non agire perché condizionati dai loro interessi nazionali e non, invece,da quelli della comunità internazionale. Questo è un caso in cui l'unilateralismo americano è basato sull'idealismo. Queste parole faranno cambiare idea agli americani? Dai sondaggi del giorno dopo, dipenderanno molti dei voti di deputati e senatori alla mozione sull'uso della forza. Se cambierà il vento, si allineeranno.

L'America è stanca di guerre

Anche il capo dello staff della Casa Bianca, Denis McDonough è andato in televisione per spiegare la scelta di Obama. Durante la sua intervista a Fox News Television ha detto: "Questo sentimento contro l'intervento in Siria è incomprensibile, vanifica lo sforzo e il sacrificio di 11 anni di impegno americano in Medioriente." Forse, il punto è proprio questo. L'America è stanca di guerre. Non ne vuole un'altra. Ma la stanchezza per l'Afghanistan e l'Iraq, da sola, non serve a spiegare il perché del no all'intervento in  Siria. Ci sono altri fattori. Nell'opinione pubblica americana - in questo momento storico - si sta facendo strada un sentimento isolazionista. E'già accaduto in passato, quando gli Stati Uniti hanno dovuto sommare una crisi economica a un conflitto bellico combattuto in un lontano continente.

Bill Keller sulle colonne del New York Times, con i dovuti paragoni, dice che questo momento è simile a quello che il paese ha vissuto alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Gli Usa avevano perduto migliaia di uomini nel primo conflitto mondiale, ma, visto la rinascita della minaccia tedesca, per molti erano stati morti inutili; L'economia, dopo la Grande Depressione, era ripartita, ma la sua ripresa e la sua stabilizzazione apparivano ancora fragili. L'Idealismo - dice Keller - era un elemento che a molti americani appariva un lusso. Ora, come allora. In tutti i settori della politica e della società. Basti pensare a quello che scrivono proprio alcuni lettori del liberal New York Times nelle conversazioni dedicate alla guerra: "La Siria non è un nostro problema." Una frase che ricorda quella detta da alcuni congressmen per spiegare il loro no all'intervento militare: "Dove è il nostro interesse nazionale nel bombardare Bashar al-Assad?".

L'Isolazionismo americano

Nasce con uno dei Padri Fondatori, Thomas Jefferson, che nel discorso inaugurale della sua presidenza, nel marzo del 1801, a proposito della politica estera che gli Stati Uniti avrebbero dovuto avere, disse: "Pace, commercio e amicizia con tutte le nazioni, ma alleanze con obblighi con nessun paese". Questa frase, può essere considerato il manifesto del Non Interventismo americano. Questa filosofia poltica, nel corso dei decenni successivi subità poi delle mutazioni e avrà delle diverse declinazioni a seconda di chi la interpretava. Per tutto il periodo a cavallo tra la fine '800 e l'inizio '900, quando gli Stati Uniti si trovano coinvolti in conflitti bellici all'estero, gli isolazionisti rimangono ai margini del dibattito politico. Riprendono quota alla fine degli anni'30, quando, di fronte alle tensioni in Europa, aumenta il sentimento secondo cui gli Usa, questa volta, devono rimanere fuori dalla guerra sul Vecchio Continente.

La storia, come si sa, andrà diversamente. E, con il sorgere della Guerra Fredda gli isolazionisti tornano ad essere quasi un club di intellettuali piuttosto che una costola della politica estera statunitense. Tornano in auge con la fine del confronto con l'Urss e le guerre americane di fine '900 e inizio secondo millennio. Ora, l'intervento in Siria li rimette al centro del gioco. Ma, in realtà, è la maggioranza degli americani che sembra vivere un sentimento isolazionista. "I nostri problemi all'interno del paese sono molti. E vengono prima di tutto. Noi non siamo i poliziotti del mondo, non siamo i giudici e la giuria del mondo." ha detto nell'annunciare il suo voto negativo, il democratico progressista Alan Grayson, deputato della Florida.

Più realismo che pacifismo

Secondo Bill Keller, l'isolazionismo, in questo momento, non è una semplice filofosia di politica estera, non è una naturale avversione alla guerra (d'oltremare), ma è un mood che sta conquistando la società americana, un modo per non prendersi responsabilità, per non mettersi in gioco, per evitare gli errori del passato. "L'isolazionismo tende a essere pessimista (sbaglieremo e le cose andranno peggio), amorale (non è un nostro affare fino a quando non sarà un pericolo o un problema per noi) e autoreferenziale (perché spendere soldi all'estero che invece potrebbero essere utilizzati in patria?)" - spiega il politologo sul New York Times.

L'America si sente così adesso. Non si tratta di pacifismo, ma di realismo. Forse anche di sfiducia di fondo nei suoi leader (troppe cattive eredità dal passato?). Perché dobbiamo combattere una guerra che non serve ai nostri interessi nazionali? Perché? Barack Obama oppone il suo "idealismo" a questo realismo. Non è la prima volta che il presidente non si trova in sintonia con la sua opinione pubblica. Lui tira l'America da una parte mentre l'America vorrebbe andare dall'altra. Spiega al paese come dovrebbe essere, ma, in realtà, non sembra comprendere e condividere il sentimento prevalente, non appare empatico, in grado di capire come sia veramente il paese. Per questo, sulla Siria, c'è una così forte distanza tra lui e la maggioranza degli americani. Se il Congresso dovesse bocciarlo, saremmo di fronte a una vera e propria frattura. Forse, per la sua presidenza, insanabile.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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