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Il modello tedesco per i profughi

La Germania ha stanziato 93,6 miliardi fino al 2020 per accoglierli, formarli e inserirli nel mercato del lavoro. Grazie al surplus di bilancio

In tutto 93,6 miliardi di euro: è quanto la Germania ha pianificato di spendere dal 2016 al 2020 per l'accoglienza e l'integrazione dei profughi. A rivelarlo è uno studio preliminare del ministero delle Finanze reso noto da Der Spiegel e confermato a Panorama via mail dagli stessi uffici governativi.

Dopo il boom di richieste d'asilo del 2015, un milione e centomila, si aspettano le 600 mila di quest'anno, le 400 mila del prossimo e le 300 mila dei successivi fino al 2020. Il preventivo di spesa parte dai 16,1 miliardi nel 2016 per arrivare progressivamente ai 20,4 miliardi del 2020. Verrebbe da dire: se lo possono permettere.

Solo l'anno scorso il surplus di bilancio accumulato dalle casse di Stato, Bundesländer (regioni), città e fondi per l'assistenza sanitaria, è stato 29,5 miliardi, ma sarebbe riduttivo pensarla così: è il terzo anno consecutivo che Angela Merkel raggiunge il pareggio di bilancio e finora i fondi in eccesso erano stati utilizzati per la riduzione del debito pubblico (2.184 miliardi nel 2014).

Da crisi a opportunità
La Germania si priverà di questa eccedenza per trasformare quella che in molti chiamano "crisi dei rifugiati" in un'opportunità. Del resto, come ricordava lo scorso gennaio Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, "un rifugiato che entra rapidamente nel mercato del lavoro diventa una risorsa per il Paese che lo ospita".

Per farlo bisogna dargli la possibilità di imparare la lingua del posto e, nel frattempo, offrirgli vitto, alloggio, rimborsi per il vivere quotidiano, abbonamento ai mezzi di trasportoe assicurazione sanitaria. Voci a cui vanno aggiunte, quelle relative all'apprendimento di un mestiere (a meno che non si tratti di persone già qualificate) e, se previsti, eventuali sussidi di disoccupazione.

Nel piano del ministero delle Finanze buona parte dell'investimento fino al 2020, 25,7 miliardi, servirà a coprire la spesa per abitazioni e sussidi sociali: 5,7 miliardi saranno dedicati allo studio del tedesco e 4,6 per favorire l'integrazione nel lavoro.

Come funziona in Germania
Facciamo un passo indietro e guardiamo il tutto dal punto di vista di un richiedente asilo. La richiesta d'asilo in Germania può arrivare in due modi. Da un campo profughi sparso nel mondo oppure, appena si mette piede sul suolo tedesco, dagli appositi uffici.

Tramite un primo formulario e intervista vengono raccolti i dati personali e si iniziano le valutazioni per capire se ci sono presupposti. Chi proviene da un Paese "sicuro", ovvero uno della lista dei Sichere Herkunftsstaaten, riceve normalmente in termini brevi un visto d'espulsione.

Per scoraggiare questi viaggi della speranza la Germania nell'ultimo anno ha investito in campagne pubblicitarie ad hoc e in loco: "Non venite in Germania, non verrete accolti come rifugiati".

Per chi invece ha una situazione meno chiara, tipo gli afghani, dove non c'è una guerra in corso, ma non si può parlare di stabilità politica, la valutazione prevede tempi maggiori. La maggiore parte dei profughi entrano dalla Baviera, ma non vi rimangono. A regolare la loro distribuzione sul suolo tedesco è la "chiave di Königstein", un sistema che considera entrate fiscali e densità di popolazione di ogni regione per assegnarle, proporzionalmente, il numero di richiedenti asilo da ospitare.

Solo quei profughi che dimostrano di avere un parente in una particolare regione possono chiedere un trasferimento. A emettere il responso sulla richiesta d'asilo è uno dei 440 "decision makers" impiegati su tutto il territorio. Mediamente si aspettano 5,1 mesi, ma dopo un rifiuto c'è la possibilità di appello e i tempi possono allungarsi fino a tre anni.

Nel frattempo ogni profugo ha diritto a un assegno mensile, un alloggio e un corso di tedesco. L'assegno varia a seconda della regione, ma si aggira intorno ai 150 euro e viene consegnato presso gli stessi uffici nei quali si fanno le interviste. Nessun versamento bancario anche se, grazie a un recente accordo con le banche, ogni richiedente asilo può aprire un conto tedesco.

All'alloggio provvede lo Stato: palestre, tendoni, vecchie caserme ed edifici pubblici in disuso. Il più grande è vicino l'ex aeroporto berlinese di Tempelhof, più di duemila posti letto. Si dorme in camerate anche da 40 persone. I pasti vengono serviti tre volte al giorno.

