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Incubo terrorismo: chi cede davvero alla paura?

Due atteggiamenti a confronto: Donald Trump e il sindaco di Londra Sadiq Khan. Chi vuole una società chiusa, chi crede nella società aperta

In questo pseudo-condensato delle Nazioni Unite che è oggi Twitter (193 membri la prima, 140 caratteri il secondo) leader di caratura mondiale pubblicano dichiarazioni spontanee.

Non tutti, naturalmente. E se per alcuni (Vladimir Putin ed Emmanuel Macron) il profilo social è sobrio ed è chiaramente gestito da un compassato ufficio stampa, per altri (Donald Trump) la piattaforma è il personale porto franco delle esternazioni.

- LEGGI QUI: Le reazioni dei capi di stato all'attentato di Londra

Trump contro Khan

Gli attacchi di Londra del 3 giugno hanno offerto al Presidente USA l’argomento per una polemica e una presa di posizione molto marcata. E per le vie brevi: Twitter appunto. Trump ha attaccato direttamente il sindaco di Londra, Sadiq Khan, il quale, con evidente saggezza, ha invece risposto tramite portavoce.

La saggezza di Khan non si limita ovviamente alla forma. Attiene al contenuto. Trump ha criticato il neo Sindaco di Londra reo, a suo avviso, di aver detto ai londinesi che non c’è ragione di essere allarmati: “no reason to be alarmed”.

Il tweet di Trump contiene più di una mistificazione. Innanzitutto riporta le parole di Khan isolandone dal contesto del ragionamento, e quindi falsandole. Il “no reason to be alarmed” (non c'è ragione di preoccuparsi) è riferito alla frase precedente pronunciata dal Sindaco sul fatto che i londinesi dovranno aspettarsi, in questi giorni, una massiccia presenza di polizia per le strade ma, non per questo, dovranno allarmarsi.

Qui due mentalità opposte si fronteggiano. Chi dalla polizia agli angoli delle strade si sente rassicurato e chi invece si chiede perché e per quanto le forze dell’ordine assumeranno un ruolo crescente nella vita quotidiana dei civili.

Chi cede davvero alla paura?

Questo ci porta alla domanda di fondo: chi dei due cede maggiormente alla paura, Trump che difende il suo Muslim ban e non afferra perché la gente potrebbe preoccuparsi vedendo i luoghi della propria socialità militarizzati, oppure Khan che si ostina a difendere la laicità dei ritrovi pubblici e lo stile di vita occidentale?

La domanda è netta, come nettamente diversi sono i profili dei due politici. Di Trump sappiamo tutto; Khan è invece figlio d’immigrati pakistani (e pakistano sembra essere uno dei tre attentatori del 3 giugno) appartenenti alla working class. Per lui l’ascensore sociale, espressione orribile ma efficace, ha funzionato. Laureato, ma non a Oxford e non a Cambridge, è un avvocato dei diritti civili (il ramo di Obama, guarda caso) ed è il primo sindaco musulmano di Londra.

Le opinioni sono tutte rispettabili, ci mancherebbe, ma rivendicare come fa Trump un bando nei confronti dei viaggiatori provenienti dai paesi islamici - tra l’altro galassia non univoca ma coacervo di etnie, confessioni e frizioni interne – e a seguire un ragionamento comparativo sull’uso delle armi negli USA (non abbiamo colto il nesso, lo ammettiamo candidamente) appare un incentivo al clima di paura e di psicosi collettiva.

Il bisogno di una società aperta

Khan confuta, con la sua stessa carriera, la narrazione dell’estremista borderline che sorge dal ghetto periferico dove la scalata sociale è di fatto impossibile, specialmente per i figli degli immigrati. Nega con la sua storia personale la genealogia del mujaheddin metropolitano come frutto diretto del fallimento, liberista e consumista, del modello di società occidentale.

Ideologicamente Khan si dimostra quindi molto più aperto di Trump e propone un miglior antidoto alle paure: il figlio dell’immigrato dal Pakistan, in parole povere, scommette sugli anticorpi della società aperta (Popper? Sì proprio lui), sulle capacità individuali e sulla cooperazione tra forze di sicurezza e cittadini, tranquillizzando questi ultimi se dovessero percepire una presenza militare invadente. Qualsiasi libertario doc americano applaudirebbe sbracciandosi.
Ma non Trump, che sembra ormai aver abbandonato la società aperta, persino su Twitter.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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