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Economia

Web tax: come l'Europa vuole introdurla

Bruxelles propone in tempi rapidi l’introduzione di un’imposta del 3% sui ricavi dei colossi della Rete

L’Unione europea pare voglia davvero fare sul serio sul fronte della web tax, e prova a stringere i tempi per una sua introduzione, seppur in una versione che possa essere considerata provvisoria.

A spingere verso una soluzione rapida di una vicenda che si trascina ormai da tempo, è  la necessità impellente di far arrivare risorse fresche nelle casse di tanti Paesi dell’Unione provati da una crisi i cui effetti continuano purtroppo a farsi sentire.

E dunque, i tempi sembrano ora davvero maturi per tassare i colossi del web che hanno utenti in molti Stati, ma pagano le tasse in uno soltanto. Solitamente in quello con la tassazione più favorevole, come la Apple e Facebook in Irlanda, Booking.com e Uber in Olanda o Amazon in Lussemburgo. Ma quali sarebbero le modalità con cui verrebbe fatta praticamente pagare questa nuova web tax? Due sono attualmente le soluzioni sul tappeto.

“Presenza digitale tassabile”

Una prima variante della tassa sui profitti in Rete, prevederebbe tempi di applicazione un po’ più lunghi, ma avrebbe il vantaggio di presentarsi in una forma praticamente definitiva.

In sostanza si tratterebbe di tassare i profitti di colossi web lì dove essi sono generati, anche se le aziende in questione non hanno una presenza fisica sul territorio.

In questo senso la Commissione avrebbe individuato tre criteri per conclamare una sorta di "presenza digitale tassabile": una società che opera sul web verrebbe equiparata a una qualunque altra azienda 'old economy' se supera i 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno Stato membro, se ha più di 100mila utenti registrati o se ha più di 3.000 contratti per servizi digitali ad utenti business.

Soluzione più rapida

Di più immediata applicazione invece sarebbe una seconda soluzione. La Commissione europea propone infatti una tassa al 3% su alcuni tipi di ricavi. Una soluzione definita provvisoria, in attesa di trovare un accordo globale a livello Ocse. Una tassazione di questo tipo, si stima che potrebbe generare un gettito complessivo, a livello di Unione, di circa 5 miliardi di euro.

Entrando nello specifico della sua applicazione, la citata imposta del 3% andrebbe ad incidere sui ricavi da vendita di spazi pubblicitari (ad esempio per Google), da cessione di dati (come nel caso di  Facebook) e da attività di intermediazione tra utenti e business (come per Uber e Airbnb).

L’aliquota verrebbe applicata solo a società con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro ed uno europeo sopra i 50 milioni.

Italia a favore

A spingere affinché si arrivi a una introduzione celere della nuova tassa sono in particolare gli Stati del G5, ovvero Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Facile immaginare invece che i contrari si annidino nel gruppo di Paesi che finora, grazie a controverse e contestate agevolazioni fiscali si sono assicurati i gettiti erariali dei colossi del web, Irlanda, Olanda e Lussemburgo sopra tutti.

Per quanto concerne poi in particolare il nostro Paese, è il caso di ricordare che, la nuova legge di stabilità ha di fatto introdotto per il nostro Paese la web tax. Solo che il ministero dell’Economia ha deciso sospendere l’emanazione dei decreti attuativi, almeno fino alla fine di aprile 2018, proprio in attesa che la Commissione europea diffonda le sue proposte riguardo questo tema.

Dunque, dall’esito del confronto a livello comunitario, discenderanno anche le scelte pratiche che verranno adottate in Italia in tema di web tax.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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