Giro di vite nei servizi di intelligence egiziani
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Giro di vite nei servizi di intelligence egiziani

Il presidente Al Sisi conferma la fiducia al ministro dell’Interno Ghaffar per mettere all’angolo gli apparati non allineati

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Prima la mail contenente un ordine di riservatezza sull’omicidio diGiulio Regeni, indirizzata alla procura generale egiziana ma inviata per “errore tecnico” a media e giornalisti. Poi la notizia della violazione da un dispositivo mobile egiziano dell’account di posta elettronica del ricercatore italiano un mese dopo la sua morte.

 Appaiono sempre più evidenti gli errori e le omissioni messi in fila in questi ultimi mesi dai funzionari del ministero dell’Interno egiziano. Errori evidenziati in più occasioni dal governo italiano, che attende adesso la verifica dei primi tabulati telefonici consegnati alla procura di Roma dai magistrati egiziani e l’esito di un nuovo incontro che si terrà alla fine di questa settimana tra i nostri inquirenti e quelli egiziani al Cairo.

 Le critiche, almeno per il momento, non sembrano però essere sufficienti per far vacillare la poltrona del ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar, il quale, secondo fonti di intelligence attendibili, ha ricevuto nei giorni scorsi la conferma della fiducia da parte del presidente Abdel Fattah Al Sisi.

 Nell’intricata partita in corso in Egitto per la definizione degli equilibri interni tra i vari apparati della sicurezza nazionale, Ghaffar avrebbe infatti vinto l’ultimo round nel confronto con il generale Mohammed Al Tuhami, capo del servizio di intelligence militare, e con il generale Khaled Fawzi, alla guida del Mukhabarat, il servizio di intelligence esterno che ricopre compiti specifici nell’antiterrorismo.


Lo Stato Islamico nel Sinai

Formalmente la decisione di affidare maggiori poteri a Ghaffar sarebbe dovuta alla necessità di imprimere un deciso cambio di passo nell’azione di contrasto alle cellule jihadiste che operano nella penisola del Sinai sotto la bandiera del Wilaya Sinai, ex Ansar Beyt al-Maqdis ora affiliato allo Stato Islamico.

 

I risultati finora prodotti tanto dall’intelligence militare quanto dal Mukhabarat non avrebbero soddisfatto il presidente. In particolare a pesare sulla bocciatura del Mukhabarat sarebbe stato il fallimento della campagna di reclutamento di informatori avviata da mesi sul posto dagli uomini dei servizi esterni. L’obiettivo fissato era “comprare” la fiducia di almeno 300 unità locali in cambio di buone ricompense. Ma gli informatori reclutati sarebbero stati solo 15, il che certifica il radicamento sempre più capillare dello Stato Islamico nel Sinai e la sua capacità di stringere stretti rapporti direttamente con i capi delle tribù locali.

Alla luce di questo declassamento, è difficile prevedere quale direzione prenderà il recente accordo per la condivisione di informazioni di intelligence in chiave anti-ISIS nel Sinai, così come in Libia a sostegno del generale Khalifa Haftar, che il 21 aprile scorso Fawzi in persona aveva raggiunto con Ali bin Hamad Al-Shamsi, il vice segretario generale del Consiglio superiore per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti, a margine di un incontro tra Al Sisi e il principe ereditario degli Emirati Mohammed bin Zayed al-Nahyan.

Nel mirino di Al Sisi il Mukhabarat
Più che i risultati deficitari ottenuti nel Sinai, a incidere sulla decisione del presidente sarebbe però stata la certezza di non avere il pieno controllo del Mukhabarat. Secondo due dei consiglieri più influenti del presidente, Ahmed Jamal Eddine e Abbas Kamel, il servizio esterno opererebbe infatti secondo una propria agenda non solo nel Sinai ma anche nella conduzione dei rapporti con i vertici della Fratellanza Musulmana e con l’organizzazione terroristica palestinese Hamas.

 Per non farsi trovare impreparato, Al Sisi ha pertanto deciso di puntare ancora una volta su un alleato solido e di lunga esperienza come Ghaffar, attraverso il quale fare “pulizia interna” nel momento opportuno. Ghaffar, d’altronde, è un ministro buono per tutte le stagioni. Ai piani alti dei servizi di sicurezza del Cairo dall’inizio dell’era di Hosni Mubarak nei primi anni Ottanta, è passato indenne per il mandato di Mohamed Morsi e, ancora oggi, è sempre più al centro delle scelte strategiche dell’Egitto dei militari.

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Rocco Bellantone