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Libia: Italia con gli Usa contro l'Isis, i dubbi sulla scelta politica

Il ruolo del Governo Serraj, la contrapposizione russo-americana, la necessità di usare le nostre base militari. Qualche riflessione sul conflitto in corso

L’operazione aerea condotta dagli Stati Uniti in Libia contro lo Stato Islamico “non ha finora interessato l’Italia, né logisticamente né per il sorvolo del territorio nazionale e si sviluppa in piena coerenza con la risoluzione delle Nazioni Unite del 2015 e in esito a una specifica richiesta di supporto formulata dal legittimo governo libico per il contrasto all’Isis nell’area di Sirte”. In ogni caso, “il governo è pronto a considerare positivamente un eventuale utilizzo delle basi e degli spazi aerei nazionali”.

Sono le parole del ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti, pronunciate durante il question time alla Camera dei Deputati circa il coinvolgimento italiano nelle operazioni militari condotte dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico, quando con il mese di agosto sono iniziati i raid dell’aviazione statunitense sopra Sirte, bombardata “su espressa richiesta del premier libico Fayez Al Serraj”.

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--> Perché gli Usa bombardano Sirte

Immediate le proteste di Mosca, secondo cui “i raid americani contro le postazioni dell’ISIS in Libia sono illegali, ci voleva una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU”, e del parlamento di Tobruk, che si aggiunge al coro: “l’intervento straniero richiesto pubblicamente in Libia non lo accettiamo. Le decisioni prese dal governo di unità nazionale libico, che ancora non ha ottenuto la nostra fiducia, sono una violazione della Costituzione e dell’accordo politico”.

Ora, della strategia americana in terra libica si può speculare quanto si vuole, sia in ragione dell’insolita politica del “leading from behind” voluta dal presidente Obama sia in forza dell’approccio ondivago e indeciso del Pentagono di fronte all’interventismo a corrente alternata in Medio Oriente. Quel che però è certo è che l’Italia non è in prima fila nella ricerca di una risoluzione che non sia solo politica nella crisi libica.

Perché l’Italia ha scelto di sostenere Serraj?
Inutile tornare sui motivi per cui la Libia è un paese per noi strategico. Dato per assodato che lo sia, apprendiamo dal ministro Pinotti che per l’Italia quello di Fayez Al Serraj è il “governo legittimo”. Questo nonostante sia palese che un governo vero e proprio non esista e, soprattutto, nonostante che Serraj non controlli pienamente né Tripoli confinato com’è nel porto dell’ex capitale (figuriamoci il resto della Libia), né le milizie di Misurata, che se oggi costituiscono i suoi pretoriani domani potrebbero rivoltarglisi contro e persino muovergli guerra, né tantomeno le potenti milizie agli ordini del generale Khalifa Haftar che invece rispondono al parlamento di Tobruk.

Giusto questa mattina, giovedì 4 agosto, si ha notizia di scontri tra milizie a Tripoli dopo che le BDB, le Brigate di Difesa di Bengasi che in parte si sono spostate anche nella capitale, hanno issato le bandiere dello Stato Islamico nel quartiere di Abu Sleem. Alla provocazione hanno risposto con le armi le milizie di Ghneiwa, guidate dal signore della guerra Abdul Ghani Kikli, che controlla quella parte di città e che è fortemente ostile anche alle milizie di Misurata (nei giorni scorsi sono stati segnalati scontri a fuoco con i misuratini).

Se dunque l’Italia ha scelto Fayez Al Serraj come interlocutore unico - ben sapendo che il Governo di Unità Nazionale non ha ancora ottenuto la fiducia del parlamento di Tobruk - allora è di per sé evidente che noi siamo parte in causa delle decisioni di quel governo, compresi gli appelli in sua difesa e compreso il suo destino.

Il ministro Pinotti si è spinta a dichiarare “coerente” l’operato americano sulla base della Risoluzione 2249 del Consiglio di Sicurezza ONU sulla lotta all’ISIS varata nel 2015. Ma come mai allora la Russia, che a differenza dell’Italia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU, afferma per bocca del suo ambasciatore in Libia, Ivan Molotkov, che i raid americani “non presentano elementi di legalità dal punto di vista del diritto”?

Sarà forse che, come dice ancora Molotkov, “attualmente in Libia è difficile palare di diritto”? Non era il caso di domandarsi se veramente abbia valore legale e vincolante la richiesta del Governo di Unità Nazionale, quando quest’organo non è riconosciuto dal parlamento insediatosi a Tobruk in Cirenaica, dove peraltro si combatte una guerra non meno difficile di quella che i misuratini combattono per espugnare Sirte?

Il ruolo centrale di Haftar e la strategia di Mosca
In Cirenaica, come noto, c’è il generale Khalifa Haftar (insieme a truppe francesi e inglesi) a cercare di sconfiggere le fazioni islamiste che resistono a Bengasi e dintorni, e a pretendere di dettare legge in un’area non meno vasta della Tripolitania. A lui, che controlla un esercito e non milizie dalla dubbia fedeltà, fanno riferimento anche gli egiziani e Mosca stessa pensa di eleggerlo come suo rappresentante in forza del suo passato, quando studiava insieme agli ufficiali dell’ex Armata Rossa ai tempi dell’Unione Sovietica prima di spendere vent’anni in America. Il generale della Cirenaica è oggi l’uomo che Il Cairo vede come garanzia che in Libia non si instauri un governo ostile all’Egitto e, al contempo, rappresenta un interlocutore a quanto pare affidabile per il Cremlino.

Dunque, ecco che nell’orizzonte libico riappare uno schema che sa di Novecento, dove da una parte gli americani spingono una nebulosa di milizie per lo più islamiste e non ancora ben definite a instaurare con la forza delle armi un governo amico partendo dalla Tripolitania, e dall’altra i russi sostengono invece loro avversari in Cirenaica nell’ottica di allargare il consensus, ovvero la propria influenza, in Medio Oriente e Nord Africa.

Un divide et impera che vede plasticamente riproposta la stessa contrapposizione russo-americana che è in atto in Siria, dove Mosca sostiene Assad e le milizie sciite mentre Washington sostiene i ribelli e le milizie sunnite. Gli altri, Francia e Regno Unito, come da tradizione fanno i propri interessi all’ombra di questo duello imperialista. E l’Italia come da copione si ritrova senza alcun margine di manovra. Anche se, a dire il vero, stavolta il ruolo centrale che Roma avrebbe potuto svolgere in Libia - e che invece ha ancora una volta delegato alle grandi potenze - ci avrebbe consentito di affrancarci dal dipendere sic et simpliciter dagli americani, specie laddove sono in gioco i nostri interessi strategici e il futuro del Mediterraneo.

Ad esempio, perché il Pentagono deve metterci in un ruolo di sudditanza e usare le basi italiane per bombardare la Libia (che tra l’altro ci espone alla “vendetta” del terrorismo) quando già hanno a disposizione le portaerei USS Harry Truman e la USS Wasp ormeggiate nel mezzo del Mediterraneo e la USS Dwight Eisenhower nel Golfo Persico?

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ABDULLAH DOMA/AFP/Getty Images
Ahmed al-Mesmari, portavoce delle forze armate libiche di opposizione - 3 agosto 2016

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Luciano Tirinnanzi