Esclusivo: parla un soldato israeliano al fronte
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Esclusivo: parla un soldato israeliano al fronte

Israele ha appena ordinato un’incursione di terra su Gaza per distruggere i tunnel. Ecco cosa pensa chi è stato richiamato in servizio in questa situazione di guerra esplosiva. I miti da sfatare

Classe 1979, responsabile d’information security per una banca, Gabriele (nome di fantasia per la sua incolumità) ha doppia cittadinanza italiana e israeliana. In Israele dal 1998, dopo aver svolto il servizio militare obbligatorio, è stato appena richiamato al fronte come riservista. Oggi ci racconta le difficoltà, le delusioni e le aspettative per il futuro del suo Paese.

 

“Prima di tutto, vorrei dire una cosa” esordisce molto amareggiato Gabriele, che Lookout News ha raggiunto durante una pausa. “Vedere le reazioni dell’opinione pubblica italiana è una cosa che ci fa molto male. Tutti noi quaggiù, italiani e non, proviamo un misto di rabbia, dispiacere e paura nel vedere come la disinformazione e i pregiudizi verso lo Stato di Israele vadano rafforzandosi di giorno in giorno. A volte, il volere per forza schierarsi con quello che appare il più debole, porta a un odio sfrenato che sfocia poi in orrori indescrivibili. Paragonare poi Israele alla Germania nazista, mi toglie il sonno la notte”.

 

Ti aspettavi di essere richiamato in servizio?
Me lo aspettavo, è normale. Avevo compreso subito che si sarebbe innescata un’escalation di violenza, a partire dal rapimento dei tre ragazzi israeliani. Infatti, poi siamo passati dal ritrovamento dei loro cadaveri all’uccisione del ragazzo arabo a Gerusalemme. Immaginavo anche che Hamas - che era molto indebolito politicamente - avrebbe sfruttato l’occasione al volo per tornare al centro della mappa politico-militare palestinese.

 

Su quale fronte ti hanno mandato?
Dopo che la pioggia di razzi da Gaza si era immediatamente intensificata, il governo israeliano aveva concesso all’IDF (Israel Defence Forces, ndr) il permesso di richiamare 40.000 riservisti. Anche se in un primo momento ne erano stati arruolati molti meno, sapevo che il mio gruppo sarebbe potuto essere tra quelli. Ma sapevo anche che non saremmo stati mandati a Gaza, per due semplici motivi: il primo è che l’IDF preferisce sempre mandare per primi i soldati di leva più “freschi”, e il secondo è che ogni gruppo viene mandato sempre nella propria regione di competenza. Quindi, noi siamo stati destinati nella Valle del Giordano, la zona che va da poco più a sud del lago di Tiberiade fino alla fine del Mar Morto, e che comprende gran parte del confine giordano, più alcune citta della West Bank (Cisgiordania, ndr) come Jerico.

 

Quali sono i vostri ordini?
Il nostro compito è prendere in consegna e mantenere l’ordine in tutta la parte di territorio sotto nostra responsabilità, senza dare a nessuno la possibilità di destabilizzare inutilmente anche quelle zone. Questo significa non cedere ad alcuna eventuale provocazione e permettere agli altri reparti dell’IDF di restare concentrati sulle zone più calde del conflitto in corso. Nel caso specifico del mio plotone, abbiamo dato il cambio ai soldati del Tavor, quelli specializzati nelle evacuazioni e nel recupero post-calamità (gli stessi che sono stati già inviati in varie aree di crisi nel mondo, come ad Haiti nel dopo terremoto, nella Thailandia del post-tsunami, e pure a L’Aquila, ndr).

 

Ritieni che il confine con la Giordania che state pattugliando sia tranquillo?
C’è una stretta collaborazione sia tra Israele e Giordania sul confine, sia con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ndr) nella West Bank. Noi dobbiamo solo impedire che questa collaborazione non venga turbata da destabilizzatori di stampo terroristico, Hamas in primis.

 

In quanti siete là?
Riguardo ai numeri precisi, non mi posso esprimere più di tanto. Nella piccola base specifica dove mi trovo, io siamo una ventina di soldati.

 

Temete il coinvolgimento di altri attori regionali, penso a Hezbollah ma anche a ISIS? Quanto è seria e quanto viene presa in considerazione dal comando militare questa possibilità?
Purtroppo, lo temiamo anche troppo. Il governo israeliano sa benissimo che Hamas fa male a tutti, a Israele ma soprattutto ai palestinesi, e quindi va eliminato. Israele possiede anche i mezzi per farlo, ma il grosso dilemma e la paura principale è quello che potrebbe succedere nel dopo-Hamas. Il vuoto che si creerebbe potrebbe essere anche molto peggio dello scenario attuale e la minaccia di organizzazioni forti come l’ISIS (i sunniti dello Stato Islamico che hanno imposto il Califfato tra Siria e Iraq, ndr) non lo considero nemmeno il peggior scenario. La vera paura è che Gaza diventi davvero una terra di nessuno, con decine di cellule terroristiche indipendenti e incontrollabili.

