"Io, black block d'Egitto"
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"Io, black block d'Egitto"

Parla uno dei fondatori del gruppo arrivato nella capitale: "non siamo come greci ed italiani"

di Davide Illarietti

Molotov e vetri rotti, auto in fiamme, pietre contro la polizia. Agli occhi di Omar, che scrutano piazza Tahrir attraverso i buchi di un passamontagna, l'Egitto è questo: una grande Genova senza G8, inarrestabile, in preda al caos. Morsi, i militari, la crisi economica. Omar vorrebbe fermare tutto.

Il nostro obbiettivo è bloccare la vita del Paese – dice - mandare la macchina in cortocircuito”.

Omar (nome di fantasia) è un membro dei black bloc egiziani. Il gruppo eversivo-terroristico venuto allo scoperto con gli scontri del 25 gennaio scorso, al secondo anniversario della rivoluzione anti-Mubarak. Di loro si sa poco o niente. A parte che agiscono a volto coperto, molotov nello zaino, con il favore delle tenebre. E che non gradiscono la pubblicità.

Non siamo dei criminali” pensa Omar a voce alta. “Dobbiamo nascondere il nostro volto, non le nostre idee”.

Disoccupato, 30 anni e una laurea in giurisprudenza all'università del Cairo, Omar ha deciso di fare eccezione. Snocciola nomi, numeri, dettagli sull'organizzazione, in un'afosa serata di fine inverno, tra le tende degli “indignados” di piazza Tahrir. A due passi dal luogo del nostro appuntamento c'è l'hotel Semiramis, saccheggiato tre giorni prima proprio dai black bloc.

Non abbiamo niente a che fare con i nostri omologhi occidentali – inizia a precisare Omar – non ci sono stati contatti diretti, almeno nella fase iniziale. Sì, fra di noi ci sono degli anarchici, ma non sono la maggioranza”. E aggiunge: “Quello che ci unisce è la disillusione. Non crediamo più nella protesta pacifica. Il presidente Morsi e i Fratelli Musulmani ci hanno derubati della rivoluzione”.

Tutto è iniziato ben prima del debutto ufficiale dell'organizzazione, annunciato con un video-comunicato su YouTube il 24 gennaio scorso. Le prime formazioni black bloc risalirebbero a dicembre scorso, secondo indiscrezioni riferite dal canale tv Al Arabya, ma Omar non concorda. Le date, dice, sono da anticipare.

“Abbiamo cominciato più di un anno fa, proprio qui, in piazza Tahrir” racconta. “A fare da ispiratori furono alcuni connazionali rimpatriati dall'Europa per la rivoluzione. Conoscevano solo di fama i black bloc europei, i loro metodi, e sapevano molto poco delle loro strategie”. Il principio, però, è lo stesso. “ Pensiamo che l'Egitto debba essere fermato, al più presto. Tutto il Paese deve bloccarsi, per ripartire diversamente. L'unico mezzo per ottenere questo risultato, qui, è la violenza”.

E c'è una novità. Dopo la condanna a morte, a Port Said, di 21 tifosi della squadra di calcio locale, il 25 gennaio, le prime rappresaglie di piazza, l'assalto a prigioni e sedi governative, i morti (fra cui 3 poliziotti) hanno assicurato ai “volti coperti” egiziani la stima e la solidarietà degli omologhi occidentali. Ma non ci si limita allo scambio di complimenti su internet.

Stiamo cominciando a costruire dei collegamenti” racconta Omar. “Siamo solo all'inizio. Sono in corso dei contatti via internet e telefono, condividiamo con gli amici europei informazioni sulle precauzioni da prendere, sulle strategie”.

Oltre a quello con i “cugini” europei, poi, c'è il legame con le tifoserie. Quella dell'Ahly, la squadra del Cairo, e del Masry di Port Said. Nemici allo stadio – furono proprio gli scontri tra queste due tifoserie, a febbraio 2012, a provocare 74 morti e le condanne di cui sopra – ma alleati nella piazza. “Ci conosciamo di persona, frequentiamo gli stessi luoghi di ritrovo” spiega Omar. “Capita spesso che i gruppi di black bloc del Cairo, ad esempio, si riuniscano nelle sedi dell'Ahly”. E mostra, sul suo passamontagna, una pezza rossa e gialla con il simbolo dell'Ahly. “Politicamente ognuno la pensa a modo suo. Qualcuno ha anche votato per Morsi, alle ultime elezioni. Adesso stiamo tutti con l'opposizione, con molte divergenze. La nostra vera certezza è l'organizzazione”.

Ma come è fatta l'organizzazione? Stando a Omar, i black bloc in Egitto sarebbero circa 10mila (cifra già indicata da un altro esponente, in un'intervista esclusiva al settimanale algerino Al Watan). Sono divisi in sezioni locali, a loro volta divise in gruppi di 20-30 membri. “Ci incontriamo più volte alla settimana – spiega Omar - Ogni gruppo ha un referente, che contatta gli altri via sms prima di ogni riunione o azione collettiva. Solo un messaggio, con il posto e l'ora. Dobbiamo stare molto attenti”. La struttura, a scanso di ironia, non è piramidale. Ma è molto più articolata della rete europea. Le sezioni riuniscono tra i 4 e i 5 gruppi, non più di un centinaio di persone. Ne sono nate in cinque città, nella regione del delta del Nilo: Alessandria, Suez, Port Said, Ismailia e El-Horeya. Poi c'è il Cairo, dove secondo Omar le sezioni sono addirittura tredici. “I numeri stanno crescendo in fretta – spiega - Il problema, adesso, è coordinarsi e mantenere la segretezza”.

A questo, per fortuna, ci pensa il capo carismatico. Sì perché, se quanto dice Omar è vero, i black bloc egiziani hanno un'altra differenza con quelli europei. Hanno un leader. Dire che la sua identità sia avvolta dal mistero, è riduttivo. Non è mai stata fatta menzione della sua esistenza, né ai media né su internet. Ma Omar ne parla con sicurezza, guardando fisso negli occhi. Ha paura.

Si fa vedere poco, due volte al mese magari, alle riunioni delle sezioni” racconta Omar. “E' una persona molto occupata: è lui che tiene insieme tutti i gruppi, li coordina, decide le strategie e le azioni da fare. E' in contatto con i referenti, ma incontra anche le sezioni, una ad una, singolarmente”.

Cerchiamo di saperne di più. E' stato lui a fondare l'organizzazione, o è arrivato dopo? “E' stato scelto come rappresentante tra i fondatori per una serie di motivi. Soprattutto per le sue doti organizzative e il suo carisma” spiega Omar, che confessa, però, di non essere troppo addentro a questi meccanismi decisionali. “Io non conto nulla, seguo le sue indicazioni come tutti”. Fa parte di un partito dell'opposizione? “E' stato un esponente locale del partito nasserista (formazione della sinistra nazionalista egiziana, ndr.) ma ne è uscito dopo la rivoluzione”. Chi è, cosa fa? “Fa l'avvocato, al Cairo”. Di più Omar non può dire. E' spaesato, preoccupato.

Il nostro tempo è finito. Prima di sparire come era venuto, inghiottito dalla notte di piazza Tahrir, Omar ripete: “I black bloc non sono dei criminali. Non vogliamo fare del male né uccidere nessuno. Ma andremo avanti finché Morsi sarà al governo, e finché non verrà restituito agli egiziani quello che hanno conquistato con il sangue: la libertà”. E aggiunge: “Stiamo preparando qualcosa di grosso, più grosso di quanto avete visto finora. Non ci fermeremo”.

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