I call center italiani? Ormai sono in Albania
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I call center italiani? Ormai sono in Albania

Vodafone, Wind, Edison, Fastweb, Telecom, Tiscali: sono solo alcune delle multinazionali che si sono trasferiti a Tirana. Abbattendo i costi ma non solo. Ecco come ci vedono i sei mila addetti telefonici albanesi al di là del mare

 

C’è il padre che chiede un posto di lavoro per il figlio, la casalinga meridionale trasferita al Nord che racconta la sua nostalgia per il Sud, il partigiano novantenne che ricorda i tempi di guerra in Albania, la donna anziana che chiede di essere richiamata «per poter parlare con qualcuno»… Sono gli italiani raccontati dagli operatori dei call center albanesi: quasi 6 mila giovani che trascorrono la loro giornata al telefono con l’Italia. E che hanno costruito in esclusiva per Panorama.it l’identikit dell’italiano medio, visto attraverso una cornetta telefonica al di là del mare.

Sono 57 i call center con sede a Tirana, Durazzo e Valona che lavorano per l’Italia. Al loro servizio, giovani laureati o laureandi  che chiamano, in un italiano perfetto, aziende e privati per vendere  beni e servizi di ogni genere: dalle guaine anticellulite alle scope elettriche, da spazi pubblicitari a contratti per forniture energetiche… Ma non solo: i call center albanesi offrono anche assistenza clienti. Pochi lo sanno, ma quando si telefona a un numero verde di una compagnia aerea o di una banca, spesso chi risponde è un impeccabile giovane albanese collegato via Internet da un caotico salone nel centro di Tirana.

Un fenomeno iniziato nel 2005, ma che ha conosciuto un vero e proprio boom negli ultimi due anni.  Come in Tunisia e in  Romania, anche nel paese delle aquile sono stati delocalizzati servizi di call center di importanti aziende in affanno a causa della crisi. A parte un paio di eccezioni, le società italiane di solito si appoggiano a realtà locali che offrono servizi chiavi in mano. La scelta dell’Albania non è casuale e non solo per la manodopera a basso costo. Semi-colonia italiana per qualche anno durante la seconda guerra mondiale, è un paese che ha sempre avuto come riferimento l’Italia. E l’italiano: tutti gli albanesi lo parlano o capiscono molto bene.

 

I call center made in Albania hanno cominciato tutti nello stesso modo: un appartamento in affitto, scrivanie e computer stipati, un contratto per Internet e tanti ragazzi che parlano italiano pagati poco. Ma quando a Tirana sono sbarcate anche le multinazionali, si è capito che il business era grosso. Nel mirino, il ricco mercato italiano: aziende come Vodafone, Wind, Edison, Fastweb, Telecom, Tiscali.

La crisi c’è ma gli italiani comprano sempre.
«Gli italiani si lamentano tanto e di tutto, ma alla fine comprano sempre». A parlare è Agron Shehaj il proprietario di Ids, il call center più grande in Albania. Il suo quartier generale è in un palazzo di vetro e cemento nel centro di Tirana. Appena entrati, il caratteristico mormorio prodotto da un centinaio di ragazzi giovanissimi, per lo più femmine, con le cuffie in testa che parlano tutti insieme di continuo: «Buongiorno, sono Stella. Chiamo da Ids Albania per conto di Edison. Ha un minuto di tempo?»

Anche Agron, unico proprietario di Intercom Data Service, è molto giovane. Vestito made in italy, ha da poco passato i 30 anni. Ormai a Tirana è una specie di star, un caso di business man di successo. Viene intervistato in tv e invitato nelle università per raccontare la sua esperienza. La sua storia è addirittura finita al centro di un documentario del regista albanese Roland Seiko, «La nave», che per intere settimane all’inizio di quest’anno è stato proiettato in diverse città italiane Roma, Firenze, Torino, Milano ed anche a Tirana. Mentre offre un caffè, anche quello rigorosamente italiano,  racconta la sua vita, quella di un ex emigrante come tanti. Diplomato e laureato in Italia, da otto anni è tornato in Albania per mettersi a capo di un’armata di 2000 giovani dai 20 ai 25 anni .

Sono tutti figli degli anni Novanta. Nati e cresciuti dopo la dittatura, hanno la stessa età della democrazia albanese. La loro busta paga varia tra i 200 ai 300 euro al mese, meno della metà di un collega in Italia, ma per un giovane albanese un buono stipendio. Tanti operatori si appassionano a questo lavoro, altri lo usano come trampolino professionale.

