Isis: perché un attacco chimico in Europa è possibile
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Isis: perché un attacco chimico in Europa è possibile

Il generale israeliano Nitzan Nuriel è sicuro: i terroristi sono in grado di farlo e si stanno preparando per raggiungere l’obiettivo

L’ombra di un attentato chimico si allunga anche sul continente europeo. È quanto afferma Nitzan Nuriel, generale di brigata dell’esercito israeliano e tra i più grandi esperti mondiali di contro-terrorismo. Già attaché militare presso l’ambasciata israeliana a Washington D.C., premiato con la Legione al Merito, oggi si occupa di sicurezza e gestione di crisi a livello internazionale.

Lo abbiamo incontrato a Berlino, nel corso di un workshop sulle misure di contro-terrorismo nel contesto europeo organizzato dall’Europe Israel Press Association (EIPA), due giorni prima che il Pentagono rivelasse come l’ISIS abbia creato una cellula specializzata nella produzione di armi chimiche al confine fra Siria e Iraq, nella provincia siriana di Deir ez-Zour.

"I terroristi oggi sono all’avanguardia" ci ha detto. "Negli ultimi quattro anni hanno colmato la maggior parte delle distanze tecnologiche che li separavano dagli Stati e sono ormai in grado di sfruttare pienamente queste conoscenze per portare attacchi sempre più sofisticati". Per questa ragione "il controterrorismo deve adattarsi di continuo alle nuove sfide, cercando di anticipare le minacce incombenti che ancora non sono state poste in essere".

Nitzan Nurielgenerale di brigata dell’esercito israeliano e tra i più grandi esperti mondiali di contro-terrorismoUS

Quali, ad esempio?
Partiamo da un dato. Scatenando attentati, i terroristi puntano a instillare la paura nella società. Vogliono cambiare i nostri programmi, interferire con le nostre vite. Hanno anche altri obiettivi, ma diffondere la paura resta il principale perché convinti che possa modificare le politiche degli stati. Ed è così, in effetti. Almeno, da voi in Europa. Paralizzare un aeroporto per tre settimane, come avvenuto in Belgio dopo l’attentato a Zaventem, per loro è stata una grande vittoria. Io dico che questa situazione non è più accettabile. Bisogna lanciare un altro tipo di messaggio, e cioè che siamo pronti a contrastarli, che il giorno dopo un attacco tutto tornerà come prima e che non ci batteranno perché siamo più forti di loro. Perché rispettiamo la vita e, alla fine, i nostri valori prevarranno. Tuttavia, dobbiamo essere preparati al peggio…"

Che intende dire?
Credo che un attacco chimico in Europa ormai sia solo questione di tempo. I terroristi si sono già dotati di quel tipo di materiale, possiedono il know how necessario e hanno già deciso di usarlo. Adesso, stanno solo cercando l’occasione giusta, il momento migliore per sfruttarla al massimo. Come durante una partita di football o un grande concerto. E siccome non possiamo cancellare tutti i terroristi dalla faccia della terra, dobbiamo elevare i livelli di sicurezza e prevenzione. La deterrenza consiste nell’essere sempre un passo avanti alle minacce possibili, perché non manca molto. Un attacco chimico di ampia portata potrebbe essere imminente. E non parlo di anni, ma di mesi

Chi vuole condurre questo attacco chimico? E da dove proviene la minaccia?
Facciamola semplice. Non molti governi o organizzazioni sono capaci di lanciare un simile attacco. Perciò, quelli che vogliono usare le armi chimiche sono gli stessi che lo hanno già fatto in precedenza, perché ne hanno visto gli effetti e li vogliono replicare. Guardiamo a cosa sta accadendo in Siria e Iraq, e a cos’è successo nella guerra tra Iran e Iraq, o ancor prima tra Egitto e Yemen. Tutti loro hanno già passato il segno, usato le armi chimiche. Dunque, è chiaro che la minaccia proviene dal Medio Oriente. Due anni fa, l’accordo voluto dall’Amministrazione Obama con il regime di Damasco per la distruzione del materiale chimico ha permesso la distruzione del 95% di queste armi, ma un 5% almeno è ancora presente in Siria. Parte di quel materiale chimico oggi è controllato da ISIS e Hezbollah. Entrambe le organizzazioni ne possiedono quantità sufficienti per un attacco»

