Default greco: l'epilogo del grande inganno della Troika
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Default greco: l'epilogo del grande inganno della Troika

Le cause del possibile crac di Atene risalgono all’inizio della crisi economica in Europa. Ecco il piano che ha ridotto al collasso l’economia greca

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Dopo il fallimento degli incontri dell’Ecofin (Consiglio Economia e Finanza) dello scorso 18 giugno, il presidente dell’Eurogruppo Jerome Dijsselbloem ha convocato per oggi, lunedì 22 giugno, alle 15 un nuovo incontro dei ministri delle Finanze e a seguire un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Eurozona. L’obiettivo è evitare il default della Grecia.

 La consapevolezza della gravità della situazione e delle invalutabili conseguenze che il default greco può provocare in prima battuta alla stessa Unione Europea, ha spinto i leader dell’eurozona a ricercare una nuova mediazione con Atene. Senza un accordo sulle nuove manovre di austerità, la Troika non autorizzerà il versamento dei 7,2 miliardi di euro concordati alla Grecia, che non potrà rimborsare la rata di 1,5 miliardi di euro al Fondo Monetario Internazionale (FMI). La crisi di liquidità, dovuta al fatto che il governo greco non ha i soldi in cassa per onorare i propri debiti, si trasformerà in una crisi di solvibilità e, quindi, nel fallimento dello Stato ellenico.

 

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A ben guardare tutta questa vicenda appare surreale. La Troika deve concedere un prestito di 7,2 miliardi con i quali la Grecia deve rimborsare entro giugno 1,5 miliardi al FMI ed entro luglio 3,5 miliardi alla Banca Centrale Europea (BCE). Si tratta pertanto a tutti gli effetti di una partita di giro. Se a questi si aggiungono i 2,5 miliardi al mese di cui la Grecia ha bisogno ogni mese per pagare stipendi e pensioni, il risultato è che questa trance di prestito, già accordato, serve solo ad arrivare a fine mese. Allora perché dopo aver sborsato oltre 200 miliardi di euro la Troika improvvisamente si impunta su 7,2 miliardi per i quali è disposta a far esplodere l’eurozona e produrre una crisi sistemica mondiale dalle conseguenze imprevedibili?

 

L’antefatto
Proviamo a raccontare una storia diversa, iniziata a Bruxelles nel 2010. I protagonisti principali sono Dominique Gaston André Strauss-Kahn, direttore generale del FMI (2007-2011), Christine Madeleine Odette Lagarde, ministro dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego del governo francese di Fillon durante la presidenza di Nicolas Sarkozy e attuale direttore generale del FMI, Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze dal secondo governo di Angela Merkel (2007).

 Un anno prima, nel 2009, l’onda lunga della crisi della finanza creativa americana colpisce l’Europa e con particolare durezza le economie mediterranee, gravate da noti ritardi strutturali e scarsi investimenti. Nell’aprile del 2010, il declassamento a “spazzatura” del debito sovrano greco chiude il mercato privato del rifinanziamento e spinge la Grecia verso il default. Il rischio di contagio e d’implosione dell’eurozona impongono un intervento coordinato delle autorità economiche internazionali e allo scopo viene costituita la cosiddetta Troika (FMI, BCE e Commissione Europea).

I retroscena della strategia della Troika
La Troika, invece di seguire l’esempio degli Stati Uniti e attuare una politica monetaria e fiscale anticiclica con cui rifinanziare l’economia dell’Unione Europea e consentire alla Grecia di ristrutturare il debito, impone la politica economica prociclica conosciuta come Austerità Espansiva. La Troika condiziona l’aiuto alla Grecia e impone a tutti gli altri Paesi in crisi la realizzazione di un eccezionale e mai tentato prima piano di aggiustamenti strutturali. Questi aggiustamenti strutturali sono in realtà riconducibili al programma in 10 punti (decalogo) di riforme politiche per lo sviluppo economico elaborato da John Williamson nel 1989 per la Banca Mondiale e conosciuto universalmente come il Washington Consensus.

 Questo decalogo, che si è affermato nelle istituzioni economiche internazionali come il modello generale di un nuovo liberalismo – basato su privatizzazioni, riduzione delle tasse, riduzione del deficit pubblico, libera circolazione delle merci e dei capitali – avrebbe dovuto garantire all’umanità una nuova era di sviluppo e prosperità. I risultati sono ben noti: la Grande Recessione e la più straordinaria concentrazione dei redditi ed esplosione delle disuguaglianze sociali mai registrata in tempo di pace.

