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EPA/David Maung
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Cos'è il Russiagate: parole, personaggi, intrecci

Da Abramson Seth a Witch Hunt passando per "I love it": 35 voci che spiegano le relazioni pericolose dell'amministrazione Usa con Putin e il suo staff

Un glossario in 35 parole per capire in modo semplice cos'è il Russiagate, chi sono i personaggi coinvolti e i fatti chiave.


Abramson, Seth
Giornalista freelance e segugio implacabile, twitta che il candidato Donald Tump (aprile 2016) ha incontrato l’Ambasciatore russo negli USA Sergey Kislyak al Mayflower Hotel di Washington D.C.

Are you kidding?
“State scherzando?” è la domanda esterrefatta del Ministro degli Esteri Russo, Sergej Lavrov, ai giornalisti americani che gli avevano appena chiesto se sapesse del licenziamento del capo dell’FBI James Comey.

Asilo politico
È quello offerto da Vladimir Putin nientemeno che all’ex Direttore dell’FBI, James Comey. Paragonandolo a Edward Snowden (!!!) e cioè ad un’attivista dei diritti umani, Putin sfodera un sarcasmo esplicito: se Comey si sente minacciato in America, la Russia è pronta a dargli protezione.

Bezos, Jeff
È il fondatore (e CEO) di Amazon, e dal 2013 il proprietario (o editore se si preferisce) del Washington Post. La testata è la capofila dell’inchiesta sul Russiagate: suo lo scoop sulle rivelazioni d’intelligence donate da Trump a Lavrov, come suo l’audio del senatore McCarthy su “Putin paga Trump”. Anche nel 1972 l’inchiesta “Watergate” partì dal WaPo. Il nuovo motto del giornale, coniato da Bezos, campeggia ormai stabilmente in prima pagina: “Democracy Dies in Darkness”.

Brennan, John
Ex capo della Cia fino all’inizio di quest’anno, ha testimoniato all’House intelligence commitee. Il fulcro del suo ragionamento, rispetto all’incontro Trump-Lavrov nello Studio Ovale, è netto: non è stata la prima volta che abbiamo condiviso infromazioni coi russi, ma mai e poi mai così. Le informazioni si scambiano da pari a pari (leggi intelligence con intelligence) e non in conversazioni a tutto campo tra un capo di stato e un ambasciatore. Inoltre, nel linguaggio usato da Trump (e trascritto dai russi), orecchie attente sapranno cogliere dettagli sintomatici che riveleranno non solo le fonti, ma le stesse prodedure operative dell’FBI.

Calembour
È la soluzione sofisticata che Trump, in genere molto basic, ha scelto per annunciare via Twitter di essere sotto indagine. Lo ha costruito così: “sono indagato per aver licenziato il Direttore dell’FBI dall’uomo che mi ha detto di licenziare il Direttore dell’FBI”. Chi è quest’uomo? Rod Rosenstein è il principale indiziato: suo l’affidavit contro Comey che finisce sulla scrivania di Trump pochi giorni prima del licenziamento.

Catalyst
Il catalizzatore, cioè il motivo del licenziamento, è stato l’atto di lesa maestà di Comey nei confronti del DOJ (Department of Justice). Lo dice poco convinta la portavoce di riserva della Casa Bianca, Sarah Sanders, ai giornalisti in conferenza stampa.

Comey, James
Direttore dell’FBI licenziato sul serio a sua insaputa, ma dopo un giro di telefonate fra Donald Trump e mezzo Congresso. Il suo mandato scadeva nel 2023. Indagava sulle cyber interferenze russe nelle elezioni presidenziali, sui server di Hillary Clinton, e probabilmente sul “di cosa si parla stasera a tavola, al Mayflower Hotel”.

Dark Web
Il lato oscuro di internet, il luogo non luogo dove si possono alterare elezioni democratiche o posteggiare leak (fuga di notizia) senza mittente. Siccome ora l’FBI smentisce Trump, confermando che Comey aveva la totale fiducia del Bureau, forse qualcuno avrà dei leak da condividere. Potrà scegliere tra tutte le principali testate americane che, da qualche giorno, pubblicizzano il loro indirizzo dedicato alla cyber guerra.

