Asia Bibi
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Asia Bibi libera: tutto il calvario di una donna cristiana in Pakistan

Dall'accusa di blasfemia alla condanna a morte fino alla sentenza di innocenza che, però, potrebbe non chiudere la vicenda

E' una grande storia d'amore quella di Asia Bibi. Una storia d'amore tra una donna pakistana e il Dio cristiano. Lei, nata contadina a Ittanwali nel Punjabe e madre di cinque figli è cresciuta in una terra dove solo 1,6% della popolazione è cristiano e, per questo, sottoposto a persecuzioni, processi, torture e omicidi.

Questa martire contemporanea, testimone di una fede infinita nella misericordia divina, dopo 8 anni di carcere in regime di isolamento a è di nuovo libera grazie a una sentenza storica emessa dalla Suprema Corte pakistana.

L'inizio del calvario

Il calvario di Asia è iniziato nel 2009, il 14 giugno, quando la donna lavorava come ogni giorno nei campi con alcune compagne musulmane. Per ristorarsi dal caldo e dalla fatica Asia si è diretta al pozzo per prendere acqua e ne ha offerta alle altre donne che hanno rifiutato accusando la donna di aver infettato la fonte.

A questo punto Bibi avrebbe detto: "Credo nella mia religione e in Gesù Cristo, morto sulla croce per i peccati dell’umanità. Cosa ha mai fatto il vostro profeta Maometto per salvare l’umanità?"

Questa domanda è valsa alla donna la più atroce delle accuse, quella di blasfemia. Si tratta di un reato previsto dal codice penale pakistano e introdotto nel 1986 nel corso della dittatura di Zia ul Haq, generale filoccidentale, che però voleva garantire la stabilità interna con un accordo con l’estremismo musulmano. Per blasfemia si può essere puniti con l'ergastolo o con la condanna a morte e proprio questo sarebbe dovuto toccare anche a Bibi.

Il 19 giugno 2009 l'accusa di blasfemia è stata formalizzata e Asia è finita in carcere. La sua condanna a morte è stata firmata l’8 novembre 2010 dal tribunale di Nankana Sahib. La difesa è prontamente ricorsa in appello dinanzi all'Alta Corte di Lahore che, nel 2014 ha confermato la condanna.

La mobilitazione internazionale

Nel frattempo, mentre la donna era in carcere, è riuscita a comunicare attraverso brevi lettere recapitate al suo avvocato e diffuse tra i media che hanno permesso al mondo intero di conoscere la battaglia di Asia.

Dopo pochi mesi di carcere, si leggeva in uno di questi scritti Bibi è stata visitata da un giudice che le ha spiegato che l'avrebbe attesa "Una morte orribile".

"Mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam" ha scritto Asia Bibi che, dopo averlo ringraziato per averle offerto una via di salvezza ha detto che avrebbe preferito "Morire da cristiana" che "Vivere da musulmana". Davanti all'uomo la fedele ha pronunciato il suo atto di fede: "Sono stata condannata perché cristiana. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui".

La rabbia islamista

Se in carcere Bibi manteneva calma e compostezza nonostante la paura e il dolore di essere lontana dalla sua famiglia gli islamisti fuori dalla prigione chiedevano la sua testa e la testa di coloro che si spendevano in sua difesa.

Il 4 gennaio 2011 il potente governatore islamico del Punjab, Salman Taseer, è stato assassinato a Islamabad per aver tentato di difendere la donna e la stessa sorte, il 2 marzo successivo, è capitata al ministro cattolico delle Minoranze Shabhaz Bhatti, crivellato di colpi nella capitale.

In un'altra lettera Asia Bibi si chiedeva: "Quante altre persone devono morire a causa della giustizia?"

Nel 2015, a un passo dall'esecuzione, la sentenza è stata sospesa grazie alla pressione internazionale sul caso e la Corte Suprema ha deciso di prendere nuovamente in considerazione il fascicolo.

La sentenza di assoluzione

La sentenza di assoluzione è arrivata una settimana motivata con "prove insufficienti" per stabilire la colpevolezza e mentre la folla islamica inferocita chiedeva ancora una volta la morte di Asia, la donna veniva condotta in una località segreta e con lei tutta la famiglia e la famiglia dei suoi difensori in quanto, secondo la legge islamica, la sentenza di un tribunale vale comunque meno della legge divina che condanna a morte chiunque profani il nome di Allah, Maometto e dell'Islam.

Da quando è entrata in vigore la legge sulla blasfemia in Pakistan sono state eseguite 40 condanne a morte e 60 esecuzione extragiudiziali per un totale di 1300 cristiani finiti in prigione.

Il calvario di Asia Bibi, però, non è ancora terminatp perché con ogni probabilità la sentenza verrà impugnata per l'ennesima volta mentre diversi Paesi (tra cui l'Italia) si sono offerti di concedere asilo politico alla donna.

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Barbara Massaro