Studiare il tedesco
Per stimolare l'apprendimento del tedesco ogni regione può organizzare corsi per rifugiati sia presso le proprie scuole, le cosiddette "Volkshochschulen (Vhs)", sia rimborsare strutture private che decidono di organizzarne uno. "La maggiore parte vengono da noi" ci conferma Jacqueline Tschiesche, insegnante presso la Vhs di Swinemuenderstr. 80, a Berlino. "Arrivano da tutto il mondo: Afghanistan, Palestina, Egitto, Eritrea, Turkmenistan e altri Paesi ancora. Molti hanno poche possibilità di vedersi riconosciuti come rifugiati, ma nel frattempo provano a imparare la lingua".

Lo Stato offre 400 ore di lezione necessarie per arrivare a un livello che la convenzione europea per lo studio delle lingue europee valuta in A2. Poi basta. A meno che il rifugiato non sia siriano, somalo, iracheno o iraniano. "Loro possono continuare fino al livello successivo, il B1, necessario per potere accederea un "Ausbildung", ovvero un corso misto a tirocinio per l'apprendimento di un mestiere. Sono profughi che hanno un'elevata possibilità di ricevere lo status di rifugiato e la Germania investe di più.

Hanno più ore a disposizione per imparare il tedesco, ma possono evitare i "corsi per rifugiati"e scegliere di frequentare quelli "di integrazione", gli stessi a cui partecipano italiani, francesi, spagnoli e altri stranieri dell'Ue: alfabetizzazione dei partecipanti più alta e apprendimento più veloce".

L'accesso al mercato del lavoro
In passato si poteva essere retribuiti solo dopo aver ricevuto lo status di rifugiato. Grazie all'"Integrationgesetz", la nuova legge sull'integrazione, si possono svolgere lavori retribuiti, anche di breve durata, prima di ricevere una risposta alla richiesta d'asilo. "Da una parte la Germania vuole trarre vantaggio da manodopera a buon mercato, dall'altra c'è il desiderio di tenere occupati i profughi ed evitare problemi di sicurezza" spiega Les Wagner, ex funzionario dell' ufficio federale per la migrazione e per i rifugiati, ora consulente.

"Una volta raggiunto il livello minimo di tedesco si entra in programmi della durata di tre anni direttamente presso aziende convenzionate. L'obiettivo è l'ottenimento della "Ausbildung", certificato necessario per svolgere moltissime professioni, dal parrucchiere al meccanico.

Durante questo periodo si viene equiparati ai disoccupati di lunga data in modo da raggirare quel salario orario minimo di 8,50 euro garantito a tutti i lavoratori dal primo gennaio 2015". C'è il rischio che nel frattempo la richiesta d'asilo e l'eventuale appello vengano respinti. In tal caso il rifiuto non si trasforma in un visto di espulsione, bensì in una "Duldung", una sorta di "diritto di soggiorno": il mancato addio alla Germania non viene sanzionato.

È il caso di chi, se rientrasse, rischierebbe ritorsioni per la fuga in Occidente. Si tratta di una zona di limbo legale che lo Stato tedesco sta portando, in termini di accesso al welfare, a equiparare a quelli di un cittadino europeo o un rifugiato. Dopo avergli insegnato lingua e lavoro, perderlo sarebbe un investimento mal riposto. Chi, al contrario, avrà ricevuto lo status di rifugiato otterrà un passaporto valido per cinque anni e gli stessi diritti di un cittadino Ue, ovvero sussidio di disoccupazione e, se necessario, pagamento dell'affitto dell'alloggio.

Secondo le previsioni del ministero con questo piano il il 55 per cento troverà un lavoro entro il 2020. Sempre che a detta del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, "i surplus di bilancio continuino regolarmente a presentarsi alla fine di ogni anno". Il futuro dei rifugiati passa per il benessere della Germania. L'importante è evitare il cortocircuito.

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Monaco di Baviera, 5 settembre 2015, l'arrivo dei profughi

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Andrea D'Addio

Andrea D'Addio, nato a Roma nel 1982 vive da marzo 2009 a Berlino da cui scrive di politica ed economia per Panorama e di cinema e musica per TuStyle, Io Donna e varie altre riviste comprese, ogni tanto, quelle tedesche (Bild am Sonntag, Welt Kompakt). Ha un blog di lifestyle berlinese, Berlino Cacio e Pepe ormai punto di riferimento per la comunità italiana in Germania ed una segreta, ma non troppo, passione per Philip Roth e Jeffrey Eugenides. La sua seconda passione è il calcetto, tanto che è allenatore e giocatore di una squadra berlinese più che mai melting pot.

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