DOJ
È il Dipartimento di Giustizia americano che, secondo Trump, Comey escludeva dalle indagini sullo spionaggio russo per proteggere l’inchiesta e tenerla nel solo ambito FBI senza rivelare cosa il Bureau già sapesse su Flynn.

Enemy (of the American people)
"Nemici del popolo americano". Sono i media, secondo Trump, così chiamati in un suo celebre tweet del febbraio 2017. Apre la lista il NYTimes ovviamente, al quale dobbiamo la notizia su "Comey Nut job". Al Wall Street Journal (WSJ), dobbiamo invece la rivelazione delle riunioni d’affari al Mayflower Hotel, mentre del Washington Post sono le prime, esplosive, indiscrezioni sull’incontro nello Studio Ovale coi russi e la frase di McCarthy.

Flynn, Michael
Ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale nominato da Trump e subito dimissionario. Finora non ha collaborato alle indagini dell’FBI sulle relazioni pericolose coi russi. Adesso lo convocheranno al Senato. Deve chiarire i suoi rapporti col Cremlino: ma non parliamo solo di telefonate con l’Ambasciatore Sergej Kislyak. Quando sedeva a cena di fianco a Vladimir Putin, ad esempio, parlava solo di hockey su ghiaccio?

Goldstone, Rob
È un discografico-giornalista di tabloid britannico, ma con entrature di assoluto livello in Russia. Sua la mail al figlio maggiore di Trump dove racconta che un loro comune amico russo (Emin Agalarov), figlio di un immobiliarista pezzo da novanta (Aras Agalarov), tramite i contatti altolocati del padre può far avere informazioni compromettenti su Hillary Clinton. È una prova concreta, sostiene Goldstone, che i russi vogliono il bene di Trump senior e della sua campagna elettorale. Trump Jr. risponde coi cuoricini.

Hockey su ghiaccio
Sport di squadra praticato sul ghiaccio. Disciplina amata da Vladimir Putin il quale, in tenuta da gioco, rilascia un’intervista sul caso Comey alla CBS News. La sostanza: non m’intrometto nelle decisioni interne di Trump.

I love it
È l’espressione che Donald Trump Jr. usa in risposta all’offerta di Rob Goldstone di ricevere informazioni sensibili su Hillary Clinton durante la campagna elettorale. Finito sotto i riflettori, il rampollo decide alla fine di pubblicare di sua sponte tutta (o quasi) la corrispondenza in questione. Sembra che Julian Assange, nientemeno, glielo avesse consigliato poche ore prima: ma non così, bensì in forma anonima. Il gesto di trasparenza di Trump Jr. potrebbe ora avere valore legale, e non a sua discolpa.

Kislyak, Sergej
È l’ambasciatore russo a Washington, nominato da Dmitrij Medvedev nel 2008. Naturalmente è ucraino, cioè lo erano entrambi i genitori (questo per chi s’ostina a minimizzare i legami storici tra Russia e Ucraina). Parlare con lui, ultimamente, significa compromettersi.

Kompromat
Espressione russa per designare materiale compromettente, evocata dal New Yorker a sostegno della tesi che le telefonate – registrate – tra Flynn e Kislyak sul tema sanzioni alla Russia sono kompromat a 18 carati.

Kushner, Jared
Una naturale idiosincrasia verso il nepotismo potrebbe liquidarlo come il genero di Trump promosso alla Casa Bianca. Il ragazzo invece, classe 1981, è sì il rampollo di una famiglia di immobiliaristi ed editori (New York Observer), ma ragiona con testa propria: vantava simpatie democratiche, studi a Harvard e successivo MBA . E’ stato prima lo stratega della campagna elettorale social di Trump e poi il vero regista fino alla vittoria. Nominato Senior Advisor del Presidente, indiscrezioni ormai confermate vogliono sia lui l’alto esponente dell’Amministrazione indagato per il russiagate. Di certo partecipa alle principali riunioni operative di suo suocero e, intellettualmente, non sembra lui l’anello debole del sodalizio.

