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Incognita turca sull'offensiva contro l'Isis a Raqqa

Appoggiate dagli Usa, le Syrian democratic forces egemonizzate dai curdi puntano da nord sulla capitale dello Stato islamico. Ma come reagirà Ankara?

Mentre a Mosul, capitale iraquena dell'Isis, si stringe la morsa dell’assedio, con le truppe irachene che avanzano da Sud e sono ormai giunte a quattro chilometri dall’aeroporto, i curdi siriani dell'YPG - egemoni nella coalizione multietnica delle Syrian democratic forces (Sdf) addestrate sostenute sul campo da centinaia di agenti di Stati Uniti e Francia - hanno lanciato l’assalto a sorpresa all’ultima roccaforte siriana dello Stato islamico.

Trenta-quaranta mila guerriglieri, l'ottanta per cento dei quali provenienti dalle file delle milizia curde, partiti dall'area di Ai Aissa, 40km a nord di Raqqa, determinati ad accerchiare la capitale dell'Isis dopo aver conquistato tutti i villaggi circostanti, lasciando l'onere della battaglia finale nel cuore della città - dopo l'assedio e i bombardamenti franco-americani -  ai loro alleati arabi, assiri e armeni. Uno schema tattico, già sperimentato (con altri attori) a Mosul, che allontanerebbe il rischio di una esplosione del conflitto interetnico in una città come Raqqa, dove la popolazione araba non vedrebbe di buon'occhio l'arrivo di migliaia di combattenti di origine curda.

L’operazione è stata battezzata «Ira dell’Eufrate» e fa il verso allo «Scudo sull’Eufrate» lanciato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan quest’estate. La partita si preannuncia difficile e lunga, sul campo, dove pochi conoscono con esattezza la reale consistenza numerica delle truppe del gruppo di Al Baghdadi. Si preannuncia complessa anche per le ricadute geopolitiche, perché la Turchia - che considera i guerriglieri dell'YPG come terroristi - sta da mesi ammassando truppe e mezzi pesanti al confine, con l'obiettivo di colpire e limitare la libertà d'azione dei guerriglieri curdi, già oggetto delle offensive di Ankara ad Aleppo.

Un problema enorme alla cui soluzione stanno cercando di adoperarsi la diplomazia e i capi militari degli Stati Uniti, interessati a evitare che l'assedio a Raqqa si trasformi in una nuova fiammata di ostilità tra turchi e curdi. Brett McGurk, inviato speciale di Obama in Siria, nel confermare l’avvio dell’offensiva, ha ribadito che gli Usa sono «in stretto contatto» con la Turchia (il più numeroso esercito dell'Alleanza atlantica) per superare le divergenze e concentrarsi «sull’obiettivo comune» dell’Isis. A loro volta i curdi temono il colpo alle spalle, proveniente da Nord, dal confine turco, mentre è in corso l'assedio su Raqqa.

Evitare che una battaglia così importante contro l'Isis si trasformi in una guerra del tutti contro tutti (dalle cui ceneri potrebbero nascere nuovi, e persino più radicali, soggetti jihadisti) è il vero scoglio politico di questa operazione. Non ci sono solo in ballo le questioni militari. C'è il timore, da parte di Ankara, che i curdi approfittino della battaglia per allargare la propria area d'influenza in tutta la zona, per poi sedersi al tavolo delle trattative da vincitori. Un'ipotesi che i tuchi vogliono assolutamente evitare. 

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