Crisi del petrolio e intervento in Siria: come reagirà l’economia russa?
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Crisi del petrolio e intervento in Siria: come reagirà l’economia russa?

Il crollo del prezzo del greggio e la guerra in Siria mettono in crisi la tenuta finanziaria. Riad e Usa puntano a destabilizzare il governo di Putin

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Sono sempre più forti in Russia le preoccupazioni per la tenuta della finanza pubblica. Il budget statale 2016 si basava sul petrolio a 50 dollari al barile. Ma ora con il crollo fino a 30 dollari, e il rublo a 77,04 sul dollaro (il minimo dal 2004), il bilancio andrà rivisto, e a subire una contrazione saranno le spese sociali.

 Il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha annunciato che Ministeri ed Enti statali ridurranno la spesa del 10%. Mentre, obbligatoriamente per la tenuta del governo, il taglio non riguarderà i salari di funzionari pubblici e militari. La Russia produce 10 milioni di barili di petrolio al giorno. Con una differenza di 20 dollari la perdita è di 200 milioni al giorno, più di 70 miliardi di dollari all’anno. Ma il petrolio è sceso dai 100 ai 30 dollari al barile, e le perdite sfiorano quindi i 300 miliardi annui.

Con il crollo fino a 30 dollari, e il rublo a 77,04 sul dollaro (il minimo dal 2004), il bilancio andrà rivisto, e a subire una contrazione saranno le spese sociali

Siluanov ha comunicato che è anche in corso la ricerca di nuove entrate, probabilmente con nuove privatizzazioni (una manna, come ovunque, per gli oligarchi, arricchitisi con la svendita del patrimonio dell’ex URSS), per un valore pari a 12 miliardi di dollari. Il bilancio prevede un deficit del 3% del Pil, posto a sbarramento dal presidente Vladimir Putin, ma il crollo del petrolio lo renderà difficile. Nel 2015 il deficit si era mantenuto al 2,6%, ma il petrolio era a 82 dollari al barile.

Vanno poi sommate le enormi spese sostenute dalla Russia per difendere prima e mantenere ora Novorossia (i territori dell’est dell’Ucraina che chiedono di essere autonomi da Kiev): stipendi, pensioni, rifornimenti, ricostruzione. E, da fine 2015, le altrettanto enormi spese dell’intervento in Siria.

 

Scontro a tre tra Mosca, Riad e Washington
Il crollo del petrolio è stato perseguito dall’Arabia Saudita, al duplice scopo di attaccare lo shale gas americano (cioè l’autonomia petrolifera degli USA a cui è connesso lo setto legame politico tra Riad e Washington) e le rendite petrolifere della Russia, che si era frapposta ai piani sauditi in Siria. Una strategia possibile perché il petrolio saudita ha minori costi estrattivi, mentre shale oil americano e petrolio russo hanno soglie più alte di redditività. Ma se l’impatto in America è stato devastante solo per l’industria del settore, data la sua forza economica e finanziaria, l’impatto sulla Russia, che conta unicamente sulle entrate energetiche, è stato assai più incisivo.

L’intervento russo in Siria ha per gli USA, su scala globale, e per l’Arabia Saudita, su scala regionale, una doppia valenza. Se da un lato pone la Russia come player globale di stabilizzazione e garanzia, danneggiando gli interessi di entrambi, dall’altro la sottopone a un’enorme spesa che potrebbe portarla al collasso finanziario o, ancora prima e nei loro desideri, alla caduta di Putin.

Non va dimenticato che il crollo dell’URSS è stato enormemente favorito dalla corsa agli armamenti spinta dagli USA, che ha fatto dirottare la maggior parte delle risorse sovietiche dallo sviluppo industriale al settore militare. In quel caso l’attacco asimmetrico – in apparenza militare ma in realtà finanziario – ha avuto successo. Ma allora gli USA erano la prima economia mondiale e la nazione che deteneva il monopolio finanziario, e poteva stampare moneta senza limiti grazie all’imposizione del dollaro come moneta globale e mezzo di scambio di tutte le risorse energetiche e alimentari.

 

Ma gli USA non sono più la potenza economica di allora, e sono oggi alla bancarotta finanziaria e in deficit permanente di bilancia commerciale. A differenza di allora il dollaro non detiene più completamente il monopolio globale, ed è insidiato da altre monete in una larga fetta degli scambi globali. Contemporaneamente la loro sicurezza nel piazzare i T-Bond del Tesoro, per finanziare il deficit, non può più avere la garanzia che i due maggiori paesi esportatori, Cina e Giappone, si facciano carico dell’acquisto per mantenere il mercato americano. La Cina ha già svenduto una parte dei suoi 1.300 miliardi di dollari del debito USA, e ha in progetto una “Nuova Via della Seta” al fine di sganciarsi quanto più possibile dalla dipendenza dal mercato americano.

Il momento di Putin
In Russia, intanto, i sondaggi sulla popolarità di Putin danno sì un calo, ma è all’82% dall’89% di giugno 2015. A differenza degli americani, cui era diventato sempre più difficile spiegare le continue guerre intraprese, la stragrande maggioranza dei russi sanno bene perché la Russia è intervenuta in Ucraina. Così come sanno bene perché è intervenuta in Siria, per combattere i terroristi islamici e proteggere il suo fianco sud, vale a dire difendere l’Iran, vero obbiettivo della guerra ad Assad, e impedire l’allargamento al Caucaso e Asia centrale dell’infezione jihadista. Per quanto possa crescere il malcontento nei confronti del presidente per la crisi economico-finanziaria, la stragrande maggioranza dei russi privilegerà sempre la salvaguardia del Paese al proprio benessere individuale. Un concetto questo difficilmente assimilabile anche dai più esperti consiglieri americani. Perché, è bene non dimenticarlo, nella guerra contro il nazismo gli americani hanno avuto 400mila morti, i russi 25 milioni.

I tentativi di destabilizzazione asimmetrica finanziaria della Russia sono quindi basati sul tempo. E per gli USA non ce n’è più molto. Per questo sperano, e magari operano, per far fallire la tregua in Siria. La sua riuscita, diminuendo i fronti di scontro ai soli gruppi jihadisti, diminuirebbe infatti di molto l’impegno finanziario russo.

 Per contro, se falliranno lì, stanno già preparandosi a creare altre aeree di destabilizzazione attorno alla Russia, dal Caucaso all’Asia Centrale, con il medesimo scopo di indurla sulla difensiva e intaccarne la tenuta finanziaria. Finché potranno stampare dollari scaricando sul resto del mondo il proprio debito.

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