In Libia l'Italia deve scegliere da che parte stare
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In Libia l'Italia deve scegliere da che parte stare

I leader arabi riuniti a Roma in una tavola rotonda del Comitato Atlantico: "Siamo stufi di diplomazia e parole, Roma deve agire e deve farlo presto"

Cosa fare in Libia? La situazione nell'ex feudo di Muammar Gheddafi è sempre più incandescente. Il caos regna sovrano. Fazioni diverse si fanno la guerra per il controllo del territorio e dei pozzi di petrolio e di gas, lo Stato islamico (Isis) controlla la città di Derna da mesi, mentre la comunità internazionale assiste in silenzio alla tragedia di migliaia di profughi che dalle coste libiche tentano di raggiungere quelle europee rischiando (e spesso perdendo) la vita.

Bruxelles è pronta a varare un piano di emergenza che preveda quote di migranti per ognuno dei 28 Paesi membri,. Si continua a parlare di un possibile intervento militare, ma senza una risoluzione Onu la Nato non si muove. La situazione è davvero così irrisolvibile come sembra? Secondo i principali leader arabi una strada potrebbe essere percorsa con successo e in questo l'Italia avrebbe un ruolo chiave, ma per ora da Roma non è arrivato ancora alcun segnale.

In una tavola rotonda organizzata a Roma dal Comitato Atlantico in collaborazione con Abhath (Al Thuraya Consultancy and Researches di Abu Dhabi) e il Mediterranean-Gulf Forum, i decision makers della regione non sembrano avere dubbi sui passi che l'Italia dovrebbe fare per promuovere la stabilizzazione della Libia e nell'ottica di un futuro di sicurezza per tutto il Mediterraneo: scegliere da che parte stare e agire di conseguenza, assumendosi la responsabilità. 

"Il primo elemento che ha contribuito al successo di Daesh (Isis) in Libia è che la comunità internazionale ha distrutto le infrastrutture militari e per la sicurezza. E non parliamo di qualcosa che è accaduta molto tempo fa", dichiara a Panorama.itMohammed Dahlan, ex ministro di Stato per la Sicurezza interna e Consigliere per la Sicurezza Nazionale dell'Autorità Nazionale Palestinese.

"Al momento in Libia non c'è un governo forte - continua Dahlan - Quando la comunità internazionale ha avuto bisogno di eliminare Gheddafi, lo ha fatto immediatamente senza però lasciare alla Libia una road map per la stabilizzazione. E' per riempire questo vuoto che sono entrate in azione tutte le gangs che al momento controllano la situazione in Libia, in particolar modo i Fratelli Musulmani, Daesh e Al Qaeda". "Credo che dovremmo tutti impegnarci per rafforzare il governo di Tobruk e le istituzioni militari libiche, affinché affrontino Daesh e Al Qaeda e impediscano a queste gangs di muoversi verso l'Italia e l'Europa".

L'opzione dell'intervento militare come è vista dai Paesi della regione? "Penso che ci sia un linguaggio comune e obiettivi comuni che legano l'Italia ai Paesi arabi", dice Dahlan. "Per esempio all'Egitto e agli Emirati Arabi. Credo che questo possa creare l'atmosfera giusta per sostenere l'attuale governo libico di Tobruk e per rafforzare le istituzioni militari libiche nel combattere Daesh, poi il popolo libico farà tutto il lavoro". 

Ed è della stessa idea anche Noman Benotman, ex militante jihadista libico e oggi esperto di antiterrorismo e deradicalizzazione: "Se parliamo di terrorismo in Libia non parliamo solo di Daesh, ma ci sono anche altri gruppi terroristici. L’Isis però è la minaccia più pericolosa a causa dei suoi collegamenti con altre cellule terroristiche nell’Africa sub sahariana e in Nigeria", dichiara a Panorama.it. "Il problema è che Daesh in Libia è ancora una black box, una scatola nera. Stiamo ancora lavorando per capire e per dare un senso alla sua esistenza in Libia. Ecco perché sono così pericolosi".

"Tuttavia - continua Benotman - le nostre analisi ci dicono che Daesh è ancora nella fase di preparazione. Si sta preparando a una guerra nel futuro. Sta ancora crescendo e si sta ancora organizzando. Quello che stanno facendo adesso è strutturarsi per impiegare più unità in diverse aree chiave in Libia, incluse quelle zone dove ci sono i maggiori giacimenti di petrolio e dove Daesh può contare su una presenza già molto forte. In quei territori usano tattiche militari e armi con estrema professionalità rispetto ad altri gruppi. Vista la situazione credo sia molto pericoloso concedergli tempo per crescere e per stabilizzarsi sul territorio. Dovremmo agire ora, il più presto possibile, in particolar modo per mandare Daesh via dalla Libia".

