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India, perché l'Assam vuole espellere quattro milioni di persone

Il governatore dello Stato usa un provvedimento del 1985 che consente di cancellare la cittadinanza agli immigrati musulmani irregolari o presunti tali

Quattro milioni di indiani questa settimana si sono svegliati in un incubo: con un tratto di penna, il governatore dello stato dell'Assam, uno delle "Sette Sorelle" dell'India orientale, ha tolto loro la cittadinanza, e ora rischiano di essere deportati. Le autorità locali parlano senza vergogna ai microfoni della BBC di una "prossima espulsione", ma nessuno si prende la briga di anticiparne i dettagli.

Perché l'Assam ha scelto la strada della deportazione

Tra i tanti passaggi sanguinosi che hanno segnato il processo di decolonizzazione in Asia meridionale, uno che fu segnato da particolari atrocità fu la secessione del Bangladesh dal Pakistan, che avvenne nel 1971 con l'appoggio delle truppe indiane.

Nonostante gli anni trascorsi, si tratta di una ferita ancora aperta: per sfuggire alle violenze, fiumane di persone si riversarono in territorio indiano, confidando di trovare protezione.

Milioni di profughi si stabilirono nell'Assam e il flusso umano non si è arrestato nei decenni successivi al conflitto, provocando scontri con la popolazione locale. L'Assam non è una regione ricca e la sua collocazione periferica rispetto alla Penisola indiana non ne ha favorito lo sviluppo; inoltre la presenza di una minoranza così consistente e composta in gran parte da fedeli musulmani (34 per cento) non ha contribuito alla stabilità regionale.

La crisi che ha portato alla decisione finale

La situazione torna periodicamente alla ribalta, anche perché viene strumentalizzata dai politici indiani. Ora torna a galla un provvedimento adottato nel 1985, quando, a seguito di una fase di elevata tensione, l'allora Primo Ministro Rajiv Gandhi siglò un'intesa con le fazioni estremiste dell'Assam impegnandosi a rispedire in Bangladesh coloro che non fossero stati in grado di provare il loro ingresso prima del conflitto del '71.

A distanza di oltre trent'anni, l’iniziativa sembrava destinata a rimanere in un cassetto, ma ora è stato pubblicato un elenco di residenti legittimi in Assam dal quale sono rimaste fuori quattro milioni di persone. Negli ultimi tempi le migrazioni dal Bangladesh sono ricominciate, e così il governo nazionalista dell'Assam ha colto la palla al balzo per far aggiornare i registri dell'anagrafe e "liberarsi" di tutti coloro che non possono dimostrare di essere arrivati prima del '71. E la pur pachidermica macchina amministrativa indiana si è già messa in moto: un migliaio di persone, naturalmente tutti musulmani, sono state sottoposte al giudizio di corti speciali e internate in campi di detenzione.

Il precedente dei Rohingya

Sono tante le organizzazioni per i diritti umani che hanno denunciato la scelta dell'Assam come discriminatoria e orientata a mettere in difficoltà la componente musulmana della popolazione. Impossibile non citare il precedente dei Rohingya, il cui calvario è iniziato nel 1982, quando il governo del Myanmar decise di togliere loro la cittadinanza dando il via a persecuzioni violente che hanno portato all'esodo di massa di cui siamo stati tutti spettatori indifferenti e silenziosi.

Cosa succederà in India

Cosa potrebbe succedere adesso? Apparentemente impensabile, ma non del tutto impossibile, ipotizzare che New Delhi voglia espellere un abitante dell'Assam su otto. Difficile, tuttavia, una plateale marcia indietro, soprattutto a ridosso di elezioni in cui il partito al potere, il BJP, si appresta a sfornare il classico armamentario nazionalista.

Più probabile che la questione divenga materia per la campagna elettorale del Primo Ministro uscente Narendra Modi, che si prospetta particolarmente muscolare. Il rischio, tuttavia, è che questa sorta di sovranismo all'indiana possa ritorcersi contro la gente comune: non di rado, nel recente passato, le tensioni interetniche ed interreligiose indiane si sono trasformate in carneficine. Di fronte alle quali, e ancora una volta il caso Rohingya ha tanto da insegnare, l'Occidente ha la pessima abitudine di voltare le spalle.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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