H.R. McMaster, il “soldato intellettuale” che consiglia Trump
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H.R. McMaster, il “soldato intellettuale” che consiglia Trump

Il sostituto di Flynn è un personaggio di primo piano dell’establishment militare. Piace a tutti: eroe in Iraq e incensato dalla rivista Time

Per Lookout news


Dopo un weekend trascorso nel suo lussuoso resort di Mar a Lago in Florida, a intervistare possibili candidati alla successione di Michael Flynn per la carica di Consigliere per la Sicurezza nazionale, il presidente Donald Trump ha annunciato ieri 21 febbraio che la sua scelta è caduta su Herbert Raymond McMaster, un generale a tre stelle tuttora in servizio attivo come comandante del Centro di integrazione delle risorse dell’Esercito. McMaster, 54 anni, è un personaggio di primo piano dell’establishment militare americano, un “soldato intellettuale”, noto per essere coraggioso ma anche fine analista e soprattutto critico – spesso spietato – delle scelte strategiche del Pentagono.

 Nel 1997 scrisse un libro intitolato Dereliction of duty (“Negligenza del dovere”) che gli è valso il soprannome di “generale iconoclasta”: in quel testo, McMaster criticava la gestione politico militare della guerra nel Vietnam e accusava senza mezzi termini gli alti ufficiali delle forze armate di viltà e di supina acquiescenza nei confronti del potere politico, per non aver contestato la strategia del presidente Lyndon Johnson e del Segretario alla Difesa Robert McNamara, che tentarono di combattere i vietcong e i nordvietnamiti con un approccio convenzionale, che si dimostrò fallimentare e portò alla prima sconfitta militare nella storia degli Stati Uniti (e alla perdita del Vietnam del Sud al prezzo di 58mila soldati americani morti). Dereliction of duty oggi è usato come libro di testo in molte università americane e nella scuola del Corpo dei Marines.

Il curriculum nel Golfo e il carattere critico

 Adorato dai suoi subordinati, il generale McMaster si è distinto in battaglia nella prima guerra del Golfo (1991), quando inflisse una dura sconfitta alla Guardia Repubblicana irachena, guadagnandosi una Silver Star – la terza più alta onorificenza al valor militare – nella successiva guerra irachena (2003) quando al comando di un reggimento di Cavalleria corazzata ha applicato sul campo la dottrina della counter-insurgency elaborata dal generale David Petraeus per far fronte a un conflitto non convenzionale.

 

McMaster, disgustato dall’approccio iniziale dei militari americani nel teatro iracheno, basato sul semplice uso della forza militare convenzionale e sul motto seek and destroy (“trova e distruggi”), applicato sia dall’amministrazione Bush che poi da quella Obama, dopo aver constatato che l’ignoranza degli usi e costumi locali aveva alienato i soldati americani dalla popolazione irachena fomentandone la ribellione, chiese di dispiegare in Iraq «più arabisti e meno paracadutisti» per tentare di coinvolgere la società locale nella lotta contro il terrorismo, in un’operazione che Petraeus definì il «surge», ossia l’impennata anti-rivoltosi.

 

Fedele seguace di questa dottrina, McMaster si distinse in Iraq per essere uno dei pochi alti ufficiali dell’esercito che obbligava i suoi soldati a passare ore sui libri di storia del Medio Oriente per apprendere i fondamenti della cultura irachena, le differenze tra sunniti, sciiti e turcomanni, e per imparare a «lavorare con loro e non contro di loro». I suoi metodi ebbero successo sul terreno, ma la sua critica al pensiero strategico «ottusamente ortodosso» dei vertici delle forze armate, ebbe effetti negativi sulla sua carriera: nel 2006 e nel 2007 saltò per ben due volte la promozione a generale di brigata, pagando lo scotto delle sue idee e dei suoi metodi anticonvenzionali, spesso irriverenti nei riguardi dei direttori del Pentagono.

 

La difficile successione a Michael Flynn
Nonostante questi problemi di convivenza, nel 2014 il generale McMaster è stato incluso dalla rivista Time nell’elenco delle “100 personalità più influenti del mondo”, in un articolo che lo definiva «il guerriero pensatore» delle forze armate americane e un uomo che «in un ambiente nel quale i generali non creano problemi alla gerarchia per non mettere fine alla loro carriera si è rivelato una rarità, un soldato che ha ripetutamente sfidato il sistema e che è sopravvissuto fino ad arrivare ai gradi più alti dell’esercito».

 

McMaster succede ora a Michael Flynn dopo che questi si è dovuto dimettere dalla carica di Consigliere per la Sicurezza nazionale lo scorso 13 febbraio, sull’onda di una campagna stampa basata su alcuni leaks – fughe di notizie anonime provenienti da ambienti dell’intelligence americana – in merito a suoi contatti con diplomatici russi. A differenza di Flynn, che ha sostenuto attivamente Donald Trump durante i mesi difficili della campagna elettorale, McMaster non appartiene all’inner circle del neo presidente. È stato scelto sia per la sua eccellente reputazione tra i gli ex colleghi come John Mattis (ex comandante del corpo dei Marines e oggi Segretario alla Difesa), sia grazie al sostegno di molti senatori repubblicani come l’influente senatore John McCain che, nonostante militi nello stesso partito del presidente, non ha lesinato critiche nei confronti di Donald Trump.

 Ricucire tra i repubblicani

McCain ha approvato con entusiasmo la nomina di McMaster definendola «una scelta eccellente». Dunque, Donald Trump segna finalmente un punto nella partita interna al Grand Old Party che, almeno per il momento, sembra in grado di riportare un po’ di pace tra il neo presidente e l’establishment repubblicano. Il partito, infatti, ha mostrato di non apprezzare molto le controverse decisioni dei primi cento giorni della nuova Amministrazione ma Trump, per poter sperare di riuscire a navigare in acque più tranquille d’ora in avanti, deve necessariamente contare sull’appoggio del Grand Old Party e della sua maggioranza al Congresso.

 Il primo compito del “generale iconoclasta” sarà perciò tentare di mettere fine alle tensioni interne al Consiglio per la Sicurezza Nazionale dove, tra i funzionari di carriera scelti dall’amministrazione Obama e i cosiddetti “Flynnstones”, ovvero i nuovi arrivati scelti da Michael Flynn, non corre buon sangue. Sui primi grava, infatti, il sospetto di essere all’origine dei leaks che hanno provocato la caduta dell’ex generale, mentre i secondi sembrano ben decisi a vendicarsi. Un compito non facile che appare comunque alla portata di H. R. McMaster, un guerriero ma anche un pensatore.

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Alfredo Mantici