Negli attacchi chimici già avvenuti in Siria, però, regime e ribelli si accusano a vicenda. Chi ha ragione?
In base alle mie informazioni e alla mia esperienza, credo che sia stato perpetrato direttamente dal regime, che è abituato a mentire per consuetudine. Nella loro visione, ingannare è qualcosa di tranquillamente accettabile. Altrimenti, avrebbero richiesto e incoraggiato le ispezioni delle Nazioni Unite nei luoghi dove sono stati compiuti questi delitti, in modo che le agenzie internazionali potessero constatare cos’era accaduto davvero ristabilendo la verità e inchiodando i responsabili. Invece, non è avvenuto niente di tutto ciò

Per quale ragione colpire l’Europa e perché in questo momento?
L’Europa, in questo senso, è il bersaglio privilegiato. Perché c’è un collegamento diretto via Turchia. Perché ci sono numerose cellule dormienti e perché da voi si trovano molte comunità islamiche in grado di nascondere armi e terroristi, e di provvedere sia al supporto logistico che alla protezione. Inoltre, ci sono troppi luoghi pubblici non adeguatamente protetti, che rappresentano obiettivi perfetti per scatenare il panico. Non dobbiamo dimenticare che la motivazione dei terroristi va ben oltre il bisogno di ottenere risultati in risposta a una sconfitta militare, come quella che sta patendo l’ISIS in Siria e Iraq. È un’esigenza ancora più grande, che travalica l’ISIS, Al Qaeda e le altre organizzazioni.
I terroristi hanno bisogno di maggiore affermazione. E contano di ottenerla con una strage sensazionale. Un evento terroristico di grande successo si misura col numero di vittime e il grado di paura e di paralisi che si riesce a infliggere. Paragonato agli attacchi di New York, un attacco chimico oggi avrebbe un effetto persino superiore. I terroristi si sono convinti di aver bisogno di un secondo drammatico risultato, come fu quello del 2001. C’è proprio questo dietro l’angolo.

Ma è così facile trasportare simili armi?
Il problema è proprio che non serve poi molto. Del resto, è già successo a Tokyo (l’attacco alla metropolitana del 1995 da parte di una setta fondamentalista, ndr), anche se non se ne parla mai. Proviamo a pensare a un simile scenario. Immaginiamo quattro persone che, invece di imbracciare i fucili, si presentano con piccole scatole o bottigliette di plastica con agenti chimici dentro, che poi disperdono nell’aria in un luogo affollato. Questo provocherebbe panico generale e molteplici vittime. L’impatto di un gesto simile paralizzerebbe tutto il sistema. I terroristi puntano a cogliere un successo come questo. Perciò, lo inseguiranno fino a che ne saranno capaci. Inoltre, trasportare agenti chimici verso l’Europa non è poi così difficile

In che senso?
Penso agli yacht. Scarsi controlli, zero perquisizioni, documenti facili da contraffare. Cosa impedisce a un commando di pochi uomini di nascondersi nella pancia di un’imbarcazione e sbucare fuori, magari in un porto turistico? È già successo a Mombai (la serie di attentati del novembre 2008), dove i terroristi venivano dal mare. Ma penso soprattutto ai container, che rappresentano uno dei più grandi gap da colmare contro il terrorismo. Oggi esiste la possibilità di creare “smart container” ovvero container tecnologici in grado di dirci in ogni momento cosa trasportano e dove sono diretti. Ma nessuno li utilizza e, così, nei container tradizionali viene nascosto ogni tipo di merci. È il sistema di contrabbando più efficace al mondo, non a caso largamente utilizzato per lo smercio di droghe e armi

Come si fa a impedire simili scenari?
Se comprendi e analizzi adeguatamente la minaccia, puoi trovare la soluzione per prevenirla. La cosa migliore sarebbe attaccare direttamente i depositi di armi chimiche in Siria, prima che raggiungano l’Europa. Bisogna iniziare risalendo l’intera catena perché, ripeto, non sono in molti a saper maneggiare simili armi. In ogni caso, non è semplice. E se non è possibile, allora dobbiamo essere pronti ad attrezzare tanto le forze di sicurezza quanto gli ospedali a una simile eventualità, e sensibilizzare la popolazione civile. Consideriamo quel che è successo in Francia e Belgio in questi anni: la differenza tra un piccolo e un grande attacco terroristico è solo nelle misure di prevenzione e nella rapidità della risposta.

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Luciano Tirinnanzi