arm chimiche Skripal
GEOFF CADDICK/AFP/Getty Images - 3 aprile 2018
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Il caso Skripal e la pratica comune degli omicidi all’estero

Una strategia che accomuna, indifferentemente, dittature e democrazie. Tra Ragion di Stato e (scarsa) memoria storica

La Francia ha ucciso, dal 2013 al 2016, almeno 40 jihadisti su suolo straniero. Considerati in gergo HVT (High Value Targets) il via libera alla loro eliminazione è arrivato direttamente da François Hollande, tramite il braccio armato della DGSE, ossia la celebre Direction générale de la sécurité extérieure.

Diverse inchieste giornalistiche francesi considerano verosimile la cifra di almeno una "élimination extraterritoriale" al mese durante tutto il mandato presidenziale di Hollande.

Dagli Usa a Israele

Gli Stati Uniti guidati da Barck Obama, con il programma dei droni, hanno visto il commander in chief autorizzare ufficialmente l’uccisione di almeno 2.300 presunti terroristi, tutti in territorio straniero.

Ma anche ai tempi di Jimmy Carter e di Ronald Reagan l’oppositore cileno Orlando Letelier fu assassinato a Washington dai servizi segreti della DINA (Dirección de Inteligencia Nacional) di Augusto Pinochet, con un clamoroso attentato dinamitardo; non per questo gli Stati Uniti cessarono di sostenere la dittatura cilena e lo stesso Bill Clinton fu molto riluttante, in seguito, a declassificare i documenti relativi al caso.

Israele è il capofila di questa strategia e ricorre da molti anni alla pratica degli omicidi mirati in nome della sicurezza nazionale. Molti leader palestinesi sono stati eliminati nientemeno che a Parigi, senza per questo sollevare da parte del governo francese scandali diplomatici.

Come non ne sollevò l’assassinio dell’attivista sudafricana Dulcie September (una piazza a suo nome oggi nel X arrondissement) avvenuto a Parigi nel 1988 con 5 colpi calibro 22 sparati a bruciapelo. Un tipico cold case diplomatico.

Venendo al caso Skripal, il silenzio di Israele appare quindi coerente mentre, al contrario, l’allineamento di Francia e di Stati Uniti alle proteste inglesi è quanto meno curioso.

La "curiosa" vicenda russa

In effetti, Parigi sembra direttamente coinvolta nelle indagini inglesi, tanto che Mosca ha inviato a Londra 14 domande dirette sul caso, molte delle quali vertono sul coinvolgimento di Parigi nella gestione dell’inchiesta.

Insomma, la vicenda dell’agente avvelenato con il gas nervino soffre di alcune incongruenze e solleva non pochi interrogativi. Perché Londra ha immediatamente accusato Mosca se le indagini sono destinate a durare a lungo, e dalle prime settimane ipotizzate si sta ora passando all’ordine dei mesi?

E perché gli alleati occidentali di Londra hanno dato seguito alla crisi diplomatica con Mosca se vicende di questa portata (ammesso che Mosca sia coinvolta) sono all’ordine del giorno e rientrano nella (cinica) logica della Ragion di Stato?

Nelle parole del Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov emerge in questi giorni una sorta di nostalgia per la vecchia diplomazia, quella della Guerra Fredda, dove il gioco era sì duro, ma senza colpi bassi dilettanteschi.

Sul caso Skripal, l’ipotesi di uno scandalo creato ad arte s’impone ogni giorno di più, e l’arte della diplomazia sembra ormai essere un pallido ricordo, stile film in bianco e nero di una volta.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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