Lavrov, Sergej
È il Ministro degli Esteri russo, ha appena incontrato Rex Tillerson e Donald Trump a Washington. È uscito dal primo incontro domandando “Are you kidding?” e dal secondo sottolineando la differenza con l’era Obama: “Trump e la sua Amministrazione sono uomini d’affari”. È un complimento.

Magnitsky Act
E se fosse questo il brodo primordiale del Russiagate? Sergej Leonidovič Magnitsky era un avvocato russo, ma lavorava per società americane. È morto nel 2009 in circostanze oscure mentre era detenuto in Russia con l’accusa di corruzione. Per gli USA, è un omicidio di Stato. Talmente convinto della cosa, Obama la prende di petto. Il testo punitivo che il Congresso emana e Obama controfirma ha un nome lungo così: Russia and Moldova Jackson-Vanik Repeal and Sergei Magnitsky Rule of Law Accountability Act of 2012. In soldoni è l’inizio della nuova guerra fredda. Con questa legge gli Stati Uniti posso adottare sanzioni economiche contro aziende o cittadini russi per violazione dei diritti umani. I russi, a giudicare col senno di poi, l’han presa peggio di Obama. Vietano le adozioni di bambini russi in America, tanto per cominciare. A questo punto entra per la prima volta in scena il nome di Natalia Veselnitskaya, avvocato di grido, che per perorare la causa degli orfani russi - ci credereste? - arriva a incontrare addirittura Donald Trump Jr.

Manafort, Paul
Avvocato e lobbista di caratura, è stato il manager della campagna elettorale di Donald Trump. Prima dell’incarico è stato anche l’uomo pro-Russia nella crisi Ucraina, tra il 2012 e il 2014. Per questo l’FBI ne seguiva da tempo le mosse. La sua figura rivela che il Russiagate ha radici profonde: precedenti, e di molto, allo scandalo mail di Hillary Clinton.

McCarthy, Kevin
Nel 2016 l’allora capogruppo repubblicano alla Camera pronuncia la frase rilanciata dal Washington Post: “Vladimir Putin paga Donald Trump”. Aggiungendo un rafforzativo: “Swear to God”  (giuro su Dio). La conversazione, che McCarthy non può smentire ma contestualizzare e derubricare ora a scherzo di cattivo gusto, è interrotta da un alto esponente del GOP, Paul Ryan, che invita i presenti a lavare i panni sporchi in famiglia. McCarthy pronuncia la frase dopo aver incontrato, con Ryan e altri, il Primo Ministro ucraino Vladimir Groysman a Capitol Hill. Cosa si sono detti dovrà scoprirlo Robert Mueller, il nuovo Procuratore Speciale.

Mueller, Robert
È il Procuratore Speciale (nominato dal numero due del Dipartimento di Giustizia, Rod Rosenstein, dal momento che il numero uno Jeff Sessions è coinvolto nell’inchiesta) scelto per indagare sul Russiagate.

Nut Job
È la vanteria di Donald Trump, rispetto al licenziamento di Comey, fatta al cospetto di Lavrov e delle delegazione russa nell’ormai famoso incontro del 10 maggio alla Casa Bianca. "Nut job" è un giudizio altamente offensivo e si attribuisce alle azioni di uno squilibrato, di un pazzo: in questo caso, il Direttore dell’FBI.

Page, Carter
E’ stato uno dei principali advisor di Donald Trump in politica estera durante la campagna elettorale 2016. Esperto di Russia, ha lavorato alla filiale Merrill Lynch di Mosca come vicepresidente, prima di mettersi in proprio. Grossi affari coi russi che si è portato in dote in campagna elettorale. Per questo, con Paul Manafort, è nel mirino degli investgatori.

Quinto Emendamento
È l’emendamento che consente di non auto-incriminarsi e al quale Flynn intende far ricorso per evitare l’obbligo di consegnare i documenti relativi ai suoi rapporti coi russi. Sembra una carta molto alta da giocare alla prima mano di una sfida, quella con l’House intelligence committee, che non s’annuncia breve.

