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Steffi Loos/Getty Images
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Germania, si scrive grande coalizione, si legge Europa

Ora che lo stallo sembra risolto, il sospiro di sollievo abbraccia un po’ tutti: i tedeschi, Macron, i mercati, ma soprattutto l’idea di unità europea

Un fantasma si aggirava per l’Europa: era l’Europa medesima, attonita spettatrice dello stallo politico in Germania.

Ora che la cosa sembra risolta, l’emergenza rientrata, il sospiro di sollievo abbraccia un po’ tutti: i tedeschi, Macron, Bruxelles e naturalmente i mercati.

Paradossalmente i meno soddisfatti della soluzione trovata sono proprio i protagonisti ai quali si deve la soluzione medesima: i socialdemocratici, ma anche Frau Merkel.

La GroKo, come ormai tutti chiamano nel Paese la terza edizione della strana coppia Cdu-Spd, nasce in un clima di trattenuta festa.
Le ragioni del travaglio della Spd sono note e vanno ascritte al pegno identitario che la Socialdemocrazia tedesca ha dovuto pagare per onorare, nel tempo, l’alleanza coi cristiano democratici.
Merkel dal canto suo ha capito di essere meno forte – in termini di consenso parlamentare – di quanto sperasse dopo tanti anni passati al timone e quindi ha dovuto accettare non solo la logica del compromesso, ma anche quella del revival.

Eppure, a pensarci bene, da due debolezze tedesche è finita per emergere una forza europea. 

Si tratta, per la politica tedesca tutta, di una sorta di dantesca legge del contrappasso. Dopo aver dominato in Europa e aver imposto (chiedere ad Atene maggiori info) un’austerità ammazza crescita, la Germania si è scoperta debole in patria, e vulnerabile su quelle materie (come i migranti) dove invece aveva dato il meglio di sé.

Effetto Macron

Il fattore nuovo di tutta la narrazione europea è stato, con ogni evidenza, il Presidente francese Emmanuel Macron. 
Questi ha vinto l’Eliseo sconfiggendo l’euro scetticismo quando esso era il cavallo dato per vincente dai piazzisti della politica attenti alla pancia dell’opinione pubblica. L’affermazione di Macron è stato il primo segnale inviato alla Germania relativo al nuovo verbo: sì incondizionato all’Europa, ma alla buona Europa, non a quella tecnocratica e asettica.

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Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron (EPA/PHILIPPE WOJAZER / POOL MAXPPP OUT)

Impossibilitata a offrire, per diversa storia politica e per diversa architettura istituzionale, un Macron tedesco, la Germania ha patito più della Francia l’onda d’urto dei populismi portati avanti sia da partiti classici, come i liberali di Fdp, sia da nuove formazioni come AfD (Alternative für Deutschland), e alla fine per farsi trovare pronta al fianco della Francia ha dovuto rispolverare la già vista (ma in fondo non logora) Grande Coalizione.

Quali ricadute avranno questi rapporti di forza per l’Europa? Di certo Macron, che in attesa degli sviluppi era volato a Londra per assicurarsi buoni rapporti oltre Manica, dopo un inizio attendista, appare ora come il socio dinamico del sodalizio. Egli infatti ha avuto una piena investitura dal proprio elettorato, sia alle presidenziali che alle legislative, proprio nel nome dell’Europa, mentre Merkel e Schulz (addirittura sconfitto nelle urne) si ritrovano al potere con un programma di chiara “sintesi degli opposti” che li fa meno autorevoli.

La Francia, ne abbiamo avuto un antipasto (amaro), ha già dimostrato il nuovo orientamento in occasione della nomina sfumata di Pier Carlo Padoan al vertice dell’Eurogruppo. In futuro è assodato che Macron farà valere la sua golden share di golden boy della politica europea; le incognite sono chiare: questa opzione ci porterà un’Europa più coesa e migliore, o il nuovo capo cordata, la Francia appunto, si rivelerà alla fine solo una nuova Germania?

I segnali lasciano qualche spiraglio all’ottimismo. La Francia non ha bisogno del rigore tedesco se vuole rilanciarsi economicamente; a seguire il mercato unico dell’energia e del digitale cari a Parigi potrebbero portare benefici ai consumatori finali, mentre la creazione di un Fondo comune per la difesa (Regno Unito incluso? Macron ne ha parlato con Theresa May…) è un piano militare ambizioso che appunto non si limita a “fare i compiti a casa” come voleva l’Europa a guida, o forse sarebbe meglio dire a pilota automatico, Schäuble.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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