Cairo vista
David Degner/Getty Images - 18 settembre 2018
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Perché l'Egitto avrà una nuova capitale

Per il governo egiziano sarà "più grande, bella e nuova" di qualsiasi altra metropoli al mondo. Per ora non ha nome, ma c'è già chi la chiama "Sisi City"

L'Egitto avrà una nuova capitale. Ospiterà 6 milioni e mezzo di persone, sorgerà a est del Cairo, tra il Nilo e il Canale di Suez, in posizione strategica, e sarà "più grande, migliore e nuova" rispetto a qualsiasi altra grande città al mondo, almeno secondo le intenzioni del governo egiziano, che lavora perché la città sia pronta entro il 2019.

Non ha ancora un nome (al momento è stata chiamata NAC, acronimo di New Administrative Capital) o "Sisi city", dal nome del presidente egiziano al-Sisi. Nasce dalla necessità di disporre una moderna megalopoli che sostituisca la vecchia (storica, ma ormai caotica e disordinata) Il Cairo che, con i suoi circa 19 milioni di abitanti, sta "scoppiando": occorre un nuovo posto, dunque, che ospiti un nuovo Parlamento, una banca centrale, un aeroporto e un palazzo presidenziale, che sarà grande 8 volte la Casa Bianca.

Non potrà poi mancare un distretto finanziario all'avanguardia. Ma non si rischia una cattedrale nel deserto, piuttosto che un "fiore nel deserto", come invece è nelle intenzioni dell'esecutivo?

Una nuova Dubai

Come sarà la nuova capitale? L'obiettivo è quello di realizzare la più grande città artificiale del pianeta. Oltre ai palazzi istituzionali la NAC avrà anche il più alto grattacielo del continente africano, il più grande minareto e chiesa cattolica, ma anche un enorme parco divertimenti, di dimensioni maggiori persino rispetto a Disneyland. Ad essere interessati al progetto, firmato dagli architetti statunitensi Skidmore, Owings e Merrill, non sono solo investitori egiziani, ma anche cinesi e degli Emirati Arabi.

Naturalmente la nuova capitale è nata da un'idea del potente presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e segue il modello di altre moderne capitali sorte per sostituire quelle più antiche e storiche: Brasilia che ha preso il posto di Rio de Janeiro in Brasile, Abuja che è diventata capitale della Nigeria al posto di Lagos, o Naypyidaw che ha rimpiazzato Yangon in Myanmar. L'ispirazione è però venuta in particolare dagli Emirati Arabi Uniti e da Dubai in particolare.

Perché avere una nuova capitale

L'idea di fondo è quella di disporre di una città più funzionale, comoda da raggiungere e facile da girare, più moderna e meno caotica. Ma non manca la componente politica: dopo le primavere arabe del 2011, la caduta di Mubarak e la breve parentesi dei Fratelli Musulmani, l'Egitto di al-Sisi vuole offrire un'immagine di stabilità e solidità a livello internazionale. The Indipendent non esita a parlare di rebrand, in ricorrendo a un tipico termine del settore marketing.

"Abbiamo il dovere di avere un sogno" ha spiegato al quotidiano britannico Khaled al-Husseini, il portavoce del mega progetto. Archiviare i 30 anni di governo di Mubarak (1981-2011) e le turbolenze che ne sono seguite, la NAC dovrebbe rappresentare il nuovo Egitto, quello del futuro rappresenta la dimostrazione che "al-Sisi è un uomo forte, proponendo un luogo deputato agli affari in contrapposizione all'Egitto del passato" ha spiegato Daniel Brook, autore di A History of Future City.

L'unico edificio già pronto è l'Al Massa Hotel, già pronto. Difficile, però, prevedere come sarà lo stile degli altri palazzi. È prevedibile che, pur volendo offrire una propria identità nazionale, si richiamerà a blocchi geometrici dalle linee squadrate di altre moderne capitali, arricchiti con qualche dettaglio più tipico o regionale. 

Il rischio flop

Il principale distretto governativo della nuova capitale egiziana dovrebbe essere un mix di "stili faraonici e islamici", secondo David Sims, autore di Egypt's Desert Dreams: Development or Disaster?. Strade e quartieri dovrebbero dunque criteri più morbidi rispetto alle rigide linee moderne o occidentali, richiamando piuttosto lo stile urbano più tipico del Medio Oriente, offrendo nel contempo un'immagine di lusso marcatamente patinata.

Ma non manca lo scetticismo. Spesso le nuove città "artificiali" rappresentano un mezzo politico per manifestare la propria grandezza nazionale. Molti dei bisogni che vengono soddisfatti con le nuove realizzazioni urbani rispondono alle indicazioni dell'ONU, secondo cui la popolazione mondialeentro il 2060 sarà composta da 10 miliardi di persone.

È in quest'ottica che sono sorte realtà come il polo commerciale di Colombo Port City nello Sri Lanka, il centro educativo di Kaust in Arabia Saudita o l'icona green di Sustainable City, il quartiere verde di Dubai lungo la Al Qudra road, che costituisce la prima zona a emissioni zero degli Emirati Arabi.

Ma gli esempi si sprecano: ci sono anche Tbilisi Sea New City in Georgia, Dumq in Oman e Forest City in Malaysia, una vero "gioiello artificiale" con 700.000 residenti che vivono tra grattacieli, mall e hotel su quattro isole altrettanto artificiali di fronte a Singapore. Il problema è che spesso queste "città pianificate" sorgono con obiettivi che vengono puntualmente disattesi, diventando agglomerati urbani freddi o non rispondenti alle reali esigenze della popolazione residente. Insomma una "città fantasma" a soli scopi governativi.

I precedenti

I precedenti non mancano. È il caso, ad esempio, di Chandigarh in India, inserita nel patrimonio Unesco nel 2016 e progettata dall'architetto franco-svizzero Le Corbusier nel 1947. Commissionata dall'allora primo Ministro indiano Jawaharlal Nehru, è stata osannata, ma anche fortemente criticata non appena terminata: è la rappresentazione di uno sterile modernismo, con strade e rotatorie che non hanno nulla a che fare con lo stile indiano e che privilegiano il traffico automobilistico rispetto a quello pedonale.

Il progetto ha rappresentato un tale fallimento che nel 1970 venne condotta una ricerca per capire se l'architettura della città fosse andata incontro o piuttosto non avesse ostacolato lo stile di vita indiano, arrivando alla conclusione che la città era una "invenzione" occidentale che non rispondeva alle esigenze locali.

Stessa sorte per Islamabad in Pakistan, che secondo i progetti del 1959 avrebbe dovuto rappresentare l'immagine del nuovo Paese. Ideata con quartieri residenziali e tre assi principali di viabilità dall'architetto greco Costantinos Doxiadis (con un contributo nella fase di costruzione del collega britannico Robert Matthew Johnson-Marshall) ha privilegiato cavalcavia automobilistici e incroci, finendo con l'essere accusata di aver tradito l'organizzazione sociale pakistana. 

Nonostante il fallimento delle aspettative, in alcuni casi si è cercato di salvare gli aspetti positivi di queste nuove città: rappresentano una fonte di attrazione turistica. Che accada lo stesso per la NAC? Per ora si scommette per capire se la "Sisi City", dal nome del suo principale promotore, sarà una nuova Dubai o un totale insuccesso.

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Eleonora Lorusso