 Nel secondo semestre del 2008, le banche dell’Eurozona sono esposte per 128 miliardi in titoli del debito pubblico greco. Le banche di Francia e Germania, cronicamente sottocapitalizzate e con livelli di leverage (leva finanziaria)elevatissimi (36 Deutsche Bank, 29 CommerzBank, 33 Credit Agricole e 50 Societe Generale), sono esposte verso la Grecia per oltre 100 miliardi. In queste condizioni una ristrutturazione del debito sovrano greco è insostenibile per la Francia e soprattutto per la Germania, dopo i 67 miliardi spesi per salvare il sistema delle banche locali.

 Sappiamo dalla pubblicazione dei verbali riservati della riunione del 9 maggio 2010 dell’Executive Board del FMI che oltre 1/3 dei membri – tra cui Svizzera, Brasile, Argentina, India, Cina, Russia – era contrario al progetto di bailout (riacquisto tramite prestito) da 110 miliardi di euro definito dalla Troika. Sappiamo anche dello scontro avvenuto in seno al FMI tra la componente politica e la componente tecnica, grazie alla pubblicazione nel 2013 del rapporto n. 13/156 del FMI, intitolato Greece: Ex Post Evaluation of Exceptional Access under the 2010 Stand-By Arrangement.

 Nel caso della Grecia il FMI – che dovrebbe limitarsi a intervenire in situazioni in cui, sulla base del rispetto di un insieme di parametri, una ripresa economica sia ritenuta altamente probabile – ha derogato da questa regola ed è intervenuto nonostante fosse chiaro sin dall’inizio che il programma di riforme sarebbe stato insostenibile e comunque inefficace, visto che il governo di Atene era di fatto insolvente e in bancarotta. Questa convinzione era così radicata da essere riportata esplicitamente nel rapporto, in cui si afferma che la ristrutturazione del debito (haircut) andava fatta prima del bailout e che comunque è inevitabile.

 Esistono numerose testimonianze sui ripetuti tentativi di Strauss Kahn di convincere la Commissione Europea e la BCE ad accettare l’idea di un taglio del debito greco anche se l’allora presidente della Commissione Europea, Olli Rehn, ha affermato in proposito: “non ricordo che Strauss Kahn abbia mai proposto di ristrutturare il debito greco, mentre ricordo bene l’opposizione di Cristine Lagarde a questa eventualità”.

Il piano per distruggere l’economia greca
Come è andata a finire è storia degli ultimi anni. Nel maggio 2010 viene realizzato il primo bailout da 110 miliardi. Strauss Kahn viene arrestato l’11 maggio del 2011 a New York con l’accusa di molestie sessuali a una cameriera di un hotel. Nell’ottobre dello stesso anno viene firmato l’accordo per il secondo bailout di 130 miliardi. Nel settembre del 2013, grazie ai due bailout, le banche dell’eurozona hanno solo 12 miliardi di titoli greci in pancia e hanno realizzato anche un guadagno addizionale di 10 miliardi. Grazie a questa operazione la Troika ha trasferito l’80% dei 322 miliardi del debito pubblico ellenico sui contribuenti (68% fondo salva stati ESM, 10% FMI e 8% BCE) e ha cinicamente e consapevolmente distrutto l’economia greca, precipitando il Paese in una crisi umanitaria senza precedenti.

 È quindi chiaro perché Lagarde e Schauble si oppongano alle più che ragionevoli proposte del primo ministro Alexis Tsipras e alla richiesta di ristrutturare il debito con titoli legati alla crescita del Paese (GDP-linked bond o growth bond) del ministro Yanis Vaurofakis. Meno comprensibile è l’appoggio di Paesi come l’Italia alle nuove e inutili richieste della Troika, tanto più quando si parla insistentemente di un nuovo (terzo) bailout da 50-60 miliardi per contenere l’esplosione del debito greco, passato dal 130 al 180% del PIL proprio grazie alle insane ricette della Troika.

 Francia e Germania per salvare le loro banche da costi che sono parte delle regole del gioco, hanno trasformato un credito privato in uno pubblico e imposto, sotto ricatto, uno sforzo di solidarietà a Paesi già in crisi come l’Italia, che oggi è esposta per oltre 40 miliardi verso la Grecia. Perché allora continuare  a condividere le loro insensate richieste e ad affamare il popolo greco?

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Luciano Tirinnanzi