Elezioni Usa 2020, scintille nel dibattito tra i candidati democratici
ANSA/EPA/Giorgio Viera
News

Elezioni Usa 2020, scintille nel dibattito tra i candidati democratici

Warren e Sanders ai ferri corti nell'ultimo dibattito prima del caucus dell'Iowa. Ma Biden sembra il favorito

È stato un dibattito acceso quello che si è tenuto ieri tra i candidati democratici a Des Moines (in Iowa), con sei contendenti che si sono sfidati sul palco: l’ex vicepresidente Joe Biden, il senatore del Vermont Bernie Sanders, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, il sindaco di South Bend Pete Buttigieg, la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar e il miliardario Tom Steyer. Organizzato da Cnn, si è trattato del settimo confronto televisivo di queste primarie: l’ultimo prima del 3 febbraio, quando si terrà il caucus dell’Iowa. Anche per tale ragione, il clima è apparso fondamentalmente battagliero e con qualche momento di tensione. Per quanto, vista la scadenza elettorale a breve, ci si sarebbe forse potuti attendere qualche guizzo in più.

Complice soprattutto la crisi iraniana attualmente in corso, largo spazio è stato innanzitutto conferito alla politica estera e – in particolare – ai dossier mediorientali. Tutti i candidati sul palco hanno duramente criticato Donald Trump per essersi ritirato dall’accordo sul nucleare con l’Iran nel 2018 e alcuni di essi (a partire da Bernie Sanders) gli hanno rimproverato un certo avventurismo nell’attuale crisi con Teheran, invocando un atteggiamento maggiormente improntato al multilateralismo. Uno dei punti forse più interessanti si è tuttavia rivelato il confronto sulla questione delle truppe americane in Medio Oriente: argomento, rispetto a cui sono emerse differenze non di poco conto tra i vari contendenti. Se Joe Biden ed Amy Klobuchar si sono detti favorevoli a mantenere un certo numero di soldati nella regione (soprattutto per operazioni di controterrorismo e addestramento delle forze locali di sicurezza), contraria è invece apparsa Elizabeth Warren, che ha invocato (un po’ genericamente) il solo approccio diplomatico per risolvere i problemi sul campo. Sostanzialmente sulla stessa linea si è collocato Sanders, che è tornato ad attaccare le “guerre senza fine”, mentre Buttigieg – sul tema – ha evidenziato una certa ambiguità, pur lasciando intendere di non auspicare eccessivamente la presenza di militari sul terreno.

Il Medio Oriente è del resto tornato al centro del confronto nuovamente per la guerra in Iraq. Prevedendo probabilmente i consueti attacchi da parte di Sanders, Biden ha ammesso che votare per quell’invasione nel 2002 fu un “errore”. L’ex senatore del Delaware ha teso tuttavia a rimarcare che – nonostante ciò – Barack Obama lo avesse scelto come proprio vice nel 2008. La strategia era insomma chiara: disinnescare eventuali nuovi attacchi sull’Iraq e presentarsi – ancora una volta – come l’unico legittimo erede dell’ex presidente democratico. Il senatore del Vermont non ha comunque lasciato cadere la cosa, rimproverando Biden per essersi fidato all’epoca di Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Tutto questo, nonostante anche il candidato socialista si sia trovato in un certo imbarazzo per aver sostenuto ai tempi la guerra in Afghanistan.

Sul fronte sanitario, i contendenti centristi (Biden, Buttigieg e la Klobuchar) hanno ripreso le loro consuete critiche a Sanders e alla Warren su “Medicare for All”, mentre differenze di vedute si sono registrate anche sul commercio internazionale: soprattutto sul nuovo trattato di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada, nato dalla rinegoziazione del vecchio Nafta. Se la maggior parte dei candidati sul palco ha affermato di sostenere l’intesa, di diverso avviso si è invece detto Sanders che – sul tema – ha mostrato un’evidente divergenza con la Warren. Nonostante entrambi i senatori ritengano che il trattato rappresenti un “modesto miglioramento” rispetto al passato, il primo non ha intenzione di appoggiarlo, la seconda sì.

