Che cosa significa davvero Europa a più velocità
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Che cosa significa davvero Europa a più velocità

Un'Ue a geometrie variabili è una prima risposta alle sfide costituite dall'elezione di Trump e dalla crescita degli euroscettici

Chiamatela come volete: Europa a cerchi concentrici, Europa a integrazione differenziata, Europa a geometrie variabili.

Il problema non sono i nomi, ma che cosa si nasconde dietro.

Quando Francois Hollande, Mariano Rajoy, Angela Merkel e Paolo Gentiloni, nella conferenza stampa congiunta avvenuta a Versailles, hanno di fatto autorizzato la nascita di un'Europa a più velocità, qualcuno ha avvertito che in realtà i trattati Ue, già oggi,  prevedono differenti livelli di integrazione.

Persino su questioni essenziali per il futuro dell'Unione, quali l'adesione alla moneta unica oppure la libera circolazione delle persone, esistono da sempre tali differenze tra gli Stati  che parlare di Unione appare, a pochi giorni dal sessantennale dei Trattati di Roma, un azzardo, come segnala del resto la fredda e implacabile logica dei numeri: dei 28 Stati che fanno parte dell'Unione solo 19 hanno adottato l'euro mentre dalle regole dell’area Schengen si sono chiamate fuori cinque Nazioni, senza che questi diferenti gradi di integrazione abbia mai significato perdere lo status di Paesi membri.

Se aggiungiano che i Trattati espressamente prevedono, almeno teoricamente, le cooperazioni rafforzate nelle più diverse materie di competenza non esclusiva dell'Unione, l'impressione fallace che se ne può trarre è che i capi di Stato e di governi dei quattro Paesi fondatori abbiano in realtà parlato, a Versailles, del nulla.

E dunque? Ha forse ragione Matteo Salvini, quando ha definito una truffa germanofila l'ipotesi della nascita di un'Europa a più velocità che il cancelliere tedesco intenderebbe inserire nei trattati a partire dal prossimo appuntamento chiave a Roma del 25 marzo, in occasione dei 60 anni di vita dell'Unione?

E ancora: Europa a più velocità significa forse che in prospettiva nasceranno due Europe, una per i Paesi forti del nord e un'Europa di serie B cui aderirebbero i Paesi indebitati del fronte sud, tra cui l'Italia?

 Significa avere invece un’area economica forte che sta alle regole della Germania e un’area debole abbandonata al suo destino, dove le turbolenze finanziarie potrebbero colpire con sempre maggior intensità?

«Il pericolo che nasca un'Europa di prima e di seconda classe esiste» ha dovuto riconoscere il professorRomano Prodi, suggerendo al contempo al governo italiano di prepararsi bene  per sventare l'ipotesi che possa nascere a Roma«un'Europa in cui i passeggeri della prima classe decidono chi deve stare in seconda». Un rischio che Giulio Tremonti traduce con un linguaggio ancora più colorito: «Ci vogliono far fare la fine che i piemontesi hanno fatto fare al Regno delle due Sicilie»


Il pericolo che nasca un'Europa di prima e di seconda classe esiste



Quando si parla di Europa a più velocità - una locuzione talmente vaga da rimanere al momento impalpabile - la metafora più diffusa tra gli addetti ai lavori è del resto, significativamente, quella ferroviaria: il frecciarossa su cui viaggerebbero i Paesi forti e l'accelerato per i Paesi più indebitati, in vista forse di una progressiva e inevitabile frammentazione politica dell'Unione, sotto le spinte concentriche della crisi migratoria, del debito dei Paesu mediterranei, dell'elezione di Donald Trump e dell'esplosione dei partiti euroscettici.

Quella ferroviaria è la metafora che ha anche utilizzato un'ultraeuropeista come Enrico Letta in un'intervista al Corriere, con la sostanziale differenza che non ha parlato di treni differenti ma di convogli.

Convinto, come Prodi, che la nascita di un'Europa a più velocità sia una risposta forse tardiva ma necessaria al rischio del declino del progetto di integrazione europea, l'ex premier italiano  ha invitato il governo italiano a fare tutti i passi necessari per continuare a stare nel vagone di testa. L'Europa di serie A e quella di seri B continua comunque a fare capolino, ufficiosamente, nei discorsi dei policy makers europei.

 

L'Italia deve giocare da protagonista come allora. Dobbiamo stare nel convoglio più veloce, meritarci il ruolo di locomotiva insieme ai Paesi fondatori. Le due velocità sono necessarie perché altrimenti finiremmo per produrre una serie di alibi, zavorre e ostacoli, dove a dettare la velocità del convoglio è il vagone più lento, ma al contempo è necessario organizzare le diverse velocità con molti ponti e passerelle da un gruppo all'altro

Per contenere Trump e Putin, per assorbire la Brexit e per sventare la Frexit, l’Unione europea è  comunque costretta a ridefinire la propria struttura e le proprie finalità. La Germania sta dettando la linea, cercando l’intesa con la Francia e riavvicinando la Polonia. Il nodo economico-finanziario  rimarrà però ancora nell'ombra per tanto tempo.

È probabile che la nascita dell'Europa a geometrie variabili - che sarà sancita a Roma il 25 marzo prossimo - riguarderà inizialmente temi, come la difesa comune, l'energia, la sicurezza e la lotta al terrorismo, sulle quali l'accordo per una cooperazione  rafforzata è a portata di mano, non solo tra i Paesi fondatori ma anche in un consesso più largo di Paesi Ue. I veri nodi che spaccano i Paesi Ue sono quelli economico-finanziari. E su quelli né Merkel, né Hollande, né Gentiloni, né Rajoy hanno detto ovviamente una parola, lasciando il tutto volutamente sul vago. Nessuno vuole fare regali alle forze euroscettiche, in Olanda, in Francia, in Italia, consegnando l'immagine di un'Ue spaccata e senza bussola sulle materie della cooperazione finanziaria e economica.

La verità è che fino all'autunno prossimo, quando ci saranno le elezioni in Germania, il tema del debito, della ripartizione dei sacrifici, delle procedure di infrazione nei confronti dei Paesi Ue (tra cui anche la Germania, per il suo eccessivo surplus commerciale) non sarà affrontato in nessun consesso internazionale. Parlarne ora o a Roma, quando mancano ormai poche settimane alle elezioni in Francia, significa fare un regalo alle forze che mirano a dividere il vecchio continente, cui si è aggiunto, dopo l'elezione di Trump, anche il vecchio alleato americano.

 

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