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Brexit: Londra cercherà comunque di rimanere al centro dei giochi

Farà di tutto per evitare di veder arretrare la sua posizione anche dallo scacchiere internazionale

Anche in occasione del vertice Ue del 19 e 20 ottobre a Bruxelles, la domanda centrale è stata sempre la stessa: quali danni economici deriveranno dallaBrexit? Certo, dipenderanno dalla durezza delle condizioni che verranno negoziate. Ma le conseguenze più pesanti riguarderanno soprattutto l'influenza e il ruolo dellaGran Bretagnanel mondo.

Londra dovrà trovare il modo per restare nel quadro della politica di difesa e sicurezza europea, perché lasciare l'Ue significa perdere la piattaforma di cui si è avvalsa sin dagli anni Settanta per svolgere la sua politica estera.

Un declino che comincia da lontano

Guardiamo indietro: il declino della Gran Bretagna come potenza mondiale è iniziato nel 1914 ed è proseguito, nonostante la vittoria del 1945, nel dopoguerra, fino agli anni Ottanta.

La perdita delle colonie e la debolezza dell'economia lo hanno accentuato. Si è arrestato solo quando due grandi leader, Margaret Thatcher e Tony Blair, hanno riportato il Regno Unito sul sentiero della crescita, restituendo a Londra, ormai metropoli globale, una singolare influenza politica, grazie ai nuovi strumenti di azione rappresentati dall'interazione sistematica con i partner europei.

Rafforzati i rapporti con i Paesi del Golfo, concluso il negoziato per Hong Kong con la Cina, Londra aveva persino contribuito, agendo dietro le quinte, a far avviare i negoziati bilaterali in Sudafrica fra National party e African National Congress che portarono poi alla fine dell'apartheid. E l'intesa con Washington le aveva anche permesso un ruolo chiave nella trasformazione della Nato dopo la fine della Guerra fredda.

Negli anni Novanta, con gli Stati Uniti, la Francia, la Russia e la Germania gestì il crepuscolo dell'Unione Sovietica, per dirigere il processo della riunificazione tedesca e l'inserimento nell'Unione europea dei Paesi dell'Europa orientale.

Nella crisi balcanica, poi, fu la Gran Bretagna a suggerire un Gruppo di contatto per la Bosnia, evitando così il disastro con l'aiuto di Usa, Francia, Germania e Italia. Sull'Iran, fu sempre Londra a suggerire a Francia e Germania la formula a tre che avviò nel 2003 i negoziati per frenare le ambizioni nucleari iraniane.

Il gruppo, noto come 5+1, si estese poi a Usa, Russia e Cina, per esercitare maggiore pressione su Teheran. Annotazione storica: è colpa nostra se l'Italia, per la prima volta, restò fuori da un gruppo di questa importanza. Rinunciammo noi stessi a farne parte, senza renderci conto che esso avrebbe assecondato l'aspirazione tedesca di parteciparea negoziati cruciali per la sicurezza nucleare, insieme ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

Il rischio di rimanere isolata

Tornando alla recente avanzata della politica estera di Londra, non c'è dubbio che sia stata in gran parte dovuta alla cooperazione britannica nel quadro europeo, in particolare con Francia e Germania. Ma dopo l'uscita dall'Ue, potrà Londra immaginare di potere da sola, priva di una potenza economica paragonabile a quella dei nuovi attori globali, svolgere la stessa azione?

Certo, non le mancheranno asset importanti: le forze armate, la capacità di intelligence, la diplomazia. Ma potranno questi, da soli, ovviare all'abbandono della squadra? Ovviamente il Regno Unito continuerà a far parte della Nato, ma con la politica di disimpegno di Washington l'Alleanza non s'impegnerà certo in nuovi campi.

Guardiamo le cose in prospettiva: per la Gran Bretagna ci sono già stati in passato momenti difficili con l'Unione europea. E il più drammatico fu proprio a Roma, nel 1990, quando il primo ministro Giulio Andreotti fece approvare dal Consiglio europeo il mandato per l'Unione economica e monetaria: Margaret Thatcher fu l'unica a votare contro.

Lo ricordo bene, perché quel negoziato lo condussi io, come consigliere diplomatico di Andreotti e d'intesa con Tommaso Padoa-Schioppa, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Fu un successo per l'Italia e per l'Europa, ma uno smacco per la signora Thatcher.

Che cosa rischia l'Italia

Dopo il voto, a Londra la situazione precipitò: Sir Geoffrey Howe, vice primo ministro, rassegnò il mandato. Il conservatore Michael Heseltine sfidò la leadership della Thatcher e lei fu costretta a dimettersi. Fu una tale debâcle che il quotidiano The Times scrisse che solo un'altra volta nella storia un evento verificatosi a Roma aveva avuto conseguenze di grande momento per le Isole britanniche: il rifiuto di Clemente VII di concedere il divorzio a Enrico VIII, provocando lo scisma della Chiesa anglicana.

Oggi, 27 anni dopo quel fallimento a Roma, la Gran Bretagna chiede il divorzio. Si potranno immaginare diverse soluzioni per far sì che l'Inghilterra, nonostante la Brexit, rimanga agganciata ai partner europei per la politica estera e della sicurezza. Finora soltanto Emmanuel Macron ne ha fatto cenno, ma il presidente francese è interessato a rilanciare il ruolo centrale del suo Paese, non a valorizzare quello di altri partner come noi.

Occorrerà, invece, vigilare perché proprio da Londra potrebbero provenire in futuro nuovi tentativi di costituire, questa volta fuori dal quadro europeo, gruppi ristretti. Con l'esclusione (come è già avvenuto per l'Iran) dell'Italia.

di Umberto Vattani, presidente della Venice International University

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