Ciao mamma, come va con le bombe di Hamas?
CARLO PUCA
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Ciao mamma, come va con le bombe di Hamas?

Le cartoline dall’Italia di un gruppo di ragazzini che vive a Sderot, il villaggio israeliano più colpito dai  missili palestinesi. «Un po’ di svago per poi tornare là dove hanno bisogno di noi»

Arrivano inattese: nessuno attende la paura. Ma quando suonano, le sirene di guerra alterano il battito del cuore. Le mascelle s’induriscono e gli occhi scrutano il cielo. Sei sicuro: i missili piomberanno lì, nella sera luminosa di Israele, per spezzare il tuo corpo e la tua esistenza. Pensi ai morti che raggiungerai e ai vivi a cui vuoi bene, a quante cose vorresti fare ancora, al banale progetto della casa in campagna. Questo accade a un occidentale in viaggio nella Terra Santa. Capita di rado, per fortuna.

«Per noi non è così» replica Kassam, 15 anni. «Noi i missili li subiamo regolarmente da anni. Centinaia, che piovono sulle nostre teste e sulle nostre vite». Vite spesso giovani, come quelle di Niv, Ron, Ran, Shila, Toel e altri duecento ragazzi ebrei, nati tra il 1998 e il 2002: ragazzi in viaggio in Italia e provenienti dal Sud di Israele, dove i Qassam di Hamas piovono copiosi dal 2007, non solo durante queste settimane di conflitto, e di tregue più o meno stabili.

Sono vite in prima linea, le loro: «A noi non è concessa nemmeno la paura» sottolinea Ran. «Dall’attimo in cui la sirena parte abbiamo 15 secondi per raggiungere il rifugio più vicino. Il governo ci ha detto che arrivarci dopo potrebbe risultare fatale. Allora che fai? Perdi tempo a spaventarti? Non puoi consentirtelo». Anche perché, chiosa Daniel, «mica devi pensare solo a te stesso, ci sono anche i tuoi fratelli piccoli e soprattutto i vecchi».Sono loro, gli anziani, «lenti e acciaccati», i soggetti più a rischio.

Sono ragazzi, questi, dalle fattezze adolescenziali ma con pensieri più grandi della loro età. Ragionano di armi, guerra e politica nel modo degli adulti. Desiderano però leggerezza e l’hanno trovata per un mese tra Livorno, Trieste e Ostia, grazie alla generosità di anonimi rappresentanti della comunità ebraica. Venti di loro sono di stanza a Fregene, la spiaggia più elitaria di Roma. Non hanno mai conosciuto la pace e vengono tutti da Sderot, che dista appena un chilometro dal confine con Gaza. La cittadina è abitata da 20 mila israeliani arrivati nei decenni da Marocco, Kurdistan, Romania e Russia. Una comunità certamente non benestante, anzi alle prese con seri problemi economici. E però, nonostante il lusso che li circonda, e malgrado sia questo il primo viaggio all’estero, i ragazzi di Sderot non invidiano il benessere degli italiani  («Gente buona ed eccezionale»), anelano soltanto alla nostra serenità, al punto di fissarla in migliaia di fotografie: «Sono le nostre cartoline dall’Italia» scherza Toel.

«Finita la scuola avremmo voluto andare un po’ in piscina, fare sport e passeggiate, ma i terroristi ce lo hanno impedito. Qui, invece, possiamo fare cose meravigliose: andare al mare, nei parchi giochi, visitare i musei, giocare a calcio, fare i selfie, ridere, scherzare» spiega Shila, che poi aggiunge: «Siamo gli unici adolescenti al mondo capaci di distinguere il tipo di missile dal sibilo che produce. In Italia nessuno di voi sopporterebbe una tale pressione». Allora non sarebbe meglio lasciare Sderot? «Mai. Non puoi andare via da un posto perché quel posto non è soltanto la tua vita. È anche la vita di chi rimane».
«Sì, però noi non siamo contro i palestinesi, il nostro nemico comune è Hamas, che distrugge la vita di arabi e israeliani» si accalora Ran «loro hanno la loro terra come ce l’abbiamo noi. Solo che i terroristi, invece di pensare al benessere della gente, usano i soldi con l’unico scopo di uccidere più ebrei che possono nel nome del loro Dio». Ed ecco perché Ran e gli altri hanno ben chiaro il futuro: «Saremo la prossima generazione a combattere per difendere il nostro popolo». Alcuni di questi ragazzi già tra due anni verranno chiamati nell’esercito per la leva obbligatoria. E le cartoline italiane diverranno il sollievo a cui aggrapparsi di fronte alla guerra. Perché in Terra Santa c’è sempre una guerra da combattere. A tutte le età.    

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