In questo caos la comunità internazionale sembra essere paralizzata. Impotente nel prendere decisioni, mentre l'Italia si ritrova praticamente da sola a gestire l'emergenza migranti. Quanto è cruciale la soluzione della crisi libica per l'Italia?

"Se stessimo parlando della Svizzera - dichiara Noman Benotman - allora direi che il problema dell’Isis per la Svizzera è una scelta, ma per l’Italia non c’è alcuna scelta, deve intervenire, è una necessità per voi essere parte di quello che sta succedendo in Libia. Italia e Libia devono stabilire ottime relazioni, basandosi su interessi comuni. A questo punto, si possono affrontare diverse sfide, inclusa quella dell’Isis. Ma qui abbiamo un problema che viene da Roma e non dalla Libia".

"Il governo italiano ancora si barcamena e resta nel mezzo tra diverse parti e fazioni. Ufficialmente sostiene il governo di Beda e il Parlamento di Tobruk, ma allo stesso tempo l’Italia non si assume la responsabilità e i doveri che derivano da questo riconoscimento e si confronta con le gangs terroriste che hanno occupato Tripoli e minacciano i libici e l’intero Paese. Credo che l’Italia come primo passo debba scegliere da che parte sta e agire di conseguenza: o con il governo legittimo, riconosciuto dall’ONU e dalla comunità internazionale, oppure stare dalla parte delle gangs di Tripoli perché questo è nel vostro interesse e riconoscere loro come governo ufficiale, non ritenendo Beda e Tobruk dei partner affidabili. Ma dovete scegliere!".

Secondo Benotman l’Italia "è la prima a perderci nella crisi libica", ed è per questo che "ha il diritto di dire: ok, ora basta, non possiamo più tollerare tutto questo e abbiamo bisogno di agire". Ma le bombe fermerebbero le disperate fughe dei profughi? "Ci sono molti passi intermedi prima di arrivare a un intervento militare - conclude Benotman -. Tra il 2009 e il 2010 l’Italia ha raggiunto con successo un accordo con il governo libico per fermare l’immigrazione illegale. Oggi dovete fare la stessa cosa con il governo di Tobruk. L’Italia può fare tanto, ma dovete scegliere il vostro partner e dialogare solo con lui. Siamo stufi di diplomazia e blablabla. Bisogna agire! L’Italia non può aspettare che venga intaccata la sfera dei suoi interessi nazionali. Deve decidersi!".

L'emergenza in Libia è un dato di fatto e le voci arabe consigliano di "fare presto" per evitare che la situazione precipiti. Abbandonare la Libia a se stessa dopo la caduta di Gheddafi è stato un errore. Secondo Abdel Ilah Khatib, ex Inviato speciale ONU in Libia e ministro degli Esteri della Giordania, "Alla fine delle operazioni militari che hanno fatto cadere il regime la Libia è stata abbandonata ed è stato fatto molto poco per la stabilità della regione, per rispondere alle richieste e per costruire delle istituzioni in grado di governare il Paese".

La strada da battere ora per Khatib sta nel "Sostenere il popolo libico e guardare al suo processo politico. C’è bisogno di una politica che sia inclusiva, per tutte le realtà e le espressioni della società libica, tutti i gruppi politici e tutti i partiti, affinché le istituzioni siano sempre più forti e ci sia anche una rappresentanza delle tribù. Inoltre, la comunità internazionale deve dare un sostegno sufficiente per riunificare l’azione della popolazione libica, favorire la riconciliazione, ma è anche necessario che le terze parti non intervengano direttamente negli affari interni libici, fiancheggiando le diverse fazioni, perché sostenere le diverse fazioni in campo, aggrava la situazione e la rende più complessa. Tutte le forze esterne devono smettere di intervenire e supportare un processo politico che coinvolga anche i vicini della Libia, in modo tale che aumenti la protezione lungo i confini. Infine, è necessario aiutare la popolazione libica a ribellarsi a chi la opprime".

Sul traffico di essere umani e l'aumento del numero dei migranti che abbandonano le coste libiche per raggiungere l'Europa, l'ex inviato dell'ONU non ha dubbi: "Dobbiamo risolvere questo problema con un approccio onnicomprensivo, perché ci sono ragioni serie e gravi che costringono questi migranti a lasciare i loro Paesi d’origine ed è necessario stabilire un pacchetto di assistenza su più livelli per i migranti, a cominciare dai luoghi da dove provengono". "C’è bisogno di una cooperazione regionale per affrontare questa enorme sfida che riguarda tutti - conclude Khatib - perché ora più che mai il problema dell’immigrazione tocca anche il campo della sicurezza". Idee, ipotesi, richieste indirizzate alla comunità internazionale. L'Europa e le Nazioni Unite questa volta riusciranno ad agire nel concreto sia per proteggere la popolazione libica che quella che libica non è?. 


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Anna Mazzone