Charlie Hebdo: il grande buco dell'intelligence francese
DANIEL DAL ZENNARO/ANSA)
News

Charlie Hebdo: il grande buco dell'intelligence francese

Più servizi segreti e meno indagini ordinarie: la ricetta di Stefano Dambruoso per evitare altre attentati nel cuore del vecchio continente


«Purtroppo era un episodio prevedibile. Tutti coloro che si occupano di queste cose si aspettavano un’Europa sotto attacco. Ciononostante, gli 007 francesi, pur essendo tra i più preparati al mondo sull’antiterrorismo di matrice araba, hanno “bucato” l’assalto al Charlie Hebdo». Stefano Dambruoso, magistrato in aspettativa, deputato di Scelta civica e questore della Camera, è uno dei maggiori esperti planetari di terrorismo. Per intenderci: dopo l’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, venne citato dal segretario di stato americano, Colin Powell, nel suo discorso al Congresso. E nel 2003, Time lo inserì nella lista degli «eroi moderni» per le sue inchieste su al-Qaeda. «Per la mia esperienza» aggiunge «salteranno, e anche presto, i vertici dei servizi segreti: è un fatto troppo clamoroso».

Dambruoso, in cosa ha sbagliato l’intelligence transalpina?
Loro hanno agenti che parlano l’arabo, infiltrati in certi ambienti, capaci di stare nel mondo musulmano. Temo che siano ancora legati all’idea di un terrorismo in stile al-Qaeda, ormai superato dalla Storia. Ai tempi di Osama bin Laden una decisione richiedeva vari livelli di autorizzazione e, di conseguenza, tempi lunghi. Gli 007 riuscivano perciò a infiltrarsi tra qualcuno di quei livelli per anticipare il terrorista «classico», alla al-Qaeda, che sa solo lanciare bombe o farsi esplodere.

E ora, invece?
Parliamo di strutture molto più leggere, come l’Isis, che riesce a organizzare azioni anche nel giro di una settimana, peraltro utilizzando gente addestrata, per esempio i reduci della guerra siriana. Non a caso io definisco il fenomeno «reducismo di ritorno».

 

Quindi i due terroristi parigini non sono cani sciolti…
Macché, avevano ben in mente cosa fare, si capisce dai filmati che sono avvezzi alle azioni di guerra. La loro calma è impressionante, prima uccidono un poliziotto a sangue freddo e poi, con tutta calma, si allontanano in auto. Secondo me non si sono nemmeno «fatti» di stupefacenti, come capita spesso in casi come questi. Inoltre parlano un francese perfetto e tutto lascia presagire che siano cittadini d’Oltralpe. Attenzione: non francesi di seconda generazione, ma francesi in tutto e per tutto, disponibili a combattere una guerra di religione in casa loro.

Questo in Francia. E l’Italia?
Noi siamo ancora più indietro. Bisogna cambiare il modo di monitorare il fenomeno. In sintesi: ci vogliono più servizi segreti e meno indagini ordinarie. E poi ci vorrebbe più severità. In Inghilterra, sulla semplice base di sospetti - non prove ma sospetti - la polizia può tenerti in carcere per otto giorni. Nella stessa Francia la legislazione antiterrorismo prevede fermi per 48 ore, durante le quali è possibile interrogare i sospettati senza la presenza degli avvocati. In Italia, invece, nessuna di queste opzioni è in campo. Una cosa, però, si può fare subito.

Dobbiamo istituire un ufficio di coordinamento centrale dei magistrati che si occupano di terrorismo nella verie procure italiane. Ma non dispero di potervi dare buone notizie a breve. Domani (giovedì 8 gennaio, nda) arriva finalmente in commissione Giustizia una vecchia proposta di legge, di cui mi sono fatto promotore in questa legislatura, per creare almeno un Dipartimento antiterrorismo dentro la Direzione nazionale antimafia.

 

Sarebbe una sorta di Direzione nazionale antiterrorismo.
Sì, certo. Che cosa dobbiamo fare prima di dare una visione unica alla lotta contro il terrorismo? Aspettare che ci siano i primi morti italiani?

 

Quindi anche l’Italia è in pericolo.
Come tutto l’Occidente e anche più. Non serve nemmeno l’intelligence per scoprirlo: il califfo al-Baghdadi ha ufficialmente annunciato di voler conquistare Roma. Cerchiamo di non dimenticarlo mai.

I più letti

avatar-icon

Carlo Puca