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EPA/ERDEM SAHIN
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Ci sarà sempre qualcuno che darà armi ad Erdogan

La Turchia, malgrado l'embargo, è autosufficiente per quanto riguarda l'armamento e, nel caso Russia ed Usa sono pronte a dare una mano

L’offensiva del «sultano» Erdogan in Siria contro i curdi è iniziata con pesanti bombardamenti dei caccia F-16, venduti dagli Usa o prodotti in Turchia su licenza americana, che hanno colpito in profondità ben oltre i 32 chilometri di cuscinetto che l’esercito di Ankara vuole creare al confine. Nei primi giorni dell’operazione Sorgente di Pace i caccia turchi hanno distrutto centri di comando e controllo, caserme, depositi di armi e munizioni dei curdi delle Unità di protezione popolare (Ypg) bollati come terroristi.

L’embargo delle armi alla Turchia serve a poco e potrebbe rivelarsi un boomerang di fronte ad altri Paesi pronti ad accaparrarsi la fetta di mercato dell’Italia. Nel 2018 la nostra industria della Difesa ha ottenuto autorizzazioni dal governo per un export bellico verso Ankara di 362,3 milioni di euro. Dal 2014 al 2018 l’Italia è stata il primo Paese europeo nella vendita di armi alla Turchia. Anche Germania, Francia, Olanda, Svezia, Finlandia, Norvegia, Spagna e Inghilterra hanno deciso lo stop della vendita di armi ad Ankara. I tedeschi, però, erano scesi a 242,8 milioni lo scorso anno e il giro d’affari francese è di soli 45,1 milioni di euro. Norvegia e Finlandia hanno con la Turchia fette di mercato minime, e la loro rappresaglia è puramente simbolica. L’ambasciatore turco all’Onu, Sadik Arslan, ha definito le misure europee «una barzelletta». Lo stesso Erdogan ha  annunciato che la Turchia è ormai un «Paese autosufficiente» sul piano militare, in grado di coprire il 70 per cento del suo fabbisogno attraverso la propria industria della Difesa. In effetti molti dei caccia F-16 di origine americana che bombardano i curdi vengono prodotti dalla Turkish Aerospace Industries, che ne ha già sfornati 232. La stessa società che produce gli elicotteri d’assalto T129 Atak già utilizzati per spazzare via i curdi dalla sacca siriana di Afrin lo scorso anno.

Il velivolo è una copia del nostro Mangusta dell’AgustaWestland, che è stata inglobata da Leonardo, colosso italiano della difesa. Un’azienda di Stato controllata dal ministero dell’Economia, che fornisce le subforniture ai turchi per costruire gli elicotteri e mantenere operativi quelli già in linea. Difficile, se non impossibile, sganciarsi da questo business con la Turchia alleata della Nato, che si intreccia con il programma per gli aerei da pattugliamento costiero Meltem 3 e i sensori elettro-ottici per la Marina.

Per non parlare del satellite Göktürk1 del ministero della Difesa turco per l’osservazione della Terra di Telespazio (joint venture per il 67 per cento Leonardo, e il 33 per cento Thales).

Di fronte all’annunciato passo indietro europeo sono pronti a farsi avanti gli americani e i russi. Gli Usa hanno già sostituito dal 2010 la Germania come principale fornitore di armamenti della Turchia con un totale, fino a oggi, di 5 miliardi e mezzo di dollari. Il 60 per cento delle importazioni belliche in Turchia arriva dagli Usa. Erdogan gioca su più tavoli, e acquista dai russi il sistema missilistico di difesa anti aerea S 400, che ha fatto infuriare Washington e la Nato. Mosca punta ad aumentare il solco fra i turchi e l’Alleanza atlantica vendendo armi al posto degli europei. Il terzo incomodo è la Corea del Sud, che se ne frega dei curdi e della Siria e da anni fa affari con la Turchia.          

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Fausto Biloslavo