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Corea del Nord: la tratta degli schiavi del regime

Come Kim Jong-un sfrutta i nordcoreani all'estero per arricchirsi

Mentre migliaia di coreani si mettevano in fila per rendere omaggio alla memoria di Kim Il-sung e Kim Jong-il celebrando l'anniversario numero 106 della nascita del padre fondatore della Corea del Nord, la BBCha mandato in onda uno speciale su quelli che ha definito gli "schiavi del regime". Uomini mandati a lavorare all'estero e costretti a "restituire" al Partito la maggior parte degli introiti guadagnati. Garantendo a Kim Jong-un e al suo entourage un flusso costante di valuta straniera.

Quanti sono i coreani che lavorano all'estero

Secondo l'inchiesta condotta dalla BBC, sarebbero almeno 150mila i nordcoreani che vivono all'estero. Il motivo? Al di là del confine si guadagnano stipendi più alti che al regime fanno gola visto che può permettersi di costringere chi li riceve a "spenderli" per la patria. Donandoli al governo.

L'inchiesta della BBC è partita dalle dichiarazioni di Thae Yong-ho, ex diplomatico nordcoreano il cui ultimo incarico è stato quello di vicario nell'Ambasciata di Londra, al rientro dalla quale, nel 2016, è scappato in Corea del Sud con la moglie e i due figli. "Pyongyang riceve enormi quantità di denaro dall'estero. Se fossero investite nell'economia del paese, i nordcoreani vivrebbero molto meglio. Invece non è così. Il regime usa questi soldi per finanziare il programma nucleare e i capricci di Kim Jong-un", ha dichiarato l'ex diplomatico all'emittente inglese.

Le antenne in Cina, Russia e Polonia

Secondo quanto dichiarato dalla BBC, un team di giornalisti internazionali ha lavorato per due anni per raccogliere prove su questo traffico di persone. Scoprendo reti molto ben consolidate in Cina, Russia e Polonia. Nessuno dei nordcoreani ha molta voglia di raccontare la propria storia. La paura che rivelando dettagli scomodi possano mettere in gioco le loro viteo quelle dei familiari è elevata. Eppure, forse per disperazione, qualcuno decide di parlare, ma senza rivelare nome e cognome.

Il punto di vista degli schiavi del regime

A Vladivostok, alla domanda "Quanto guadagnate", la risposta è secca: "Nulla, dobbiamo dare tutto al capitano". Il 'capitano' è un nordcoreano che si occupa di ridistribuire gli stipendi e di inviare al regime quello che gli spetta. "Ci trattano come cani", si è sfogato uno dei lavoratori, "abbiamo smesso da tempo di essere uomini. La chiamano 'imposta per il Partito', oppure 'imposta rivoluzionaria', ma il punto è che dobbiamo dare al regime tutto quello che incassiamo. Chi non lo fa non può restare all'estero".

Le testimonianze raccolte dalla BBC confermano che la quota di stipendio da trasferire al regime è progressivamente aumentata. Negli ultimi dieci anni addirittura raddoppiata, a fronte di un salario che è aumentato molto di meno. Forse proprio per colpa dell'impatto delle sanzionisul regime.

Nordcoreani in Polonia

I nordcoreani in Polonia sono tutti operai o saldatori. La BBC ha trovato una grossa comunità a Stettino, una delle più grandi città della nazione. Secondo un agente di sicurezza di un'azienda con cui i reporter sono stati messi in contatto da un funzionario di un'agenzia di lavoro interinale, il loro atteggiamento e molto simile a quello dei polacchi negli anni del comunismo. "Lo sappiamo benissimo perché non possono parlare con nessuno. Il rischio è che possano essere 'adescati' dal modello di vita occidentale".

Con l'aiuto di questa guardia la reporter della BBC riesce a scambiare due parole con un altro 'capitano', che racconta una storia completamente diversa: "il mio team lavora benissimo qui. Siamo molto più dinamici degli operai locali, non andiamo in vacanza quando ci sono scadenze da rispettare lavoriamo senza tregua. E così i datori di lavoro ci preferiscono". 

Gli effetti delle sanzioni sui lavoratori

Per il Governo polacco, però, nonostante i continui controlli non è ancora stata trovata alcuna prova del fatto che i salari vengano spediti in Corea del Nord. Ad ogni modo, per cautela, l'emissione di nuovi permessi di lavoro per i nordcoreani è stata sospesa. Del resto, con il pacchetto di sanzioni che le Nazioni Unite hanno approvato a dicembre è stato messo un veto anche sui trasferimenti di forza lavoro nordcoreana all'estero.

Fino a ieri si diceva che questi spostamenti potessero giovare sia alle famiglie che ricevevano le rimesse dall'estero sia ai lavoratori che avevano l'opportunità di essere esposti a un'altra realtà. Tuttavia, se gli unici risultati raggiunti sono isolamento, sfruttamento, e nuovi finanziamenti per esercito e test nucleari, forse non vale più la pena andare avanti su questa strada.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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