Il putsch egiziano visto da Gerusalemme
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Il putsch egiziano visto da Gerusalemme

C'è preoccupazione dopo il golpe in Egitto: i terroristi dal Sinai potrebbero sfruttare il vuoto di potere per lanciare attentati. Scenario - Foto - Il coup visto dagli Usa

È come assistere a una partita di poker particolarmente snervante: così un diplomatico israeliano, parlando in forma anonima al quotidiano Yediot Ahronot, ha commentato la situazione in Egitto. Dove l'esercito ha deposto il presidente Mohammed Morsi, esponente del gruppo islamista Fratelli Musulmani, dopo diversi giorni di proteste popolari contro il suo governo che sono costate decine di morti.

Il governo israeliano si è trincerato dietro il silenzio, su ordine esplicito del primo ministro Benjamin Netanyahu, che probabilmente teme che un commento israeliano potrebbe aumentare ulteriormente la tensione al Cairo, già alle stelle. Poco prima però il ministro della Difesa Benjamin Ben-Eliezer (laburista, che dunque non fa capo al partito conservatore di Netanyahu) aveva rilasciato una dichiarazione, controversa, sbilanciata a favore dei militari egiziani: «Il regime bizzarro dei Fratelli Musulmani è giunto alla fine. Se un candidato laico vincerà [alle prossime elezioni] avrà un impatto fondamentale su tutto il Medio Oriente».
Ma davvero Israele ha da rallegrarsi della deposizione di Morsi? Tra gli analisti, in realtà, prevale un senso di preoccupazione.

Queste, in breve, le questioni che generano apprensione: con il governo Morsi le relazioni erano difficili, ma non poi così disastrose, e al momento Israele non ha alcuna garanzia che col nuovo governo le cose miglioreranno; in generale, la prospettiva di una situazione di caos in Egitto preoccupa molto; più nello specifico, si teme che i gruppi terroristi attivi nella penisola del Sinai sfruttino la confusione generale per lanciare attentati contro Israele.
Partiamo dalla questione Morsi. Con i Fratelli Musulmani, si sa, Israele non ha mai avuto un rapporto idilliaco. Loro erano i nemici storici di Hosni Mubarak, il dittatore laico che fu il primo leader arabo a firmare un accordi di pace con Israele. Inoltre sono considerati molto vicini ad Hamas, gruppo terrorista che governa la Striscia di Gaza: inizialmente Hamas era nato proprio come “costola palestinese” dei Fratelli Musulmani. Dunque, quando Morsi aveva vinto le elezioni, un anno fa, alcuni israeliani si erano preoccupati: temevano che i Fratelli Musulmani avrebbero fatto saltare gli accordi di pace con Israele e sostenuto i loro “cugini” di Hamas.

Questo tuttavia non è successo. In parte grazie alle pressioni americane, in parte a causa del più elementare buon senso, il governo di Morsi ha mantenuto i rapporti diplomatici con Israele. E ha continuato la collaborazione strategico/militare. Il confine con Gaza è rimasto chiuso, e le forze egiziane hanno contribuito a smantellare i tunnel di Hamas, che il gruppo utilizzava per importare armi e altri generi. Inoltre l'esercito egiziano e le forze armate israeliane hanno proseguito le attività coordinate contro le cellule terroriste nel Sinai.
Ed è proprio il Sinai, adesso, a preoccupare più che mai gli israeliani. «L'instabilità crescente in Egitto renderà più difficile [per le forze armate egiziane] il controllo del Sinai», scrive su Yediot Ahronot il giornalista Itamar Eichner, che cita i commenti di fonti diplomatiche. «La preoccupazione principale è che i jihadisti sfruttino la situazione di vuoto di potere per lanciare attentati contro Israele o l'esercito egiziano». Nonostante la situazione critica al Cairo, tuttavia, il coordinamento strategico tra i due paesi sta continuando. Così almeno assicura Amos Harel, uno dei più noti analisti militari, su Haaretz: «I canali di coordinamento tra l'esercito e l'intelligence egiziane e le forze di sicurezza di Israele hanno continuato ad operare questa settimana. Le due parti continuano a lavorare insieme alla stabilizzazione del Sinai e a mantenere la calma tra Israele e Hamas lungo la Striscia di Gaza».

Dunque, Israele deve preoccuparsi? C'è chi dice che è troppo presto per dirlo. «La deposizione di Morsi non avrà un effetto diretto su di noi, almeno nel breve periodo», scrive, sempre su Yediot Ahronot, l'editorialista Ron Ben Yishai. Che però ammette: «È evidente che l'esercito [egiziano] avrà meno risorse da dedicare al Sinai». Molto più pessimista è Avi Issacharoff, storico esperto per sicurezza, che in un editoriale su The Times of Israel metteva in guardia sulla possibilità che l'Egitto sprofondasse nel caos: «Se i Fratelli Musulmani accettano la deposizione di Morsi, potrebbero vincere le prossime elezioni, con un candidato più efficace. Se invece rifiuta e ordina ai suoi seguaci di battersi contro il nuovo regime, l'Egitto potrebbe precipitare in una spirale di violenza».

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Anna Momigliano