Iraq: chi sono i curdi che stanno per ricevere armi dall'Italia
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Iraq: chi sono i curdi che stanno per ricevere armi dall'Italia

Guidato da Masoud Barzani, il Kurdistan iracheno ha avuto una crescita del Pil superiore alla Cina negli ultimi vent'anni. E punta all'indipendenza grazie a un prossimo referendum

È forse l’unica entità governativa a funzionare come un vero Stato, anche se formalmente la chiamano “Regione Autonoma”. Il Kurdistan iracheno è un territorio montuoso e impervio, dove la sicurezza è garantita dai vecchi kalashnikov dei peshmerga curdi, unico ostacolo rimasto alla rapida avanzata dell’Isis nelle zone arabo-sunnite dell’Iraq settentrionale.

Dietro la linea del fronte ci sono più di 7 milioni di curdi e quasi 2 milioni di arabi. Molti di loro si sono trasferiti tra questi monti ormai da alcuni anni per sfuggire agli scontri tra sunniti e sciiti, mentre altri sono arrivati qui dopo l’avanzata dell’Isis. A tutti loro il Kurdistan iracheno offre una possibilità di migliorare la propria condizione economica, visto che da queste parti il Pil è cresciuto a una media superiore a quella cinese negli ultimi vent'anni, segnando addirittura un incremento del 12% nel 2012.

L’artefice di questo successo politico ed economico è stato Masoud Barzani, ex leader del Pdk (Partito democratico curdo), oggi Presidente del Kurdistan iracheno e oligarca ricco e potente. Dopo l’elezione dell’amico-rivale Talabani a presidente dell’Iraq, Barzani è diventato il padrone assoluto di questa regione grazie al sostegno della maggioranza delle tribù che parlano kurmanji, il dialetto curdo più diffuso in Turchia, Siria e Iraq. I suoi combattenti, che si erano scontrati con gli altri gruppi curdi (Pkk e Upk) e con l’esercito di Saddam Hussein negli anni ’90, sono diventati la milizia ufficiale di questa regione, avendo ottenuto anche la legittimità costituzionale da parte del governo iracheno.

Barzani rappresenta la conservazione ed è il garante dei potenti leader tribali, che ormai preferiscono indossare il doppiopetto per fare affari con gli stranieri, soprattutto israeliani e turchi, invece che la divisa militare. Il suo Governo è accusato dagli oppositori di autoritarismo e corruzione, ma ha garantito diverse riforme laiche come ad esempio l’abolizione del delitto d’onore e una generale promozione dell’educazione femminile e dei diritti delle minoranze.

Le armi dei peshmerga risalgono alla fine degli Novanta e oggi non possono competere con l’Isis, che si è impadronito dei moderni carri armati e dei fucili di produzione statunitense in dotazione all’esercito iracheno. La possibilità di ottenere mezzi militari recenti potrebbe perciò ribaltare le sorti del conflitto, ma rischia di portare a gravi conseguenze per la regione. 

Al fronte non ci sono perciò soltanto le milizie del Pdk di Talabani, ma anche i guerriglieri del Pkk, che fanno parte di un’organizzazione che Europa e Stati Uniti hanno inserito nella lista dei movimenti terroristici perché responsabile di sanguinosi attacchi sul territorio turco negli scorsi anni. Questi gruppi si sono addirittura scontrati tra loro in passato, ma oggi si sono uniti contro il nemico comune: nulla impedisce perciò che riescano a ottenere le moderne armi occidentali e tornino ad attaccare i militari di Ankara dopo avere deciso un cessate il fuoco negli ultimi mesi.

Inoltre, è previsto un referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno entro un anno: questo potrebbe portare al definitivo abbandono dell’Iraq da parte di questa regione, visto che la debolezza di Baghdad e la centralità di questo gruppo nella guerra contro l’Isis offrono un’occasione unica per l’indipendenza dei curdi. La possibilità di difendere questa rivendicazione con armi moderne e cannoni antiaerei, come quelli che verranno forniti dall’Italia e dalle altre nazioni europee, rende il sogno dell’autodeterminazione ormai davvero prossimo a realizzarsi, ma potrebbe creare le condizioni per un nuovo conflitto.

C’è una barzelletta (la trovate qui ) che circola tra le vie di Erbil e dice che se i curdi avranno finalmente il loro Stato dovranno erigere tre statue: una all’ex proconsole americano in Iraq Bremer, che ha di fatto diviso il Paese, una ad Al-Maliki, che ha accentuato lo scontro tra Governo centrale e curdi ed una al “Califfo” Al-Baghdadi che ha distrutto ciò che rimaneva dell’autorità statale nel Nord dell’Iraq, aprendo la strada alla possibile indipendenza del Kurdistan iracheno.

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Matteo Colombo

Vive tra Ankara e Il Cairo per studiare arabo e turco. Collabora con  diversi siti di politica internazionale. Le sue grandi passioni sono  l’Egitto, la Siria e la Turchia

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