Albana Kapxhillari è una di questi ultimi. Laureata in medicina, sogna un giorno di fare il medico. Ma finché i tempi non saranno maturi passa la sua giornata a parlare con gli italiani al telefono. Per la ragazza con il nome della sua patria, gli italiani sono gentili, anche se si infastidiscono per le eccessive chiamate. Non sono comunque maleducati e non rispondono mai male al telefono, salvo casi particolari. Sono tendenzialmente portati a comprare, anche se ultimamente ci pensano un po’ prima di decidere .

«Io lavoro per la categoria business in outbound» dice Albana. «Chiamo le imprese per vendere servizi: telefonia, energia, Internet. La gente si lamenta tanto della crisi. Ieri sera il titolare di una piccola azienda non voleva comprare un servizio perché prevedeva di chiudere i battenti, ma alla fine lo ha comprato lo stesso».

Suada lavora con Edison. Racconta con un sorriso di quando un padre di famiglia le propose: «Se Edison offre un posto di lavoro a mio figlio, io mi abbonerò». 

Durante la pausa caffè, alla macchinetta i ragazzi si raccontano le storie degli italiani che incontrano ogni giorno virtualmente. Tutti concordano sul fatto che c’è una forte differenza fra settentrionali e meridionali. Riescono a distinguerla al volo. «Al sud sono ancora al cartaceo» spiegano i ragazzi albanesi, cresciuti nell’era digitale. «Il nord è molto più informatizzato e anche informato». Prima di rimettere le cuffie in testa sottolineano che non succede quasi mai che un operatore riesca a parlare con il titolare di un’azienda del nord, grossa o piccola che sia: «Quelli del sud sono più alla mano e anche più simpatici».

Al termine della visita, nella sala si leva un forte applauso. «È per un contratto concluso» spiega il proprietario. Uno stratagemma all’americana per motivare gli operatori.

 

È la moglie a decidere di comprare
Lo stesso applauso risuona anche al Future Generation, altro call center di Tirana. Due sedi: una a  Elbasan, con 121 postazioni, e un’altra a Tirana, con 124 .

Future Generation ha un target più familiare: 10 volte più piccolo di Ids, opera per clienti come Pagine Bianche e Gialle, Media shopping e Giordano Vini. Alessandro Gala, il proprietario, è un italiano arrivato a Tirana come amministratore delegato della prima multinazionale di call center in Albania. Dopo quattro anni si è messo in proprio e ha sposato Denada, un’ex operatrice telefonica che era alle sue dipendenze. E oggi lavorano ancora insieme.

Anche Denada distingue il nord dal sud. Anzi, riesce a distinguere l’origine di chi parla: «Non è difficile dice lei distinguere una donna milanese da una donna del sud immigrata a Milano». Quando si tratta però di concludere un affare l’ultima parola spetta sempre alla donna. «La frase “Attenda un attimo che devo chiedere a mia moglie” è una delle più ricorrenti» raccontano i ragazzi di Future Generation.

Una faccia una razza
Diego Pisa, amministratore delegato della multinazionale Teleperformance ha twittato: «C’è un paese giovane al centro dell’Europa, ricco di talenti e lontanissimo dall’immaginario di ognuno. Si chiama Albania». Per Pisa i vantaggi dell’Albania non sono solo i bassi costi della manodopera, ma anche il basso livello di tassazione e l’alto livello di qualificazione del personale.

Per Teleperformance lavorano 1400 ragazzi: Ornella, Roza, Xhino e molti altri raccontano degli italiani gentili, comprensivi e accomodanti, abituati a essere disturbato dai call center ma che non perdono mai il rispetto per il lavoro altrui. Ma raccontano anche degli anziani solitari con i figli lontani, per i quali lo squillo della telefonata di un call center è l’unico momento di compagnia della giornata, perché non li chiama mai nessuno. «Tanti chiedono di essere richiamati anche solo per essere salutati» dice Xhina con un velo di tristezza. Aggiunge Roza: «Un giorno ha risposto un ex partigiano di 93 anni di Piacenza, che conosceva le città del nord dell’Albania, attorno a Scutari, meglio di me. Questa storia mi ha fatto ricredere su questo lavoro, da tanti considerato superficiale e senza peso».

Per tutti questi ragazzi, l’Italia è un mito. «Gli italiani sono come noi: i nostri fratelli maggiori. E sono convinta che anche questa volta ce la faranno» dice Xhina, che ha fiducia nella grande storia di un grande popolo che ha sempre saputo aiutare gli altri con generosità e altruismo. Non lo dimentica mai, tanto meno quand’è al telefono: «Pronto sono Xhina. Chiamo da Teleperformance Albania. Posso rubarle un minuto? Abbiamo delle nuove offerte…».

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Eni Vasili