 

Servirebbe un controllo internazionale, a tuo parere?
Se ci fosse una reale garanzia da parte della comunità internazionale della volontà di evitare l'infiltrazione di vari attori terroristici e se potessero assicurare che i vari aiuti monetari internazionali non saranno più usati per armare tali cellule nell’eventuale dopo-Hamas, penso che Israele non ci penserebbe due volte a liberare se stesso e il popolo palestinese da quella terribile piaga.

 

 

Voci insistenti parlano di un attacco terrestre. Come ti senti all’idea di un’incursione di terra? E qual è il sentimento principale fra le truppe?
Le voci di un’imminente operazione di terra a Gaza sono fondate, e la cosa ci preoccupa e rattrista molto, perché sappiamo bene che Hamas non aspetta altro per poter colpire o peggio rapire ancora soldati. Questo è il loro obiettivo dichiarato e per portarlo a termine useranno come sempre anche l’indifesa popolazione palestinese sul territorio. D’altra parte, però, siamo perfettamente consapevoli del fatto che l’operazione - anche se a quanto pare sarà molto limitata e svolta in maniera “chirurgica” - è strettamente necessaria e inevitabile, se vogliamo andare a colpire le infrastrutture militari e soprattutto le postazioni lanciarazzi da cui bombardano continuamente il territorio israeliano, che sono nascoste nei vari ospedali, case, scuole. È per questo che non ci possiamo permettere di colpire solo con l’aviazione o l’artiglieria, perché ciò provocherebbe troppe vittime innocenti.

 

Non sarebbe meglio interrompere immediatamente le operazioni?
Interrompere le operazioni adesso renderebbe inutili i tremendi sacrifici fatti da entrambe le parti, come del resto hanno dimostrato le due precedenti operazioni (Piombo Fuso nel 2008-2009 e Pilastri della Difesa nel 2012, ndr), perché in questo modo tra un paio di anni saremmo punto e a capo. Questa volta vogliamo un cambiamento radicale e stabile, per il bene di Israele e dei poveri palestinesi, con la speranza di potere finalmente avviare un processo di pace duraturo che porti alla creazione di uno Stato palestinese pacifico e non interessato alla distruzione di Israele, come recita invece lo statuto di Hamas. Purtroppo, Hamas non si è dimostrato un valido interlocutore per questo processo di pace.

 

Qual è il profilo-tipo di un combattente di Hamas?
Mi piacerebbe poterlo definire un combattente per ideali puri, per un futuro migliore per il proprio popolo, per la libertà. Mi piacerebbe poterlo immaginare come un partigiano. Ma i fatti mostrano il contrario. Hamas rivendica la libertà da quello che loro definiscono “l’oppressore sionista a Gaza”, ma Israele ha lasciato completamente e unilateralmente Gaza nel 2005. Da allora, nemmeno un singolo soldato o colono è presente sul territorio. La verità è che il combattente di Hamas sembra piuttosto un terrorista indottrinato, guidato unicamente dalla voglia di distruzione in nome di Allah, e senza nessuno scrupolo nei confronti di alcuno.

 

Tu sei giovane, hai trentacinque anni, ma da quando sei nato non hai mai visto una vera pace tra Israele e Palestina. Pensi che la tua generazione riuscirà a vederla?
Io ci spero, ma sono molto pessimista. Ci sono troppi interessi politico-economici legati alla questione. A volte ho l'impressione che la situazione attuale faccia comodo a troppi, che si preferisca che il conflitto continui a esistere e che non si voglia creare uno Stato palestinese. Il popolo palestinese è una vittima di tutti quelli che lo stanno usando come arma e come scusa ideologica per potersi in realtà arricchire o per sviluppare i loro veri ideali destabilizzatori e antisionisti.

 

A quali Paesi ti riferisci?
Mi riferisco all’Iran e alla Siria, su tutti. Ma forse è più corretto parlare di correnti di pensiero e non generalizzare riferendosi a interi Paesi.

 

In conclusione, pensi che in Italia ci sia molto antisemitismo?
Constatare come ancora nel 2014 l’antisemitismo, mascherato stavolta da antisionismo, sia così radicato mi fa venire i brividi. Mi piacerebbe che la gente cercasse di mantenere la calma, che non cedesse all'istinto dell’odio gratuito e andasse a informarsi di più su quanto sta succedendo. Chi riesce a farlo, si rende conto che le cose non sono come sembrano, che Israele ha diritto a esistere e il dovere di difendersi, e non vuole certo farlo a discapito del popolo palestinese. La pace e la coesistenza con uno Stato palestinese libero e pacifico sono l’obiettivo primario di Israele, il nemico comune invece si chiama Hamas. Il conflitto non è soltanto sul territorio, ma è ideologico, tra chi vuole la distruzione di Israele e chi no.

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Luciano Tirinnanzi