Ma gli attriti tra loro non si sono fermati qui ieri sera, visto un battibecco che – in prospettiva – potrebbe segnare una svolta decisiva nelle attuali primarie democratiche. Il moderatore ha chiesto a Sanders se realmente nel 2018 avesse detto alla Warren che, secondo lui, una donna non potesse vincere le elezioni: un’accusa che, da qualche giorno, ha colpito la campagna elettorale del senatore del Vermont. “In realtà, non l'ho detto”, ha replicato Sanders, “E non voglio perdere molto tempo su questo perché è quello che vogliono Donald Trump e forse alcuni media. Chiunque mi conosca sa che è incomprensibile che io pensassi che una donna non può essere presidente degli Stati Uniti”. “Non ero d'accordo”, ha risposto a sua volta la Warren, “Bernie è mio amico e non sono qui per cercare di litigare con Bernie. Ma, guardate, questa domanda sul fatto che una donna possa essere o meno presidente è stata sollevata ed è tempo per noi di attaccarla frontalmente”. I due senatori hanno poi battibeccato sui loro pregressi risultati elettorali e sulla propria effettiva capacità di sconfiggere eventualmente Trump. Queste tensioni sono significative, perché è la prima volta che – in un dibattito televisivo – Sanders e la Warren sono entrati così direttamente in conflitto. Di solito, nei confronti precedenti, i due avevano scelto l’alleanza oppure un tacito accordo di non belligeranza: tacito accordo che ormai, a due settimane dal caucus dell’Iowa, sembra saltato. Del resto, non è un mistero che i loro due comitati elettorali stiano battagliando sul campo ormai da settimane. E questa svolta potrebbe alla fine gettare una luce chiarificatrice su due candidati che, troppo spesso, una certa vulgata mediatica non ha fatto che appaiare semplicisticamente, ignorando (o fingendo di ignorare) differenze di natura profonda.

Tra l’altro, sulle accuse di sessismo a Sanders è intervenuto anche Trump che, in un comizio a Milwaukee ieri, ha dichiarato di non credere che il senatore abbia mai detto che una donna non possa vincere le elezioni. Un’affermazione forte, con cui non è ancora ben chiaro se il presidente voglia difendere Sanders o cercare di azzopparlo politicamente. Resta tuttavia il fatto che i due senatori, un tempo alleati, siano ormai ai ferri corti. Al di là del duello televisivo, al termine del dibattito sono infatti stati ripresi mentre pare discutessero in modo teso, senza poi stringersi la mano. Attenzione dunque: perché, in questo ennesimo confronto senza chiari vincitori, lo scontro così duro tra Sanders e la Warren potrebbe preludere a una svolta importante nelle attuali primarie. Forse la più significativa da alcuni mesi a questa parte. E ciò essenzialmente per due ragioni. In primo luogo, perché – con ogni probabilità – saranno i centristi ad approfittare di questa faida: non sarà un caso che, ieri sera, Biden e Buttigieg abbiano in definitiva tenuto un profilo relativamente basso. Fermo restando tuttavia che, anche al centro, potrebbero presto esplodere tensioni simili. In secondo luogo, è possibile che – come prima accennato – possa adesso farsi sempre più chiara una divaricazione tra due sinistre ben distinte: una – quella della Warren – rivolta alle classi progressiste medio-alte; un’altra – quella di Sanders – più vicina a impiegati e operai, dalle venature smaccatamente antisistema e non troppo distante da alcuni temi di area trumpiana.

Tralasciando al momento la candidatura ancora un po’ aleatoria di Mike Bloomberg, sembra ormai sempre più chiaro che queste primarie si riveleranno ben presto una corsa a quattro, tra Biden, Sanders, la Warren e Buttigieg. Qualche speranza – a dire il vero – può nutrirla anche la Klobuchar, per quanto sia oggettivamente difficile un suo exploit. Stando tuttavia ai sondaggi, è improbabile che il caucus dell’Iowa del 3 febbraio e le primarie del New Hampshire dell’11 febbraio riusciranno a consegnarci un quadro troppo chiaro della situazione. Quella che si intravede all’orizzonte è una battaglia lunga ed estenuante: una battaglia che, anziché ricompattarlo, rischia di dividere ancora di più un asinello già oggi profondamente dilaniato.

I più letti

avatar-icon

Stefano Graziosi