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Anarchia a Baghdad, viaggio nella terra di nessuno

Milizie al potere e polizia corrotta, attentati e criminalità diffusa, la capitale del fu Iraq oggi è una delle città più pericolose al mondo

Baghdad è fuori controllo. Di certo, lo è da quello della polizia, ripetutamente accusata di corruzione, negligenze e brutalità, e in costante rivalità con le numerose milizie volontarie che concorrono alla sicurezza della capitale e che sono sempre più popolari presso la cittadinanza, in ragione, sia della loro capacità di fungere da deterrente alla criminalità, sia del diverso approccio nei confronti delle realtà tribali.

Mentre, infatti, i poliziotti sono abituati ad abusare del proprio ruolo e a taglieggiare senza scrupoli l’intera popolazione, investiti da una sorta d’impunità che la guerra e il governo hanno consegnato loro, le milizie irregolari si rifanno a ben altri codici etici, altrettanto fuorilegge e spesso di stampo mafioso, che tuttavia hanno permesso loro di crescere di peso a Baghdad come nel resto delle aree riconquistate al Califfato.

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Proprio grazie all’efficacia del ruolo svolto nella lotta al terrorismo dal 2014, il parlamento iracheno lo scorso novembre ha deciso di dare alle milizie popolari una veste ufficiale, promulgando una legge che permette ora ai volontari di girare armati, in virtù della minaccia ancora incombente dello Stato Islamico.

La difesa della capitale
Sin dal 2006, la sicurezza a Baghdad era affidata nelle mani del cosiddetto Baghdad Operations Command, un corpo scelto di circa 70mila uomini provenienti dall’esercito regolare iracheno, dalla polizia militare e civile, e dai servizi di intelligence. Con l’innesto delle milizie volontarie, però, le cose sono cambiate: la nuova legge ha reso queste formazioni un organo ufficiale dello stato, senza però specificare quale ruolo esse dovranno svolgere in futuro. Se, infatti, il loro obiettivo è proteggere la popolazione a fronte della debolezza dell’esercito e della polizia irachena, una volta che la guerra sarà finita bisognerà trovare un accordo perché depongano le armi o vengano inglobate nelle forze di sicurezza nazionali, pena una potenziale nuova guerra civile.

Già adesso, la rivalità tra milizie e polizia ha generato alcuni violenti scontri a fuoco, più spesso scaturiti da futili motivi, ma talvolta anche da dispute sul controllo del territorio. Dopo che la milizia Badr, una delle più rilevanti in città, ha definito il Baghdad Operations Command “incostituzionale” perché “infiltrato da nemici come lo Stato Islamico”, si sono verificati non pochi incidenti che hanno addirittura portato al paradosso di tentativi di arresto di poliziotti da parte delle milizie stesse, come avvenuto a settembre 2016 nell’area di Zafaraniyah. Da tempo le milizie più autorevoli della capitale, quelle di Moqtad Al Sadr su tutte, chiedono di affidare il controllo e la difesa della capitale direttamente a loro, ma per il governo centrale accettare una simile cosa equivarrebbe a un suicidio politico.

Si aggiunga che per i cittadini comuni, specie le fasce dei più giovani che inseguono il sogno dello stipendio statale, è quasi impossibile entrare a far parte dell’esercito o della polizia senza pagare tangenti. Perciò, è diventato molto più popolare e remunerativo per i giovani e gli uomini disoccupati partecipare a una milizia, che offre maggiori possibilità di ottenere un lavoro fisso e un salario minimo.

Cresce la sfiducia nelle istituzioni
Una testimonianza del sentimento popolare nelle strade di Baghdad lo può fornire un piccolo episodio riportato da niqash.org, avvenuto lo scorso dicembre. Durante una lite tra vicini di casa in un bar, un ragazzo ha rotto il braccio a un coetaneo. Il padre della vittima avrebbe voluto risolvere la situazione secondo la legge tribale, ma questo avrebbe significato che gli anziani delle tribù della zona si sarebbero dovuti riunire per decidere una riparazione economica (diyah) congrua, perché la famiglia ottenesse giustizia secondo il diritto islamico. Invece, i protagonisti della lite hanno convenuto di chiamare le milizie, che hanno risolto in breve il contenzioso: l’autore del pestaggio si è offerto di pagare le spese mediche al vicino di casa ma, per rispetto alle milizie, la famiglia ha rifiutato il denaro “per rispetto alle milizie”. Se fossero andati dalla polizia, ha poi testimoniato il padre del ragazzo coinvolto “sono certo che avrebbero messo mio figlio in galera in attesa di decidere che fare, e avrebbero voluto tangenti in ogni caso. Nessuno si fida più della polizia”.

Il rischio anarchia
Il pericolo insito nell’idea che non ci si possa fidare della polizia ma delle sole milizie armate, è evidente: le milizie controllano in maniera esclusiva interi quartieri dove, come a Sadr City, si sono sostituiti completamente non solo alle forze di sicurezza ma alle istituzioni e alle stesse leggi irachene. In queste aree densamente popolate, dove la polizia non entra e dove a comandare sono dei potentati locali, i contropoteri sono diventati più forti del potere costituito e talvolta amministrano anche più efficientemente la propria comunità. Se una simile forma di autogestione si diffondesse per l’intero Iraq, l’integrità della nazione potrebbe essere definitivamente contestata. Già oggi nelle altre province del sud Iraq, la situazione non è diversa dalla quella che si riscontra capitale. Mentre a nord, tra la provincia di Ninive e Anbar, la guerra continua a infuriare e i sunniti diffidano sia del governo sia degli sciiti giunti a liberarli dallo Stato Islamico.

Si aggiunga che Baghdad attraversa uno dei momenti più duri della sua storia. Ripetutamente colpita da attacchi terroristici, ha visto impennarsi anche gli omicidi e i rapimenti-lampo: dal primo gennaio a oggi sono già 154 i morti ufficiali dovuti a scontri a fuoco, cecchini, bombe improvvisate e kamikaze, mentre la presa di ostaggi è divenuta una prassi talmente comune da parte dei gruppi criminali che proliferano in città, che rischia di divenire una forma di reddito acquisita.

In quasi ogni quartiere della capitale, perciò, ciascuna milizia ha i propri check point e le proprie “basi” dalle quali coordina e amministra il territorio di riferimento. Spesso, tuttavia, l’aleatorietà del loro ruolo di vigilantes e delle stesse aree di competenza porta le milizie a scontrarsi tra loro, generando una lotta tra bande che rende ancor più difficile la vita per la popolazione. In tutto ciò, la polizia si tiene a distanza, sapendo di non poter neanche controllare i miliziani ai posti di blocco. Forti dell’immunità parlamentare, le milizie girano con auto dai vetri oscurati e carte d’identità dalle false generalità, comportandosi come padroni assoluti.

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EPA/ALI ABBAS
Il mercato di Al Sinak subito dopo l'attentato terroristico che ha causato almeno 28 mortri e più di 50 feriti

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Luciano Tirinnanzi