Egitto, condanna a morte di massa per i Fratelli
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Egitto, condanna a morte di massa per i Fratelli

Il Cairo punisce con la pena capitale 529 islamisti. Insorge la comunità internazionale, ma il generale al-Sisi trova in Putin un nuovo alleato

529 persone sono state condannate a morte in Egitto. E' la prima condanna a morte di massa e colpisce tutti i simpatizzanti (o gli affiliati) dei Fratelli musulmani, inclusi dal governo egiziano a guida militare nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Il processo lampo che ha portato alla condanna della "carica dei 500" è stato immediatamente criticato dalla comunità internazionale, con gli Stati Uniti in testa. Ma sembra proprio che il generale Fattah al-Sisi preferisca fare orecchie da mercante e voglia regolare i conti in vista delle prossime elezioni presidenziali che lo vedono in corsa come candidato favorito.

La condanna di massa alla pena capitale è stata spiccata per punire i Fratelli musulmani come colpevoli dell'onda di violenza che ha scosso recentemente il Paese, e che è esplosa sulla scia della rabbia dopo la cacciata del presidente Mohamed Morsi, eletto grazie ai voti dei Fratelli. Immediate le reazioni della Fratellanza, con scontri in molte città egiziane e l'annuncio di una manifestazione di piazza entro la fine della settimana, probabilmente venerdì subito dopo la conclusione delle preghiere.

Secondo Amnesty International le condanne a morte rappresentano "un esempio grottesco di quello che sta per accadere e mettono in evidenza la natura selettiva del sistema giudiziario in Egitto". Esperti legali di diverse organizzazioni hanno poi aggiunto che molto probabilmente la sentenza verrà annullata in appello, dal momento che il processo non è stato condotto in modo equo; a molti imputati è stato impedito di avere un avvocato difensore.

L'Egitto non smette di essere in ebollizione. Il braccio di ferro tra militari e Fratelli musulmani ha il sapore di un lungo e doloroso regolamento di conti. Se si calcola che il Paese delle Piramidi ha 85 milioni di abitanti e di questi circa 1 milione appartengono ai Fratelli musulmani, si comprende come l'epurazione voluta dai papaveri del governo pptrebbe avere conseguenze catastrofiche.

Tra le pieghe della crisi ucraina, da Washington arriva un messaggio di "forte preoccupazione" per la sentenza shock egiziana. "Mentre gli appelli sono possibili - ha dichiarato il Dipartimento di Stato americano - semplicemente non sembra possibile che un'equa valutazione delle prove e delle testimonianze che combacia con gli standard internazionali possa avere portato alla condanna a morte di 529 persone dopo un processo di due giorni".

Gli Usa hanno parzialmente sospeso i loro aiuti annuali all'esercito egiziano, che ammontano a circa 1 miliardo e mezzo di dollari, subito dopo le violenze e i massacri di piazza seguiti alla deposizione del presidente Morsi a luglio dell'anno scorso. Ma la decisione della Casa Bianca, che comunque continua a versare fondi d'aiuto alle forze armate del Cairo, sembra non aver minimamente intimorito il generale al-Sisi, che ha trovato altri "amici".

A febbraio il Generale ha ricevuto l'endorsement ufficiale di Vladimir Putin per la corsa alla presidenza. Una stretta di mano non solo di forma, ma anche di sostanza, visto che l'esercito egiziano sta trattando con la Russia l'acquisto di un pacchetto di armi da circa 2 miliardi di dollari. L'affare non è stato ancora siglato, ma nei giorni scorsi il ministro degli Interni, Mohamed Ibrahim, ha dichiarato che le trattative "sono a buon punto" e che presto Il Cairo potrebbe importare armamenti da Mosca, dismettendo gradualmente le importazioni americane.

Un cambio di fronte (e di passo) che lancia un ulteriore segnale alla diplomazia a stelle e strisce. Finora l'Egitto è stato un alleato solido per gli Usa, che hanno potuto utilizzare senza problemi e in posizione privilegiata il canale di Suez per trasportare mezzi militari e truppe in direzione dell'Afghanistan e di altre aree del Medio Oriente.

Solo nel 2012, circa 2.000 aerei americani hanno solcato i cieli egiziani. La mossa di Putin punta a estendere l'influenza geopolitica russa a tutta l'area mediorientale, con il pilastro siriano (già acquisito da tempi) e adesso con l'Egitto, che è il più popoloso Paese musulmano. Con al-Sisi il capo del Cremlino ha un'eguale visione della politica e sostiene pienamente il pugno d'acciaio contro i Fratelli etichettati tout-court come "terroristi".

In Egitto gli equilibri stanno mutando ancora una volta, dopo l'esplosione di piazza Tahrir nel 2011, che portò alla cacciata dell'ultimo Faraone, Hosni Mubarak. E la Russia sta muovendo le sue pedine sulla scacchiera mediorientale, mentre gli Usa sembrano distratti da altro. Il futuro della regione non può prescindere da quello che succede al Cairo, e i Fratelli musulmani sono pronti a non lasciare le piazze. Il che non fa prevedere nulla di buono. 

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Anna Mazzone