Rogers, Mike
È un ammiraglio, capo della NSA (National Security Agency). Molto critcato per gli scarsi risultati ottenuti sinora e il mancato rilancio della struttura (dai suoi ranghi paralleli esce Edward Snowden) ha incontaro diverse volte Donald Trump senza mai riferire – prassi corrente – ai suoi supervisori militari la natura dei colloqui che, si sospetta, fossero relativi al come tacitare i rapporti tra membri dello staff del Presidente e i russi.

Rosenstein, Rod
Vice ministro della Giustizia, ha sì nominato Robert Mueller come Procuratore Speciale per il Russiagate, ma è un affidavit scritto di suo pugno quello che arriva sul tavolo di Trump con la richiesta di licenziare James Comey, il Direttore del Bureau.

Sessions, Jeff
È il procuratore generale USA, il custode del diritto americano. Ma il Wall Street Journal lo accusa di aver mentito, ossia d’aver negato i suoi incontri con esponenti diplomatici russi al momento del giuramento per assumere la carica di Attorney General dell’Amministrazione Trump. Si è quindi autosospeso dalle indagini sul Russiagate, lasciando l’iniziativa al suo vice Rod Rosenstein la cui prima mossa, l’affidavit a Trump su Comey, è probabilmente l’eccesso di zelo, o l’ordine di scuderia, che innesca la crisi.

Spicer, Sean
È il portavoce della Casa Bianca. Dopo aver detto che nemmeno Hitler era arrivato a tanto con l’uso dei gas, riferendosi alla crisi siriana e all’arsenale di Assad, qualcuno ha preferito tenerlo prudenzialmente a riposo nel giorno del licenziamento di Comey mandando in trincea la sua vice, Sarah Sanders, per “catalizzare” l’imbarazzo di quello che si annuncia come un potenziale Watergate.

Super Bowl
La stampa americana ha definito così l’audizione di James Comey all’House intelligence committee: gli americani infatti hanno seguito la deposizione come se fosse l’atto finale della NFL. Davanti ai televisori dei locali pubblici o dei motel sparsi per la nazione, dei salotti nel placido Midwest o nei fastfood delle metropoli, gli americani hanno ascoltato Comey sotto giuramento dare a Trump, al Presidente, del bugiardo.

Trump, Donald Jr.
Figlio primogenito del Presidente, e fratello maggiore di Ivanka, è vicepresidente nell’azienda di famiglia, la Trump Organization. Studi più che normali, comparsate tv, beneficenza e, da vero cattolico osservante, la vocazione del padre di famiglia: infatti ha 5 figli, avuti tutti dalla stessa moglie. Forse per questo incontra la super avvocatessa russa Natalia Veselnitskaya (leggi subito dopo di chi si tratta), per trovare come aggirare il blocco alle adozioni di bambini russi voluto dal Cremlino in reazione al Magnitsky Act deciso dall’amministrazione Obama. L’America ora leggerà tutte le sue e-mail, compreso il Procuratore speciale Robert Mueller, che partirà, dall'espressione: “I love it”.


Veselnitskaya, Natalia
È un’avvocatessa russa di successo e gran clientela per la quale si muovono gli Agalarov, padre e figlio, affinché possa incontrare Donald Trump Jr. E l’incontro puntualmente avviene, il 9 giugno del 2016 alla Trump Tower. Ma per parlare di cosa? Sembra di adozioni internazionali tra Russia e Stati Uniti, sospese nel braccio di ferro scatenato dal Magnitsky Act. Alzi la mano chi ci crede davvero, dal momento che nella stanza ci sono anche Jared Kushner e Paul Manafort.

Watergate
Lo scandalo che costò il posto a Richard Nixon. Nessuno infatti ha creduto ai propri occhi quando dopo il licenziamento di Comey, Trump ha ricevuto la visita di Henry Kissinger. Tuttavia l’ex Segretario di Stato di Nixon, si dice, non cena mai al Mayflower Hotel.

Witch Hunt
La caccia alle streghe. E’ il topos scelto da Trump per descrivere la sua situazione di perseguitato politico. Curioso notare come nella storia americana la caccia alle streghe evochi modelli di vittime, le donne e i sospetti comunisti dell’epoca maccartista, che poco s’addicono al pantheon trumpiano.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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